UFFICIO SINISTRATI - RENZI TEME CHE I BERSANIANI UTILIZZINO LE FIBRILLAZIONI DEL GOVERNO PER ANNULLARE IL CONGRESSO
Maria Teresa Meli per "Il Corriere della Sera"
La politica italiana si sta affacciando sull'orlo della crisi: al Pd ne sono quasi tutti convinti, anche se ieri sera i venti di guerra berlusconiani sembravano scemare. Perché allora questa convinzione sembra accomunare molti dirigenti del Partito democratico? Per un motivo che Beppe Fioroni illustra con l'abituale - e brutale - franchezza: «Stavolta Berlusconi non può fare pippa». Il che, tradotto in italiano, significa che il leader del Pdl non può continuare a gridare al lupo al lupo.
E allora? E allora a Largo del Nazareno cercano di prevenire e di capire tutti i possibili scenari. Incluso il più insidioso di tutti. Ossia quello della crisi pilotata, ovviamente da Berlusconi, con il Pd nel ruolo di comprimario. à un'ipotesi a cui accennavano ieri alcuni bersaniani: «Il Cavaliere potrebbe far dimettere i ministri e poi farli rientrare, una volte poste le sue condizioni». Condizioni esose per i Democratici: «Mettiamo - spiega ancora Fioroni dando voce alle preoccupazioni dello stato maggiore del partito - che Berlusconi dica: "io mi dimetto, i miei ministri rientrino al governo, a patto che, per il bene del Paese, questo esecutivo destinato a fare grandi cose duri fino alla fine della legislatura".
A quel punto noi che facciamo? Chi ha l'autorevolezza di dare una risposta a Berlusconi? Che fa Epifani, dice sì alle larghe intese di legislatura e magari dopo mezz'ora si fa smentire dal sindaco di Firenze? E il nostro popolo come reagirebbe all'idea di andare avanti con il Cavaliere?».
Sono tanti gli interrogativi che angustiano gli animi dei dirigenti del Partito democratico. Dice Davide Zoggia a un compagno di partito: «Una cosa è certa, se si apre veramente la crisi, il Letta bis non lo si può fare, ci comprometterebbe troppo. Piuttosto ci vuole un governo di scopo, presieduto da una personalità riconosciuta da tutti, che duri giusto il tempo per fare la riforma elettorale e il patto di Stabilità e poi a febbraio si va a votare».
Peccato che Letta, suppergiù nelle stesse ore, stia dicendo l'esatto contrario ad alcuni emissari del Pd: «Se sarà crisi, andrà parlamentarizzata, così chi vuole staccare la spina se ne prenderà la responsabilità davanti al Paese e agli italiani». Ossia, se Berlusconi vorrà rompere, il governo tornerà alle Camere per chiedere la fiducia del Parlamento. Uno scenario che però non piace a mezzo partito: il timore è che ancora una volta sia il Pd a pagarne le conseguenze in termini di consensi e di simpatie dell'elettorato.
La confusione avvolge i deputati e i senatori del Partito democratico, dove c'è chi ritiene che si potrebbe andare a votare addirittura il 24 novembre e chi, invece, è convinto che Berlusconi non farà mai cadere il governo. «Berlusconi non aprirà la crisi, vedrete», assicura Massimo D'Alema, parlando con alcuni compagni di partito. Per una volta tanto la pensa nello stesso identico modo anche Matteo Renzi, che spiega ai suoi: «Vedrete che non succederà niente».
Lo fa per scaramanzia il sindaco o per non farsi accusare di tifare per la caduta del governo Letta? Chissà , ma lo fa anche per un'altra ragione. Il primo cittadino del capoluogo toscano teme che i suoi avversari interni usino l'arma delle fibrillazioni governative per annullare il congresso, «e io, invece - dice - lo voglio fare».
Effettivamente i sospetti di Renzi non sono proprio peregrini. Basta prestare un orecchio a quanto vanno dicendo in queste ore i bersaniani: «Come si possono tenere le assise nazionali quando non sappiamo se la situazione precipita? à veramente difficile muoversi in queste condizioni». Ironizza Fioroni: «Vedrete che ci sarà chi proporrà di fare il congresso alla fine della legislatura». Una battuta, ovviamente, perché il responsabile organizzativo Zoggia, spiega che «in caso di crisi e di elezioni subito è ovvio che le assise vengono rinviate ma se il voto è a marzo si possono tenere». Un modo per rassicurare i renziani, probabilmente, che sono più che mai sul chi vive. Osserva Angelo Rughetti: «Rinviare il congresso è come giocare a tennis senza la pallina, non si può fare».
Il timore del sindaco di Firenze e dei suoi sostenitori è che l'ala bersaniana possa approfittare del caos per mandare le pratiche per le lunghe, anche con l'appoggio di altre componenti del partito. In questo modo, se veramente si arrivasse al voto, le liste elettorali le deciderebbero il segretario Guglielmo Epifani e il suo predecessore. Certo una parte in commedia spetterebbe anche a Renzi, ma solo una parte.
E il sindaco di Firenze, senza le leve del partito in mano correrebbe veramente il rischio di fare la fine di Prodi, quella fine che lui vuole a tutti i costi scongiurare.





