SCIABOLETTA DA OPERETTA: “AIUTAVO CHIARA RIZZO PERCHÉ ERA SOLA. E’ IN PRIGIONE DOPO AVER FATTO UNA VITA D’INFERNO” - VISTE LE SERATINE A MONTECARLO, FORSE LADY MATACENA HA VISSUTO ALLA GRANDE A SUA INSAPUTA
1. VITA D’INFERNO
CHIARA RIZZO MATACENA SULL AEREO FOTO DI MATTEO INDICE
Dice Claudio Scajola ai magistrati: «Io a Chiara Matacena dicevo che doveva far rientrare il marito». E ancora: «La verità è che Matacena è latitante là e Chiara è in prigione dopo aver fatto una vita d’inferno». Certo, tra Montecarlo e le Ferrari non sembrava passarse la male. Ma forse la vita d’inferno la faceva a sua insaputa.
2. SCAJOLA: AIUTAVO CHIARA PERCHÉ ERA SOLA POLITICAMENTE MI HA UCCISO QUELLA CASA
Giovanni Bianconi e Carlo Macrì per il "Corriere della Sera"
In attesa di sapere dal tribunale del Riesame se devono rimanere in carcere o possono tornare alle rispettive case, Claudio Scajola e Chiara Rizzo in Matacena sembrano dialogare a distanza nei verbali d’interrogatorio davanti ai pubblici ministeri che li hanno fatti arrestare, ora non più segreti e messi a disposizione dei giudici che devono decidere della loro libertà.
CHIARA RIZZO MATACENA SULL AEREO FOTO DI MATTEO INDICE
«Io le ho fatto da autista per accompagnarla a Milano per un incontro che poteva forse portarle delle utilità», si lamenta l’ex ministro dalla prigione romana di Regina Coeli. «Non lo facevo molto volentieri, ero scocciato», e spiega di essere stato due ore ad aspettarla in strada, senza trovare un bar dove rifocillarsi e andare in bagno. Nella ricostruzione di Scajola «Chiara è una donna intelligente, brava, perbene, ma confusissima e in qualche modo pasticciona... Io l’ho aiutata cercando di capirla, di assecondarla. È una donna sola, turbatissima, che s’è trovata a scoprire un mondo completamente opposto a quello che conosceva».
Nel verbale riassuntivo l’ex ministro sintetizza: «La Rizzo mi ha dato l’impressione di essere disperata, sola e senza risorse», ma lui stesso ammette che qualcosa non gli tornò quando vide la macchina nuova della signora Matacena: una Porsche Cayenne della quale andò a verificare il valore sulla rivista Quattroruote : 80.000 euro. «Rimasi molto perplesso».
RIZZO: «MI SENTIVO SCHIACCIATA»
Chiara Rizzo, rinchiusa a 700 chilometri di distanza nel penitenziario calabrese di Arghillà, dopo aver rivelato a fatica che quell’auto le fu regalata dall’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone «perché siamo buonissimi amici e mi è stato molto vicino», di Scajola dice: «Gli saliva il sangue al cervello, soprattutto quando c’è stata la presenza di questo signor Francesco Bellavista». E aggiunge: «Uno che mi dice “ti mando il tecnico, così stai a casa, ti guardi la televisione”...». Un pm s’inserisce: «Era geloso... Lei si sentiva schiacciata...». Replica della signora: «Sì, molto...».
L’ex ministro ha tuttora parole di comprensione per la moglie di Matacena: «Io insistevo perché lui tornasse, meglio un marito in prigione che latitante... Perché poi la verità è che lui là è latitante, lei adesso è in prigione e in questi sei mesi ha passato una vita d’inferno». Scajola riconduce ogni sua mossa in favore della donna e del marito condannato a cinque anni di carcere per complicità con la ‘ndrangheta a sentimenti di amicizia e umana solidarietà.
