PER BERLUSCONI, IL GOVERNO È GIÀ VIRTUALMENTE CADUTO. SE IL 9 SETTEMBRE IL PD VOTERÀ IN GIUNTA AL SENATO PER CACCIARLO DAL PARLAMENTO, ENTRO POCHI MINUTI I MINISTRI PDL RASSEGNERANNO LE DIMISSIONI

Ugo Magri per La Stampa

Agli occhi di Berlusconi, il governo è già virtualmente caduto. Dai discorsi che faceva ieri in privato, e puntualmente filtrati all'esterno, la crisi sembra ineluttabile, forse pure nuove elezioni. Questione di settimane. Se il 9 settembre il Pd voterà in Giunta al Senato per cacciarlo dal Parlamento, entro pochi minuti i ministri Pdl rassegneranno le dimissioni perché, confida uno di loro, «perfino se Berlusconi non ce lo chiedesse, mai potremmo restare al fianco di chi avrà sancito la decadenza del nostro leader».

Il Cavaliere è arci-convinto che l'esito sia scolpito nel marmo, che né i Democratici né Napolitano faranno nulla per scongiurare l'ineluttabile, anzi. Considera una pia illusione la speranza, coltivata tra le «colombe» del suo partito, di strappare al Pd almeno una dilazione. Si va convincendo che, se scontro finale dovrà essere, meglio affrontarlo subito con l'animo determinato di chi non ha più nulla da perdere, neppure la libertà personale. Per cui in queste ore, vissute nel centrodestra con un senso di crescente sfiducia nel Capo dello Stato, nel premier «che se ne lava le mani» e nelle larghe intese, il barometro politico volge decisamente al peggio. Berlusconi è più «falco» dei suoi «falchi».

C'è chi, come il presidente di Mediaset Confalonieri, ancora spera che Silvio si fermi un attimo prima del patatrac. Ma nel gruppo dirigente Pdl non c'è uno cui sfugga la gravità della situazione. È tutto un tambureggiare di altolà, un martellamento di ultimatum, confusamente rivolti al Pd, al Capo dello Stato o a entrambi. Capezzone: «Tutti sono chiamati a trovare una soluzione».

Bondi: «Deve arrivare prima che si pronunci la Giunta, altrimenti sarebbe estremamente difficile, se non impossibile, continuare a sostenere questo governo». Osvaldo Napoli: «Se il Pd continua ad arrovellarsi su come far fuori Berlusconi, si accorgerà che dovrà prima far fuori il governo». Cicchitto: «Per tenere in piedi il governo occorrono spirito costruttivo e volontà di mediazione, cioè l'opposto di quanto mostrano alcuni esponenti del Pd, da Zanda alla Bindi».

La via d'uscita non c'è, eppure si vorrebbe che qualcuno la trovi. Lo stesso Berlusconi, secondo chi l'ha sentito, è vittima di una certa confusione. Da una parte manifesta sfiducia verso Napolitano, «non mi darà mai una mano»; dall'altra gradirebbe che fosse proprio il Presidente a tirarlo fuori dai guai giudiziari. E ciò sebbene risulti chiaro ai suoi avvocati (ieri Ghedini era inchiodato al lavoro) che il Quirinale nulla può.

Neppure una grazia tanto generosa quanto immediata eviterebbe al Cavaliere la decadenza da senatore, in base alla legge Severino, con conseguente rischio di arresto su mandato di qualche Procura. Per restare in Parlamento, a Berlusconi servirebbe disinnescare la legge con l'aiuto (o la complicità) del Pd. Sa benissimo che non avrà né questa né quello. Dunque si prepara a vendere cara la pelle.

Pare crollata anche l'ultima diga capace di trattenere l'ira del Cavaliere: cioè la paura che dopo Letta non si torni immediatamente alle urne. E invece di sciogliere il Parlamento, Napolitano riesca a mettere in piedi un altro governo finalizzato a colpire il Pdl (riforma elettorale tipo Mattarellum) e le aziende del Biscione (legge sul conflitto d'interessi, tetti alla pubblicità televisiva). «Ci provassero», è la sfida lanciata da Arcore. Dove hanno fatto i loro conti, non credono che in Senato quel governo avrà mai i numeri. E pure se li trovasse, vivrebbe di vita effimera, un ottimo punching-ball per la campagna elettorale della destra.

 

 

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