TUTTI APPESI AL RUBYGATE - SE IL BANANA BECCA LA MAZZATA AL PROCESSO D’APPELLO, L’ASSE CON RENZI POTREBBE SALTARE, LE RIFORME VANNO A FARSI BENEDIRE E NEL PARTITO SI RIACCENDEREBBE LA FAIDA INTERNA
Ugo Magri per “La Stampa”
Sul pianeta berlusconiano, normalmente chiassoso, è calato un silenzio di tomba perché tutti attendono domani sera. Il verdetto d’appello su Ruby sarà un vero spartiacque per Silvio, per i contestatori interni e per la politica italiana. L’uomo vorrebbe essere assolto, su questo non ci piove. Gli è molto piaciuta la difesa di Coppi e Dinacci, i quali del castello accusatorio a suo dire non hanno lasciato in piedi nulla.
Al punto che Berlusconi nemmeno si accontenterebbe più di uno sconto, tipo 6 anni o 3 invece dei 7 ricevuti in primo grado. Vorrebbe uscirne alla grande, tra gli squilli di tromba, con le scuse della Corte e il tripudio dei suoi fan. Poi, certo, l’ex Cavaliere si rende conto che magari non andrà proprio così, e limitare il danno sarebbe comunque meglio di subirlo per intero.
Nel primo caso se ne farebbe una ragione, e qualche merito senza dubbio lo riconoscerebbe a Verdini, a Romani, a Gianni Letta, a tutti coloro che nelle ultime settimane l’hanno implorato di sembrare serio e responsabile, uno statista. Berlusconi assolto, o con un barlume di speranza nel futuro verdetto di Cassazione, si convincerebbe che fare il bravo conviene. Sosterrebbe le riforme restando all’opposizione, e Renzi non chiederebbe di meglio.
Ma la Corte sarà davvero clemente? Nessuno può saperlo. La ventata di ottimismo si basa soltanto su voci, sensazioni, cioè su niente di concreto. Colpisce l’immaginario berlusconiano che perfino il pm si sia complimentato con gli avvocati dopo l’arringa difensiva. Eppure il primo a non fidarsi delle congratulazioni è lo stesso professor Coppi (scaramantico, va in giro con una collezione di cornetti anti-jella). Se domani arriverà la mazzata, nessuno sa quale potrebbe essere la reazione del condannato.
«Tutto è possibile», ammettono intorno a lui. Il barometro più attendibile da quelle parti rimane Toti, consigliere politico di Berlusconi. Perfettamente in equilibrio tra i due scenari. Sostiene le riforme, batte sul dovere di lealtà, però senza sbracciarsi, cedendo volentieri a Romani il ruolo di «frontman». Preoccupandosi semmai di segnalare lo scetticismo europeo verso Renzi, che Toti ha toccato con mano in un giro di colloqui al Parlamento di Strasburgo.
Sicuro al cento per cento, Berlusconi ri-condannato se la prenderebbe con quanti gli hanno fatto recitare la parte dell’illuso, che dà a Renzi via libera per ritrovarsi in mano un pugno di mosche. Inseguirebbe col forcone Verdini che di Renzi è l’ambasciatore, maledirebbe la stirpe fiorentina sua e di Matteo. Nell’eterno pendolo berlusconiano, tornerebbero in auge coloro che l’altro ieri, all’assemblea dei gruppi, sono stati presi a male parole: gli onesti dissidenti, da Minzolini a Capezzone, che mai gli hanno mentito. Crescerebbe il tasso di opposizione incarnato più che mai da Brunetta...
Insomma, domani la storia del centrodestra prenderà una piega o l’altra, a seconda che il vecchio patriarca venga travolto o possa incamminarsi verso una lenta serena dissolvenza. Ecco spiegato come mai la «fronda» rimane accucciata. In attesa degli eventi. Questione di ore, in fondo. La riunione dei bastian contrari, che avrebbero dovuto ribellarsi all’«ukase» berlusconiano sulle riforme, è stata rinviata.
Perfino i contestatori più accesi si sono resi conto che non sarebbe il momento. Tuttavia, nemmeno c’è stata la resa senza condizioni. Ripetutamente ieri Verdini ha chiamato Fitto per convincerlo a sventolare bandiera bianca, a telegrafare ad Arcore una parola sola, «obbedisco». Ma senza successo. Su 110 parlamentari «azzurri», i dissidenti pronti a tutto rimangono una trentina, pronti a balzar fuori dalla trincea.