LA LEOPARDA DELLA LEOPOLDA – LA RIVOLUZIONE DEL TACCO CHE HA FATTO DI MARIA ELENA BOSCHI LA FATINA MACULATA DEL RENZISMO CATODICO

Denise Pardo e Mario Lancisi per "l'Espresso"

A salvarla da una sorte noiosa di brava renziana giudiziosa sono state le scarpe, anche se questo non le piace per niente. Scarpe così sbagliate da essere perfette. Nella simbologia e nel messaggio. Il décolleté stampato a macchie di giaguaro, dicasi giaguaro, calzato alla convention della Leopolda dall'onorevole Maria Elena Boschi, avvocato civilista specializzato in diritto societario, ha fatto la differenza.

Portatore di un immaginario maculato che nel Pd diroccato pesa e scotta ancora, senza contare l'irrompente valenza politicamente fetish, ha provocato quel salto mediatico che l'ha sbalzata dal branco opaco dei cinquanta peones del sindaco di Firenze a Montecitorio, a nuova bandiera da talk show, trasformandola nel volto riconoscibile di un'identità renziana finora interpretata solo dal vate Matteo in persona.

Tanto quanto Renzi è l'evoluzione di una sinistra nuova, condivisibile o no, un frullato garantito di pancia e aspirazioni di governo, un sistema operativo-emotivo che soddisfa una vasta gamma di clienti, Boschi, 32 anni da Montevarchi, Arezzo, per com'è bella sembra Beatrice, visto lo Stil novo da omonimo libro e comportamento del suo leader aspirante Dante, segna il passo nella politica della differenza. Rompe l'equazione progressista tacchi bassi-capacità alte e manda al diavolo una volta per sempre il tabù democratico verso l'essere donne con le gonne - anche- corte o strette, con tutto il diritto di essere - anche - impegnate, laureate, persino devote e cattoliche come lei. Per dire la potenza politica di un paio di scarpe.

Nel mezzo dei venti di guerra delle primarie, alla soglia di quello che potrà essere il capovolgimento all'interno del Pd, uomini, valori, obiettivi, è l'unica rappresentanza femminile forte e nuova di uno dei candidati. È arrivata al momento giusto, emblema di una generazione cresciuta a vitamine e Hello Kitty, non ideologica, blandamente politicizzata, nata da una famiglia bianca in una Toscana rossa.

Stesso Dna di Renzi. La mamma, Stefania Agresti, insegnante come Laura, la madre di Matteo, è vice sindaco di Laterina, il padre Pierluigi, è dirigente della Coldiretti e della Cantina sociale di San Giovanni Valdarno, un consorzio di produttori del vino. Tempo fa, quando Maria Elena non era ancora lanciata nell'empireo nazionale, Enzo Brogi, consigliere regionale che viene dal Pci, amico dei suoi genitori, chiese a Renzi un giudizio su di lei. «Disse che era bravissima e che l'aveva conosciuta e consultata per certe questioni giuridiche "Mi ha risolto diversi problemi", spiegò il sindaco, "facendomi risparmiare una barcata di soldi"».

A portarla dal rottamatore per un parere su problemi societari connessi al project financing, secondo il ricordo di alcuni, è Francesco Bonifazi, capogruppo Pd a Palazzo Vecchio e deputato a Roma, uno del "giglio magico", il cerchio degli intimi chiamato così da David Allegranti, giornalista renzologo di talento, suo primo biografo e primo a mettere a fuoco le scarpe della "leoparda della Leopolda".

Boschi lavora in uno studio legale rinomato, Tombari Laroma e associati, è secchiona, precisa, pignola, instancabile come Renzi, dicono a Firenze. Nessun episodio memorabile. Nessuna tesi folgorante. Una prima della classe con tacco dieci, assertiva e concreta.

Nel giro di poco tempo, viene nominata da Renzi nel cda di Publiacqua, la più grande azienda toscana che gestisce il servizio idrico (azionista anche la romana Acea) insieme a Erasmo De Angelis, ex giornalista del "manifesto", che ne diventa il presidente (ora è sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti).

