SE L’IMPEACHMENT DIVENTA UN IMPICCIO - LA SINISTRA SCENDE IN STRADA E IL PRESIDENTS’ DAY DIVENTA ‘NOT MY PRESIDENT’S DAY’. VOGLIONO METTERE IN STATO D’ACCUSA TRUMP A UN MESE DALL’INSEDIAMENTO - MA LA PROPOSTA È COSÌ ESTREMA (E IRREALIZZABILE) DA DIVENTARE UN BOOMERANG. E SE ANCHE DOVESSE SUCCEDERE, ARRIVA MIKE PENCE
Federico Rampini per la Repubblica
«Mettiamo al bando la parola con la I». Basta sognare scorciatoie facili per far fuori Donald Trump. Il vero rischio è cacciarsi in un angolo, fare un’opposizione sterile e settaria, perdere contatto col paese. Nessuno pronunci più quella parola esplosiva: i come impeachment. Lo chiede la sinistra- establishment, i dirigenti del partito democratico sono in allarme. A furia di evocare l’impeachment, per un presidente in carica da un solo mese, si rischia una fuga in avanti. Troppo radicale.
E comunque irrealista. I vertici si affannano perché si smetta di elucubrare su una fine anticipata di questa presidenza. «Non è all’ordine del giorno», taglia corto la capogruppo alla Camera Nancy Pelosi: occupiamoci di obiettivi realisti, la scadenza delle prossime elezioni legislative è vicina, novembre 2018, va preparata coi programmi giusti e i candidati giusti per garantire una rivincita almeno al Congresso.
Eppure… La discussione sull’impeachment è irresistibile. Dilaga nella sezione commenti dei giornali di sinistra. Soprattutto, i cartelli con la “I” li ho contati a centinaia per le strade di Manhattan, ieri. Era President Day, festa nazionale. Trasformata dall’opposizione in Not My President’s Day. Manifestazioni in tante città d’America, una delle più grosse qui a New York, Columbus Circle e Central Park West, sotto una Trump Tower. Buona affluenza e tanti, tantissimi striscioni che inneggiano all’impeachment. L’organizzazione più capillare della sinistra di base, la californiana Move.On, ha iniziato raccolte di firme e mobilitazioni per l’impeachment.
I parlamentari democratici sentono sul collo il fiato di questa base esasperata e scalpitante, già esausta dopo un mese di Amministrazione Trump, assetata di rivincita il più presto possibile. Siamo in uno di quei periodi che il calendario parlamentare definisce Recess: Camera e Senato sono chiusi, i rappresentanti del popolo tornano nei rispettivi collegi. Qui il rapporto fra parlamentari e cittadini è molto stretto, per via del sistema elettorale che fa del collegio la cellula di base della democrazia rappresentativa (anche quando, nel caso dei senatori, il collegio è l’intero Stato che rappresentano).
Senatori e deputati democratici sono per forza immersi in bagni di folla, a casa loro. E la base li incalza. Il più accerchiato di tutti è il newyorchese Chuck Schumer: oltre ad essere il senatore anziano di questo Stato lui è diventato anche il capogruppo democratico al Senato, quindi di fatto il leader dell’opposizione. È un personaggio discusso per via della sua antica amicizia con Trump. Move.On e le altre organizzazioni di base gli puntano i riflettori addosso. Opposizione dura, niente compromessi, ostruzionismo a oltranza quando è possibile. E iniziare a lavorare subito per l’impeachment.
trump e mike pence circondati da famigliari
Su che basi? Le premesse giuridiche sono discutibili, forse labili. Alto tradimento, per via della Putin-connection? Ma è una vicenda che risale alla campagna elettorale mentre i presidenti sono soggetti a impeachment per reati commessi alla Casa Bianca. Sospetta elusione fiscale perché rifiuta di divulgare le dichiarazioni dei redditi? Ma non c’è una legge che lo costringa a farlo.
Forse i vari conflitti d’interessi offrono più appigli. L’ala moderata e pragmatica del partito democratico però invita a non dimenticare i rapporti di forze. L’impeachment (interdizione) non lo decidono i giudici ma il Congresso: dove i repubblicani hanno per adesso una solida maggioranza.
Prima la Camera deve nominare una sorta di grande inquisitore (Special Prosecutor, Independent Counsel). Se questo magistrato trova materia d’incriminazione la Camera vota il sì al procedimento. Il processo vero si tiene al Senato e la condanna dev’essere votata con i due terzi. Non ci sono i numeri, dicono i pragmatici alla Schumer. E aggiungono un avvertimento: anche a sognare un impeachment post-2018, qualora ci sia una maggioranza democratica, mica andrebbe alla Casa Bianca uno dei nostri. Toccherebbe al vice Mike Pence, e forse sarebbe come cadere dalla padella nella brace.
trump e lo speaker congresso pence