E SE DRAGHI FACESSE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI UN GOVERNO TECNICO? È UNA VECCHIA IDEA DI GIANCARLO GIORGETTI CHE NON VEDE L’ORA DI TUMULARE IL BIS-CONTE: PER IL LEGHISTA LA MAGGIORANZA GIALLO-ROSE’ POTREBBE NON ARRIVARE ALLA PRIMAVERA - LA DOMANDA CHE CIRCOLA IN TRANSATLANTICO È: “CHI DIREBBE DI NO A DRAGHI?”
mario draghi christine lagarde
Ilario Lombardo per “la Stampa”
Per sapere se ci sarà un futuro in politica di Mario Draghi, oltre che alla moglie, sarà bene chiedere a Giancarlo Giorgetti. Il numero due della Lega, ex sottosegretario di Palazzo Chigi durante le tormente del governo gialloverde, ad alcuni amici leghisti ha confidato uno scenario che vedrebbe a breve il presidente uscente della Banca centrale europea «premier di un governo tecnico».
Ipotesi come tante, in questi giorni in cui la maggioranza fa i conti delle ferite sulla manovra, facilitando l'esercizio di chi scommette sulla fine prematura del Conte II. Ma Giorgetti ha un lungo e solido rapporto con Draghi. E' con lui che il presidente della Bce interloquiva quando la tensione sui mercati, causata dalla gara di slogan urticanti dei grilloleghisti contro l'Europa, raggiungeva livelli di allerta. Secondo la profezia di Giorgetti l'attuale maggioranza potrebbe non arrivare alla primavera.
Le scottature della legge di Bilancio e le sconfitte alle regionali, soprattutto se la Lega dovesse espugnare l' Emilia Romagna dopo l' Umbria, renderebbero impossibile continuare l'esperienza grillo-dem-renziana. «A febbraio» secondo il leghista ci potrebbe essere l'epilogo. In tempo perché i partiti possano affilare le armi e giocarsi la propria partita nelle restanti regioni che andranno al voto prima dell' estate del 2020.
L'implosione del M5S e la fame di parlamentari di Matteo Renzi potrebbero trasformare le Camere in un pianeta in cui tutto diventa possibile.
matteo salvini giancarlo giorgetti
La domanda che si fa Giorgetti e si fanno in molti è: «Chi direbbe di no a Draghi?». Nonostante Salvini, i grillini più irriducibili (sempre meno) e forse Fratelli d'Italia, in un perimetro preciso di riforme, sarebbe complicato sfilarsi. Anche perché mancherebbero tre anni alla fine della legislatura e la voglia di andare a casa dei parlamentari è notoriamente inesistente.
Se una maggioranza si confermasse in Parlamento, se ne dovrebbe fare una ragione anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da più parti considerato riluttante all' idea di offrire una terza chance di governo a queste Camere così balcanizzate.
La suggestione comunque piace molto anche a Silvio Berlusconi che può muovere truppe decisive tra Montecitorio e Palazzo Madama. L'ex Cavaliere non ha mai smesso di raccontare di essere stato lui a volere Draghi all'Eurotower. Rappresenterebbe una garanzia di stabilità. Il patron di Forza Italia non ha mai nascosto di vederlo come suo erede alla testa di un centrodestra moderato. Tanto più ora, per contrastare l' egemonia salviniana.
Da ex premier ad ex premier, ma dalla parte completamente opposta, anche Romano Prodi si è sperticato in elogi alla domanda se quella frase sibillina di Draghi sul futuro in politica («non lo so chiedete a mia moglie») volesse dire qualcosa: «È stato importantissimo. Tanto è vero che la Bce è diventata il punto di riferimento e di continuità della politica europea in questi anni». Sempre che Draghi non voglia custodirsi per il dopo-Mattarella. E chi lo sa se, a quel punto, per la poltrona del Quirinale sarà sfida a due proprio con Conte .