VIENI AVANTI, MARINO/2 - IL BIGLIETTO DA VISITA DI ROMA TRASFORMATO NELLA LATRINA DELLA CITTÀ: I 106 GRADINI DELLA VERGOGNA CHE COLLEGANO IL PINCIO A PIAZZA DEL POPOLO, TRA RIFIUTI, ERBACCE, FANGHIGLIA E UNA LATRINA A CIELO APERTO
Lorenzo D’Albergo per “La Repubblica – Roma”
I sandali dei turisti evitano una busta trascinata dal vento, mentre in pochi si fermano a contare le bottigliette d’acqua vuote disseminate lungo il percorso. Poi gli occhi e gli obiettivi delle macchinette fotografiche di mezzo mondo vengono irrimediabilmente catturati dal lastrone di marmo issato in cima agli scalini. L’iscrizione recita “Salita del Pincio”. A essere sinceri, però, i 106 gradini che dividono piazza del Popolo dal più noto belvedere di Roma e dall’elegante Casina Valadier offrono una deprimente discesa nel degrado.
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Ogni scalino riserva una diversa qualità di incuria. Così, passo dopo passo, ogni angolo di una delle passeggiate più affollate del centro storico diventa un ricettacolo di sporcizia. E – perché no – di illegalità: partendo dalla terrazza che affaccia sul Tridente, non si possono non notare le bancarelle di fortuna degli abusivi. Il tour non è ancora iniziato e due ambulanti hanno già offerto al vacanziere di turno un paio di occhiali da sole di marca (ovviamente contraffatti) e un cappello di paglia dalla tesa tricolore, accessorio trash-chic per proteggersi dal sole battente. Neanche l’acquisto combinato salverà il turista dall’esperienza che lo attende.
LA GRANDE BELLEZZA LA GRANDE MONNEZZA DAL SITO ROMA FA SCHIFO
Scesi i primi 13 gradini ed evitato l’attacco congiunto di altri due venditori di orecchini e chincaglieria, inizia lo slalom in un primo leggero fogliame. Dal 28esimo scalino in poi, i cumuli di vegetazione rinsecchita iniziano ad assomigliare a piccoli covoni.
Le folate di ponentino le spingono verso i bordi del sentiero sterrato, dove fanno compagnia a fazzoletti usati e pacchetti di sigarette vuoti. Ma le sorprese sono sempre dietro l’angolo. O meglio, nascoste nell’incavo di un tronco: dalla nicchia naturale spuntano il tacco di un paio di mocassini di pelle da uomo e il lembo di una maglietta. Che sia l’armadio di uno degli artisti di strada che si esibiscono in piazza del Popolo?
È inutile arrovellarsi alla ricerca di una risposta, perché a sollevare altri e più disarmanti interrogativi è la fontana allo step numero 34. «Amò, ma che è ‘sto schifo?», fa una ragazzina al fidanzatino. Lui, pantaloncini corti e ciuffo da calciatore di serie A, con un bastone raccoglie la mucillagine verde che infesta l’intero specchio d’acqua. La scena attrae un amico della coppietta.
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Cerca di raggiungerli, ma sprofonda con un piede nella fanghiglia. Impreca, mentre lui e lei scoppiano a ridere. Senza chiedersi perché la fontana perda acqua da tutti i lati. Perché nessuno abbia mai pensato a ripararla. «È così da mesi – racconta Gianluca Fideli, impiegato di una delle boutique di via del Babuino – e non si capisce perché nessuno faccia qualcosa. Come dite voi a Roma? A metterci “‘na pezza”».
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Inutile chiedere a chi gestisce i bagni pubblici dell’Ama – peraltro pulitissimi - a pochi metri di distanza. Dicono di non poter parlare. Allora si ritorna a dribblare rifiuti, cercando di raggiungere la fine del percorso. Non prima di notare la vegetazione incolta che assedia il sentiero. L’erba arriva ben oltre il ginocchio, mentre in alcune aree sembra essere stata calpestata per raggiungere un muro in grado di sostituire la toilette a pagamento.
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La discesa continua e i pochi passi che dividono il 39esimo gradino dal 41esimo sono un concentrato di vandalismo e scarsa manutenzione. Prima si rischia di inciampare, rimanendo incastrati nell’anima in metallo del cemento armato. L’asfalto è venuto via, mentre il ferro esposto alle intemperie ha iniziato ad arrugginirsi. Poi un tronco segato alla base. Due visitatori alticci devono averlo scambiato per un bidone della spazzatura a giudicare dalle bottiglie di birra vuote incastrate a forza nella corteccia.
Si arriva in strada. La penultima curva a gomito di viale Gabriele D’Annunzio offre due opzioni a turisti e osservatori ancora alla ricerca di qualcosa per cui inorridire. Da una parte l’ingresso nell’ultima sezione della scalinata. Dall’altra la possibilità di sedersi sul bordo della fontana razionalista piazzata nello slargo a metà della salita del Pincio nell’ultima fase del ventennio fascista, nel 1941. Perennemente secca, al suo centro spicca una bottiglia di spumante vuota, abbandonata a memoria di chissà quale ricorrenza festeggiata in pieno centro storico.
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Allegata l’ennesima diapositiva al dossier, piazza del Popolo sembra essere finalmente a pochi passi. In realtà, però, la scalinata che conduce al traguardo è tanto stretta quanto lunga di insidie. Bottiglie vuote di plastica e vetro costringono chi scende a dare la precedenza a chi sale, o viceversa.
L’importante è evitare di calcare la nauseabonda macchia di pipì che si spande per almeno cinque gradini, all’altezza dell’85esimo ostacolo verso la fine del tour. «Qui ci vengono a fare le loro cose gli ubriachi e i mendicanti. Ce n’è uno poco più su, guardi», suggerisce Adriana La Torre, come ogni giorno in trasferta al centro storico dalla periferia est.
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«Uno pensa che almeno la zona attorno a via del Corso sia pulita, invece…». La signora allunga il passo. Ha appena staccato il piede da terra per la 106esima volta, per poi perdersi nei sotterranei della stazione metro di piazzale Flaminio.