SI COMINCIA BENE! BOTTE E SCONTRI AL PRIMO COMIZIO DI ZEMMOUR: IL POLEMISTA DI ESTREMA DESTRA, CANDIDATO ALLE PRESIDENZIALI IN FRANCIA, VIENE AFFERRATO AL COLLO. MA DA UN AGGRESSORE O DA UN FAN TROPPO ENTUSIASTA? - TRA IL PUBBLICO SI ERANO INFILTRATI MILITANTI DI “SOS RACISME”, CHE NON APPENA SI SONO RIVELATI SONO STATI MENATI DAI SOSTENITORI DI ZEMMOUR. E VIA CON PUGNI, SEDIE CHE VOLANO, SANGUE E INSEGUIMENTI. PER LA GIOIA DEL “NUOVO RE DI FRANCIA”, CHE SULLA TENSIONE E LA RABBIA BASA TUTTA LA SUA CAMPAGNA ELETTORALE - VIDEO
Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera”
Non è stato un comizio come gli altri , perché Éric Zemmour non è un candidato come gli altri. Questa è la sua forza e ciò che molti giudicano inquietante.
Si sono viste sedie volare, pugni in faccia, sangue, inseguimenti con le cinghie in pugno, invocazioni al nuovo «re di Francia», e lo stesso Zemmour all’arrivo viene agguantato al collo da un aggressore, o forse un fan troppo entusiasta, mentre per raggiungere il palco attraversa tutta la grande sala tra spintoni, un servizio d’ordine quasi sopraffatto, musica epica e la folla che urla gioiosa e furibonda «Zed! Zed! Zed!» come la «Z» (zeta in francese si dice zed) di Zemmour.
Ovvero l’uomo che promette di restituire ai francesi «il più bel Paese del mondo», che sarebbe stato rubato loro dagli immigrati, dalle élite che hanno tradito, dai giornalisti, dalla sinistra ipocrita e politicamente corretta e dalla destra che ha smesso trent’anni fa di fare il suo lavoro.
Fuori dal comune anche il luogo: il gigantesco Parc des Expositions di Villepinte, alla periferia di Parigi, scelto perché capace di contenere 15 mila persone, giudicato più controllabile dalla polizia che già temeva incidenti, e infine simbolicamente situato nella Seine-Saint-Denis, il dipartimento dove l’immigrazione musulmana è più alta e dove Zemmour ha lanciato ieri la sua Riconquista.
«Reconquête!» è il nome del nuovo partito. Per Zemmour appassionato di Storia è un richiamo evidente alla Reconquista che nel Medioevo permise ai regni cristiani della penisola iberica di riprendersi i territori occupati dall’islam, con la conquista finale di Granada nel 1492.
reconquete il partito di eric zemmour
Il comizio di Villepinte ieri era il primo appuntamento della campagna elettorale, quello in cui Zemmour era atteso alla trasformazione definitiva da polemista televisivo e scrittore di pamphlet di enorme successo a candidato credibile alla presidenza della Repubblica. Ma chi pensava o sperava in una normalizzazione è stato deluso.
botte al comizio di eric zemmour
Scenografia di enorme effetto, affidata a Olivier Ubéda (già vicino a Sarkozy) che cura la comunicazione di Zemmour, ieri apparso in pubblico con inediti occhialini, che nelle intenzioni dovevano forse essere rassicuranti. Sei schermi giganti, tre a ogni lato del palco, perché tutti possano vedere il leader carismatico; tricolore francese ovunque, più qualche sostenitore avvolto nella bandiera con il giglio dei monarchici di estrema destra dell’Action française.
L’attesa del capo è interminabile: scorrono i video delle riunioni in tutta la Francia, quelle che in teoria erano solo presentazioni dell’ultimo libro La Francia non ha detto l’ultima parola. Per esempio in Corsica, dove Zemmour aveva reso omaggio al popolo corso e all’adorato Napoleone, teorizzando che la Francia non ha bisogno di altra diversità perché ce l’ha già al suo interno, tra bretoni e occitani, normanni e corsi, pronti a fondersi — come lui, ebreo berbero d’Algeria felice di assimilarsi — in un’unica nazione.
Tra i tanti oratori che si succedono davanti al pulpito per scaldare la platea c’è l’alto funzionario e saggista un tempo vicino ai Le Pen, Paul-Marie Coûteaux, che se la prende con l’America e la sua «cultura di paccottiglia» dalla quale la Francia deve rinascere indipendente, e poi invoca Zemmour che sarà «più che un presidente, sarà il re di Francia, è una questione d’amore che toccherà il cuore di ogni francese».
Questa faccenda dell’amore è un po’ sospetta, perché anche il curatissimo merchandising gioca sul tema, con un’autoironia divertente e lievemente sinistra: si vendono magliette con la scritta «Fate Zemmour non fate la guerra», e il logo della campagna su cappellini e tazze da caffé prevede un ramoscello d’ulivo stilizzato: simbolo di pace e riferimento a Zemmour che in berbero significa «ulivo».
Solo che quando i militanti di Sos Racisme infiltrati tra il pubblico — indubbia provocazione — aprono i cappotti mostrando le magliette che formano la scritta «no al razzismo», vengono subito menati da zemmouriani di estrema destra. Gli incidenti si ripetono ma Zemmour porta a termine il discorso. «Gli avversari vogliono la mia morte politica, i giornalisti la mia morte sociale e gli jihadisti quella fisica», dice, ma questo non fa che esaltare lui e il suo pubblico. On est chez nous!, ripetono, «Questa è casa nostra».
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