SILVIO BANANA LASCIA ALFANO SEGRETARIO PDL PERCHE’ INTANTO STA RIALLESTENDO FORZA ITALIA PER IL VOTO DI OTTOBRE

Carmelo Lopapa per "La Repubblica"

È il piano B del Cavaliere per tornare al voto a ottobre. I segnali si moltiplicano di giorno in giorno, non c'è altro tempo da perdere, le motivazioni Unipol si sommano a tutto il resto. «Ormai è un cerchio che si stringe e il Pdl deve adeguarsi alla svolta, a quel che ci attende» dice un Silvio Berlusconi assai cupo al cospetto di falchi e colombe tornate a sedere allo stesso tavolo.

Il suo: primo vertice notturno a Palazzo Grazioli dopo dieci giorni di blackout del capo, rientrato solo ieri a Roma Trascorre il pomeriggio a registrare spot e interviste alle tv locali per sostenere Alemanno al ballottaggio. Ma la testa dell'ex premier corre altrove. Al giudizio del prossimo 19 giugno alla Consulta sul legittimo impedimento nel processo Mediaset, alla sentenza Ruby del 24. «È evidente che la tregua non sta reggendo» ripete ai suoi interlocutori.

Al vertice ci sono il coordinatore Verdini, il segretario Alfano, i capogruppo Brunetta e Schifani, compare Gasparri. Ma non Sandro Bondi, a sorpresa, benché invitato e in odor di rientro nei panni di coordinatore (dismessi un anno fa). «Non vado per evitare che la mia presenza venga strumentalizzata» fa sapere il dirigente che Alfano e altri "governativi" rivorrebbero ai vertici per compensare lo strapotere di Verdini in via dell'Umiltà.

Anche di queste frizioni interne il Cavaliere si cura poco o nulla. «Avete letto le motivazioni Unipol? Io, l'uomo più intercettato d'Italia, divento l'unico condannato per la pubblicazione di intercettazioni» è il solo sfogo che si concede sulla vicenda. Per il resto, lascia che per tutto il giorno siano i parlamentari Pdl a menare fendenti con toni sempre più pesanti. Per Berlusconi, «è l'ennesima prova dell'accanimento per eliminarmi dalla scena politica».

E siccome i vertici istituzionali dai quali si attenderebbe un segnale, Quirinale in testa, tacciono, ecco che il Cavaliere non fa più mistero di prendere in considerazione l'ipotesi di un ritorno alle urne entro l'anno, in autunno. Gli consentirebbe, spiega, di affrontare la sentenza di Cassazione e l'eventuale interdizione dai pubblici uffici da presidente del Consiglio. E, a quel punto, innescare un conflitto di attribuzioni.

Scenario da Armageddon, scontro aperto tra poteri dello Stato. Scenario da brividi, visto dal Colle. Tant'è che il leader Pdl a tutti spiega come l'unico ostacolo al suo "Piano B" sia proprio in cima al Quirinale, convinto com'è che difficilmente Napolitano scioglierebbe le Camere anche in caso di crisi del governo Letta. «L'esecutivo per ora va avanti, ma fatevi sentire su Iva, Imu e quant'altro» dice in serata al vicepremier Alfano. Ma tutto resta più che mai sospeso.

Tant'è che nella testa di Berlusconi - e nella macchina organizzativa che fa capo a Verdini - si lavora già a un nuovo partito, leggero, movimentista. È stato proprio Denis Verdini a illustrare ai commensali in serata il progetto del quale lui, la Santanché e Capezzone hanno parlato nel week end in Sardegna col leader.

È il modello di partito «a farfalla», che riapre le ali giusto alla vigilia del voto. Ma la vera novità, che ha lasciato di stucco a Palazzo Grazioli e fuori, è la creazione dei "coordinatori regionali a budget".

Partiti senza più finanziamenti pubblici e allora - è il piano Verdini che piace al capo - ecco che i responsabili regionali d'ora in poi avranno una missione: racimolare un tot di finanziamenti privati. E saranno riconfermati al loro posto solo se il budget sarà centrato. Segretari-lobbisti, quasi. Una svolta senza precedenti per un partito italiano. Per il resto, partito leggero che punterà molto sul web per le campagne e dirigenti locali e nazionali ridotti al minimo (come sedi e dipendenti, del resto).

Il Pdl è schierato a testuggine in difesa del presidente. Daniela Santanché ieri sera a Otto e mezzo è arrivata a ipotizzare lo «sciopero delle tasse degli otto milioni che hanno votato per Silvio» come possibile reazione alle condanne. Ma ormai anche una moderata come la Gelmini va dichiarando che «la responsabilità ha un limite».

 

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