«Maria Elena è stata una sorpresa», dice De Angelis: «Ha collaborato con l'Autorità nazionale dell'energia nel definire questioni complesse come le tariffe da un punto di vista legale. Le è bastato poco per diventare un'esperta di problemi dell'acqua a livello nazionale». Non solo. È uno degli architetti giuridici della privatizzazione dell'Ataf, l'azienda dei trasporti, la grande battaglia di Renzi che gli ha messo contro la Cgil.

Perfetta esecutrice del verbo renziano, ortodossa e adorante, boccoli e smalto alla moda, quello della Leopolda su mani e piedi color terra amazzonica, habitat dei giaguari, a furia d'interviste migliora, diventa più abile. E inizia a perdere l'abitudine di rispondere a una domanda fatta a lei con una risposta su cosa farebbe Matteorenzi, tutta una parola che declama come un marchio.

È il gabinetto per la comunicazione del rottamatore, Michele Anzaldi per la tv e il portavoce "Giobbe", Marco Agnoletti, sopravvissuto al Moloch Renzi, ghiotto di spin doctor, a decidere di alternare lei all'esposizione mediatica del sindaco. Così è Boschi che a "Ballarò" rintuzza Luigi Abete sul potere delle banche e chiede che i manager paghino i loro errori, facendo sussultare Abete, parlando del caso Alitalia. A "Piazza pulita" risponde per le rime ma in modo molto zen a una Daniela Santanchè più agitata che mai. A "Agorà" si lancia in un'intemerata sui tentativi di delegittimare Renzi: «Prima era troppo giovane, ora è troppo solo».

A volte sembra la fata Turchina, notano gli invidiosi, sguardo azzurro incantevole ed espressione estatica, è un'acqua cheta, avvertono a Firenze. Ma quando c'è da sondare il nemico, è lei ad andare in avanscoperta e a intrattenersi in Parlamento con Matteo Orfini, Andrea Orlando, Pippo Civati.

Qualcuno ricorda che solo a settembre di un anno fa con Simona Bonafè e Sara Biagiotti era parte di un trio estratto dal cilindro di Renzi, un fuori programma istintivo e immediato dopo che Pier Luigi Bersani, allora in corsa per la leadership elettorale, aveva presentato la squadra per la primarie Tommaso Giuntella-Roberta Speranza-Alessandra Moretti (ora aspirante renziana).

Nel tour delle 108 province italiane, tocca a lei la delega per l'agenda del candidato. Subito dopo, alla vigilia delle elezioni di febbraio, incassa una posizione blindata nell'elenco dei candidati a Montecitorio. Poi arriva l'incarico. La responsabilità dell'organizzazione della Leopolda 4, la più importante di tutte, la prova del nove, quella che deve davvero far cambiare il verso. Boschi non batte ciglio. Di poche parole, lei mette in moto e parte, è un motore diesel inarrestabile. Sullo sfondo Bonafè e Biagiotti la guardano fare.

E così quelle scarpe. Che oggi può permettersi di rimettere perché la Leopolda è stata un successo, tutto è filato alla perfezione, lei sul palco a dare la parola, a troncarla, in giacca rosa shocking e jeans a sigaretta. Se no, sarebbero state una maledizione, la buccia di banana, meglio prenotare un biglietto per Astana subito. Non si è saputo se Renzi, ossessivo sulla comunicazione del corpo e dell'abbigliamento, abbia apprezzato la scelta.
Ma gli esperti della fenomenologia del sindaco sostengono che le scarpe da giaguaro non sono altro che la risposta femminile del chiodo di cuoio esibito da lui nella famigerata ospitata di "Amici" di Maria De Filippi.

Si potrebbe scommettere che a Boschi questa storia delle scarpe - siano state un'opzione freudiana, una perfida interpretazione dei cronisti, una liberazione dal timore di apparire donne di plastica dell'immaginario berlusconiano, o semplicemente, come succede alle donne, l'aver indossato le preferite, le più comode, le portafortuna - dia profondamente fastidio.

Una laurea ottenuta con il massimo dei voti, il lavoro alla Commissione Affari costituzionali della Camera e l'impegno per l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, tutto passato in secondo piano per un paio di scarpe qualsiasi. Grave errore. Perché dal punto di vista delle calzature, in un certo mondo democratico il verso è cambiato. E questo fa di lei comunque un'eroina.

 

 

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