“IL PD RISCHIA L’ESTINZIONE” - ROBERTO D'ALIMONTE, PADRE DELL'ITALICUM, RANDELLA I DEM E RENZI: “HO CHIESTO AGLI ELETTORI DEL PD DI COLLOCARSI SULL'IMMIGRAZIONE. È EMERSO CHE L' 80% NON SI RICONOSCE NEL PARTITO. L'UNICO CHE AVEVA CAPITO LA PORTATA DEL TEMA ERA MARCO MINNITI” - LA GENESI DELL’ITALICUM E LA SUA BOCCIATURA, I CONTATTI CON VERDINI E I MOTIVI PER CUI LA CORTE HA BOCCIATO LA LEGGE ELETTORALE...
Luca Telese per “la Verità”
«Il Pd, se continua così, rischia l'estinzione».
Professore, lei dice una cosa grave.
«Perché mi sta a cuore la sinistra, non perché le sono ostile».
Alle politiche era il secondo partito italiano.
«Ma ci sono dei momenti nella storia in cui nessuna rendita è al sicuro. Il Pd è entrato in questa fase».
Roberto D'Alimonte è il più grande esperto di flussi in Italia. È un teorico di sistemi elettorali, editorialista del Sole 24 Ore ed è stato padre dell'Italicum (lui si definisce lo «zio»). Ha collaborato con Matteo Renzi e oggi lancia un allarme sul futuro del Pd.
Dove inizia la sua storia?
«Sono figlio del Sud. Nato in Abruzzo, cresciuto a Mantova».
A 18 anni parlava già inglese.
«Quella è stata la svolta della mia vita. Nel 1965 vinco la prima borsa di studio per liceali della American field service. Frequentavo il liceo a Mantova. Un giorno durante la ricreazione resto in classe. Passa una prof di un'altra sezione, dicendo che cercava qualcuno per il bando. Due giorni dopo chiedo di partecipare».
E vince. Si aprono le porte dell'America.
«Viaggio in piroscafo: 700 ragazzi rimangono muti vedendo la Statua della libertà».
Emozione?
«La consapevolezza di arrivare in un nuovo mondo».
La prima cosa che la colpisce?
«La diversità più totale che diventa società strutturata. Pensi che io non avevo mai visto un nero, se non in foto».
Lei era progressista?
«Mio padre era laico: socialista o repubblicano, perché estimatore di Ugo La Malfa».
E lei?
«Tornato dall'America ho scelto La Malfa. Mi piacevano i valori della sinistra e la scelta atlantica».
Cosa ha imparato dallo spirito americano?
«Lo capacità di adattamento e il pragmatismo».
Come?
«Ad esempio dalle famiglie che accettavano un estraneo a casa, senza che parlasse una sola parola in lingua».
E il risultato?
«Ad agosto ero muto. A dicembre andavo in giro per i licei di Dayton, Ohio, a fare conferenze».
E il ritorno in Italia?
«Scopro che devo ripetere l'anno. Oggi so che quello è stato l' anno più bello della mia vita. A scuola con il piacere di imparare, da adulto».
E poi via, a recuperare il tempo perduto.
«Parlo inglese, allora è come avere i superpoteri».
Esempio?
«Mi iscrivo a scienze politiche alla Cesare Alfieri di Firenze. Ci sono professori come Giovanni Spadolini, Previeri, Giovanni Sartori».
Lei diventa suo discepolo.
«Faccio la tesi con lui. Sartori aveva insegnato in America e presto ci sarebbe tornato».
Era liberale.
«(Sorriso) Liberale, anche nel senso del Pli».
L'inglese l' aiuta anche per il servizio militare.
«Lo faccio in aeronautica. Grazie alla lingua mi fanno fare l'aiutante di un generale della Nato. Giro l' Europa. Sempre per via dell'inglese mi mettono a lavorare con Michael Haseltine, che sarebbe diventato "il bruto" di Margaret Thatcher».
Laurea a pieni voti.
«Fioccano proposte, ma preferisco fare l' assistente ordinario».
Siamo agli anni Settanta.
«Sartori nel 1976 va a Stanford. E poi a New York».
E lei diventa professore. Quando vi rincontrerete saranno scintille.
«Ci ritroviamo alla fondazione Italianieuropei, nel 2000. Giuliano Amato convoca un seminario sulla riforma elettorale».
Chi c'è?
«Walter Veltroni, Massimo D' Alema, Alfredo Reichlin e noi professori».
Isabella Gherardi Giovanni Sartori
D'Alema era diventato un proporzionalista alla tedesca.
«Perché lo era Sartori! Tutti pensano che quella riunione deciderà la riforma».
Invece?
«La legislatura finisce e non se ne fa nulla. Buffo, no?».
Lei ha già una sua idea.
«In questa fase elettorale preferisco i sistemi elettorali che incentivano i partiti a fare coalizioni prima del voto».
E quindi con Sartori litiga.
«Non crede alle sue orecchie. Si arrabbia».
Vi chiarite?
I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
«Macché. Così inizia una guerra».
Perché Sartori era generoso ma vagamente vendicativo.
«Arriverà a scrivere contro di me al consiglio di facoltà».
Però a lei fare il consigliere del principe piace. Diventa lo zio della riforma elettorale di Renzi, l' Italicum.
«Non sono io che ho sposato le idee di Renzi. È lui che ha sposato le mie. È stato un rapporto intenso che è durato pochissimo. Io volevo solo il doppio turno».