CHIARA RIZZO MATACENA SULL AEREO FOTO DI MATTEO INDICE
Nessun affare economico in comune (come invece sospettano e sostengono gli inquirenti), tantomeno per favorire la mafia calabrese, né tentativi concreti di spostare il latitante in Libano per fargli ottenere asilo politico: «Erano solo chiacchiere, tutta fuffa... Io non ho mai parlato con Gemayel di questa storia, alla quale non credevo perché non sono nato sotto un cavolo... Io non ho fatto nulla», scandisce l’ex ministro.
Sulla «grandissima difficoltà economica»della Rizzo, che aveva il «problema» di trasferire circa un milione di dollari da un conto corrente delle Seychelles a un altro di Montecarlo, Scajola torna di continuo. Racconta che l’ultima dimora monegasca era di 50 metri quadrati, non c’era un posto dove sedersi all’ora di pranzo: «Mangiava seduta su un letto, e io non l’ho mai visto fare a nessuno».
E cerca di spiegare che, anche quando sembrava cedere alle sue richieste, lui teneva sempre in mano il timone: «La parte psicologica è importantissima. Io cercavo sempre di assecondarla, ma di portarla, assecondandola, sempre alle soluzioni che vedevo io». Che però non prevedevano l’esilio libanese, irrealizzabile secondo l’ex ministro.
«LUI MI PARLÒ DEL LIBANO»
A suggerirgli l’idea fu Vincenzo Speziali, il giovanotto con moglie libanese che diceva essere la nipote dell’ex presidente Gemayel: «L’ho conosciuto a fine 2011 o inizio 2012, quando mi invitò a Beirut per un convegno dell’Internazionale democristiana. Voleva fare il deputato, e una volta me lo esplicitò: “Mio zio (l’ex onorevole omonimo del Pdl, ndr ) non si ricandida, potrei andare io al suo posto”».
Cercava l’appoggio di un uomo potente, sebbene Scajola si ritenesse e continua a ritenersi «politicamente morto» dopo la vicenda della casa acquistata a sua insaputa: «Io non ho mai fatto affari con nessuno perché non sono capace, l’ultima volta che ho comprato una casa ho combinato un casino... Mi dimisi da ministro quando vidi i giornali della mia parte politica. Mi hanno ammazzato».
Fatto sta che Scajola, «colpito» da Chiara Rizzo, parlò a Speziali del fuggiasco Matacena, e questi suggerì il trasferimento in Libano. All’ex ministro fece avere la lettera da lui attribuita a Gemayel, con la promessa di accoglienza e documenti falsi per Matacena. Scajola sostiene di non aver mai creduto seriamente a questa ipotesi, ma la moglie del latitante la racconta in un altro modo: «Non so dire le ragioni del legame così forte tra mio marito e il ministro Scajola.
Posso di certo affermare che tutta la vicenda del Libano è stata introdotta e gestita dallo Scajola... Mi fece vedere la lettera che lui mi disse provenire da Gemayel. Mi disse in quella stessa occasione che erano percorribili due strade a favore di mio marito: la prima prevedeva la sua presentazione presso l’ambasciata del Libano a Dubai, la seconda passava dai suoi contatti con le autorità del Libano che si sarebbero recate a Dubai».
Il 12 aprile l’arresto di Marcello Dell’Utri a Beirut bloccò tutto: «La procedura diretta a far ottenere l’asilo politico a mio marito si è interrotta quando è scoppiato il caso Dell’Utri — dice Chiara Rizzo —. Ne ho parlato con Scajola e ho capito che quell’incidente aveva inciso negativamente. In data 6 o 7 maggio 2014 ricordo una telefonata dello Scajola in cui mi parlava di un piano B che prevedeva un impiego di mio marito in Dubai».
I pm contestano all’ex ministro che l’arresto del suo ex collega siciliano doveva fargli capire che la pista libanese «non era una favoletta». Risposta: «Speziali mi diceva che aveva incontrato diverse volte Dell’Utri, ma io ho sempre arguito che era per la sponsorizzazione della sua candidatura». Dopo l’arresto di Beirut, però, il sospetto venne pure a Scajola, che chiese a Speziali se aveva a che fare col soggiorno libanese di Dell’Utri. «Ma lui mi rispose: “No, no, è tantissimo tempo che non lo vedo”».