LA FIGURACCIA DI MATTEUCCIO SUL TFR - INCALZATO DALLE PMI E CON CONFINDUSTRIA SPACATTA, IL GOVERNO RENZIE INNESTA LA RETROMARCIA SULLE LIQUIDAZIONI IN BUSTA PAGA

Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"

 

matteo renzi in biciclettamatteo renzi in bicicletta

Un (mezzo) passo indietro che corre il rischio di trasformarsi in una (totale) débâcle. Non è Matteo Renzi, ovviamente, ad assumersi l’ingrato compito di confessare in pubblico che sul «tfr in busta paga» il governo è andato in confusione.

 

Che la misura fosse stata pensata e annunciata in maniera frettolosa, tuttavia, era chiaro, almeno a giudicare dalla reazioni nervosa delle aziende - specie quelle piccole - che hanno immediatamente lanciato l’allarme rosso sullo scontato «buco» di liquidità cagionato dal pagamento immediato ai dipendenti del trattamento di fine rapporto. Sta di fatto che - esaurito l’effetto annuncio, i tweet e le interviste nei (comodi) salotti televisivi - il premier ha mollato la patata bollente in mano a Giuliano Poletti e colleghi. 

 

GIULIANO POLETTI GIULIANO POLETTI

Così è stato il ministro del Lavoro, ieri mattina alla Camera, ad ammettere per primo che l’esecutivo ha innestato la retromarcia sull’ipotesi di mettere le liquidazioni negli «cedolini» dei lavoratori: «È in corso una riflessione» ha detto a denti stretti Poletti. Il ministro ha spiegato che «i pro e contro sono noti», ricordando in particolare il problema delle risorse per le piccole e medie imprese.

 

Pure il ministro per lo Sviluppo economico, Federica Guidi, ha mandato un avviso: «Bisogna dosare bene gli strumenti che possono rilanciare i consumi, ma tenendo conto della necessità di liquidità delle imprese». Come dire che la misura sul tfr potrebbe rivelarsi se non proprio inutile, perlomeno una partita di giro: metti in una tasca (i lavoratori), togliendo a un’altra (gli imprenditori). 

 

Federica Guidi Federica Guidi

La faccenda, in ogni caso, vede in campo diversi player e non sono tutti contrari, comunque. L’idea di pagare cash le liquidazioni, invece di aspettare le dimissioni o il momento della pensione, piace a due «storici» nemici. Sergio Marchionne (Fiat) e Maurizio Landini (Fiom Cgil) appoggiano l’intervento. Il capo del Lingotto ha detto che la mossa «costa, ma è giusta», mentre il numero uno delle tute blu ha posto l’accento sulla tassazione, invitando il governo a mantenere sul tfr il trattamento tributario di favore in vigore.

 

RENZI MARCHIONNE ALLA FABBRICA CHRYSLERRENZI MARCHIONNE ALLA FABBRICA CHRYSLER

Ma gli industriali sono divisi: la casa madre di Confindustria è favorevole, mentre dal territorio (Bari e Toscana) arrivano segnali opposti. E con gli interlocutori poco compatti per il governo è difficile andare avanti. «Insistono vari interessi: lavoratori, finanza pubblica via Inps, imprese e fondi pensione, e le opzioni sono complesse» ha spiegato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, quasi lasciando intendere che la misura sta per finire nel cassetto.

 

Tanto quanto l’ultimatum lanciato dal consulente economico del premier, Yoram Gutgeld: «O si fa dentro questa legge di stabilità oppure non si fa più». La stessa sorte che potrebbe toccare alla riforma dell’articolo 18. Sulla quale sempre Poletti ha riconosciuto che c’è «un problema politico».

landinilandini

 

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