IL REPUBBLICANO MCCAIN SI SCHIERA CON OBAMA: “SÌ ALL’INTERVENTO IN SIRIA” - MA L’EROE DEL VIETNAM È ISOLATO NEL SUO PARTITO

Federico Rampini per "La Repubblica"

«Se il Congresso boccia la richiesta di Obama al Congresso sarà una catastrofe. Faremo a pezzi non solo questo presidente ma i presidenti futuri. E la credibilità dell'America ». Parole che pesano: le pronuncia l'ex rivale di Obama nella corsa alla Casa Bianca del 2008, il senatore repubblicano John McCain. Parla subito dopo un lungo colloquio con il presidente.

Insieme a lui c'è un altro veterano della destra, il senatore Lindsay Graham, che rincara la dose: «Non intervenire in Siria darebbe un pessimo segnale all'Iran, si destabilizzerebbero anche la Giordania e il Libano». L'appoggio autorevole di McCain e Graham è il primo tassello per un consenso bipartisan, indispensabile per il via libera all'intervento in Siria. In cambio la Casa Bianca si dice «pronta a modificare il testo della risoluzione», anche se non sarà facile visto che le proposte di modifica sono spesso divergenti.

Obama lavora a un ritmo febbrile per conquistarsi i voti uno per uno, con una vera e propria operazione di "lobbying" parlamentare bipartisan. Dai notabili di partito ai peones, ciascuno ha diritto a colloqui con esponenti della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato, del Pentagono. Questo lavorìo durerà ben oltre il 9 settembre: quel giorno la Camera torna a riunirsi, ma per il voto finale sulla Siria passerà un'altra settimana.

Gli equilibri al Congresso sulla Siria non coincidono con la divisione tra repubblicani e democratici. Ci sono democratici pacifisti che possono votare contro il loro presidente e repubblicani conservatori che possono sentire il richiamo patriottico all'unità nazionale contro il nemico. Uno dei blog più informati sui retroscena della politica, Politico.com, considera che «se si votasse oggi il presidente perderebbe, ma da qui al 9 settembre probabilmente ce la farà».

Il Washington Post ha ricostruito una mappa ufficiosa delle "correnti", tutte trasversali rispetto ai partiti. Alcune delle loro domande, obiezioni e riserve, coincidono con quello che Obama si sentirà dire a San Pietroburgo dai suoi partner internazionali nel G20.

1. LA MAGGIORANZA INDECISA
Al momento è il "gruppo parlamentare" più numeroso. Una leader repubblicana, la deputata Cathy McMorris Rodgers, chiede «un chiarimento su quello che il presidente vuole proporci» e cioè una definizione più precisa sulla natura dell'operazione militare «limitata ». Nel suo partito il deputato Trey Radel chiede «garanzie che le nostre truppe non vengano trascinate nel conflitto, e una exit strategy o via d'uscita chiara da questo intervento». Il senatore democratico Christopher Coons chiede di valutare anche le prove degli ispettori Onu.

2. GLI SCETTICI
Questi inizialmente propendono per il no. I loro argomenti riecheggiano obiezioni straniere, un ampio arco che va da Vladimir Putin ad Angela Merkel. Il senatore democratico Joe Manchin sottolinea che «dopo oltre un decennio di guerre americane in Medio Oriente occorre una minaccia imminente alla sicurezza del popolo americano per trascinarci in un'altra operazione militare, e questa minaccia non la vedo». Sul fronte repubblicano c'è il senatore Marco Rubio della Florida, possibile candidato presidenziale nel 2016: «Un'azione militare decisa solo per mandare un messaggio, o per salvare la faccia all'America, non soddisfa il requisito, manca un chiaro obiettivo di sicurezza nazionale».

3. GLI ANTI-MILITARISTI
C'è una constituency che vive una crisi di coscienza. È l'ala più progressista del partito democratico, in primis il "black caucus" che riunisce gli eletti afroamericani come il deputato Charles Rangel del collegio di New York-Harlem. Solidali con il loro presidente, sposarono le battaglie di Obama contro la guerra di George Bush in Iraq nel 2003. Oggi si sentono a disagio di fronte alla richiesta di votare un altro intervento militare. Di fatto convergono i pacifisti di sinistra e gli isolazionisti della destra libertaria. Il leader di questi ultimi è il senatore repubblicano Rand Paul, anche lui futuro candidato alla Casa Bianca, fautore di una ritirata dell'America dalle sue responsabilità globali.

4. GLI ALLINEATI: INTERVENIRE SUBITO
Questo gruppo include i maggiorenti democratici come la capogruppo della Camera, Nancy Pelosi, insieme con un pezzo di establishment repubblicano vicino al Pentagono e al governo di Israele. Tra questi c'è il deputato Peter King, che vorrebbe un'azione militare subito e contesta Obama per aver chiesto il voto del Congresso «abdicando alle sue responsabilità ».

5. I FALCHI DEL "FARE DI PIÙ"
I leader sono proprio McCain e Graham. Accusano Obama di avere perso due anni senza aiutare i ribelli siriani. Vogliono un intervento militare esplicitamente finalizzato a rovesciare Assad. Ieri sono usciti dall'incontro con Obama convinti che votare la risoluzione del presidente è indispensabile. Con la precisazione che «bisogna degradare la potenza militare di Assad e rafforzare l'opposizione».

McCain e Graham però sono senatori e la battaglia più difficile sarà alla Camera: dove la destra è maggioritaria e ha bocciato ogni proposta di questo presidente. Perciò stamane, prima di partire per Stoccolma e il G20 di San Pietroburgo, Obama incontrerà i maggiorenti di ambedue i partiti alla Camera.

 

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