La riforma è stata bocciata dalla Corte.
«Io ancora oggi difendo l'Italicum. Garantirebbe la scelta del governo ai cittadini».
Le hanno bocciato il premio e le liste.
«Le liste le voleva Silvio Berlusconi».
ROBERTO DALIMONTE ALLA LEOPOLDA 2013
La Corte non ha apprezzato.
«Perché i giuristi non capiscono come funzionano le democrazie».
Addirittura?
«La Francia è un Paese incostituzionale? Emmanuel Macron governa con il 29% grazie al secondo turno. E al secondo turno ha avuto la maggioranza di voti e seggi».
Però il combinato disposto riforma del Senato-Italicum dava troppo potere.
«Alla Leopolda ho detto: "Il Senato va abolito". Ma non lo hanno fatto».
Perché?
«I politici fanno compromessi».
Lei è un elettore del Pd?
«Pds, Ds e ora Pd. Forse avrei potuto votare Angela Merkel».
hans georg maassen e angela merkel
Perché?
«In democrazia non puoi votare solo chi ti piace di più. In certi casi devi scegliere il meno peggio. Per questo amo il doppio turno.
Come è nata la collaborazione con Renzi?
«La faccio sorridere. Ero in Patagonia, su una nave per l' Antartide. Era il dicembre 2013».
E lui?
«Chiama: "Buonasera professore. Mi sono venuti in mentre tre possibili sistemi elettorali volevo il suo parere"».
E lei?
SALVINI - DI MAIO - BERLUSCONI - RENZI
«Mi avevano detto che il roaming mi sarebbe costato 6 euro al minuto. Ho pensato: "Sarà una telefonata molto costosa"».
A cosa mirava Renzi?
«Mi dice: "O uno spagnolo corretto, o un Mattarellum corretto, o un Porcellum corretto"».
E le sue deduzioni?
«Ancora non si chiamavano così ma era già l' idea dell' Italicum».
E lui cosa risponde?
«Era pragmatico: "Ottimo: Ti cercherà Denis Verdini"».
E vi vedete?
«Torno dal Polo Sud, vedo Verdini, incontro Renzi. Matteo mi dice: "Fi vuole un Porcellum costituzionalizzato»".
Che a lei non piace.
«Un orrore. Gli dico: "Non devi mollare il doppio turno».
Lui mi risponde: "Sai che Verdini non lo vuole". Gli suggerisco: "Chiedilo a Berlusconi". E lui lo fa, nel celebre incontro del Nazareno. Gli suggerisco anche l' argomentazione: "Digli che ve la vedete voi due". E aggiungo: "Il ballottaggio è una Sfida all' Ok Corral"».
Berlusconi accetta?
«Non subito. La risposta arriva solo il giorno dopo. Siamo sul Freccia rossa, Matteo mi dice: "Non mi ha detto di no. Devo parlare con Verdini". Mentre lo dice chiama Verdini e gli fa: "Mi hai convinto". Poi però il ballottaggio di coalizione diventa ballottaggio di lista. Fu un altro errore. Ma io ero già fuori. Da un giorno all' altro, senza una parola, Renzi mi scarica».
Come?
«(Sorriso) Semplice: non mi ha risposto più al telefono».
Motivo?
«Credo di essere stato troppo indipendente, troppo visibile, troppo autorevole. Scrivevano: "La legge di D' Alimonte". Non credo ne fosse felice».
E il doppio turno perché abortisce, secondo lei?
«La maggioranza della Corte e dell'establishmente temono che in un ballottaggio Pd-M5s vinca Luigi Di Maio. Scegliere un sistema elettorale così è follia».
Lei è intervenuto a Cortona, in un seminario organizzato da Dario Franceschini, gettando un allarme sul Pd.
«Rischia l'estinzione: è quello che è accaduto in Francia ai socialisti».
La via di uscita?
«Ho detto cosa deve fare per non scomparire: un congresso vero. Scegliere un leader. Indicare una linea nuova».
E invece?
«Mi pare stiano facendo il contrario».
Ha stupito tutti con delle tabelle che spiegano la crisi.
«In una, per esempio, ho chiesto agli intervistati di autocollocarsi politicamente. La propensione al voto al Pd cresce con il reddito. Più alta la classe sociale più alta la propensione di votarlo».
Altra tabella.
«Ho chiesto agli elettori del Pd di collocarsi sull' immigrazione. È emerso che l' 80% non si riconosce nel partito. L'unico che aveva capito la portata del tema era Marco Minniti».
Terza tabella chiave?
«Il voto disaggregato al Pd è prevalente solo nei centri urbani. Non solo Torino, Roma e Milano: anche Verona e Bergamo».
E per aree geografiche?
«Nel meridione vale il 14%. Al Centro passa dal 35% al 26%».
Cosa ha distrutto il consenso?
«Le divisioni. E il modo in cui è stata percepita l' esperienza di governo».
Cosa si può prevedere?
«Le mostro un' ultima tabella, il dato su base provinciale. Cosa nota?».
Che la prevalenza è leghista o pentastellata.
«Esatto! Se togli le città, il Pd non è più una forza omogenea a livello nazionale».
E quindi?
«Mi pongo un problema. La destra sopravvive e prende forza intorno alla Lega. Non è al governo ma esiste nelle urne».
E quindi?
«Il Pd deve rifondarsi presto, o al termine di questo processo lo spazio elettorale della sinistra potrebbe essere occupato, o sostituito - scelga lei - da quello di Di Maio».