SONETTI MAFIOSI - CAMBIA IL MODO DI COMUNICARE, MA IL LINGUAGGIO DELLA ‘NDRANGHETA RESTA IMMUTABILE - I COMANDAMENTI NON SONO SCRITTI E NON DICONO COSA SI DEVE FARE O NON FARE, SI LIMITANO A ESPORRE DELLE LEGGI UNIVERSALI, CONDITI DA COSINE DEL TIPO: “GIURO CHE SE NON MANTERRÒ QUESTO GIURAMENTO, SARÒ UCCISO NELLA MANIERA PIÙ ATROCE”...

Stefano Bartezzaghi per "la Repubblica"

«Bisogna fare attenzione, con il mangiare». «Hai visto quel «pisciaturu» (= «orinatoio») di Zambetti come ha pagato. Ehh, lo facevamo saltare in aria. Si è messo a piangere, oh, davanti a me a zio Pino». «Eh, Zambettino, Zambettino». Il contenuto delle ultime intercettazioni di conversazioni 'ndranghetiste ha testimoniato la profondità oramai sistemica dei guasti, per denegare i quali ancora l'altro ieri l'orgoglio padano giungeva a sdegni da verginella (che poi «guasti» non è neppure la parola: a quanto pare ha sempre funzionato tutto alla perfezione).

Ma, dal punto di vista non conoscitivo bensì emotivo, le stesse intercettazioni hanno colpito chi si tiene informato sulle indagini a proposito di criminalità e politica in Lombardia per il lessico, la logica, persino le interiezioni e il tono (tono che è facile sentire risuonare anche solo leggendole). In un'analisi oramai classica si era dimostrato come, un certo punto, i boss si fossero messi a imitare i loro corrispettivi hollywoodiani interpretati da Pacino, De Niro, Brando.

Era la mafia all'epoca della sua rappresentazione visibile (e, quindi e innanzitutto, del suo rispecchiamento). Ma ora che gli specchi di malavita, politica, news e show si guardano tutti, nell'ultramodernismo mediale e ridanciano, fra i modelli seguiti dai capibastone pare esserci soprattutto il boss lunatico e rauco di Corrado Guzzanti, nel Caso Scafroglia e in Aniene.

Quando la parodia funziona così bene, alla realtà viene la tentazione di assimilarla proprio nel senso di adottarla, affiliarla, darle il proprio nome. Per il quinto dei loro libri su criminalità organizzata, e in particolare quella di tradizione calabrese, il magistrato Nicola Gratteri e il giornalista Antonio Nicasio hanno scelto la chiave d'accesso dei codici, e questo è chiaro sin dal titolo e dal sottotitolo del libro (Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Dire e non dire. I dieci comandamenti della 'ndrangheta nelle parole degli affiliati, Mondadori, pagg. 216, euro 17,50).

Le accezioni della parola codice pertinenti però sono due, da tenere distinte. Una è l'accezione appunto giudiziaria: il codice come libro della legge, che associa una pena a ogni trasgressione. A questa accezione risponde il sottotitolo del libro e il suo indice, che ha un capitolo per ogni «comandamento» 'ndranghetista. 1. La 'ndrangheta è una e una sola. 2. Chi tradisce brucerà come un santino. 3. Non si sgarra né si scampana. 4. La famiglia è sacra e inviolabile. 5. Cumandari è megghiu chi futtìri. 6. A tavola tutto si divide e tutto si discute. 7. Senza soldi non si cantano messe. 8. Cu campa campa, cu mori mori. 9. Tutto passa, anche il carcere. 10. È sempre stato così e sarà così per sempre.

Come si vede, non si tratta sempre di comandamenti prescrittivi, che dicono cosa fare e cosa non; in molti casi sono norme descrittive. La griglia dei dieci capitoli è il diagramma dell'esplorazione che i due autori hanno compiuto all'interno della mentalità dello 'ndranghetista.

Poi c'è la seconda accezione di «codice», che è quella a cui si riferiscono la copertina (con le ormai classiche scimmiette), il titolo del libro, il testo dei capitoli e in particolare la preziosa sezione in appendice, intitolata: «Aforismi. Le parole della 'ndrangheta, la 'ndrangheta delle parole». È l'accezione semiotica del termine «codice», quella in cui le espressioni tipiche e quotidiane rivelano una visione del mondo.

Nell'iniziazione, l'adepto giura, e poi giura di non tradire il giuramento: «Giuro che se non manterrò questo giuramento, sarò ucciso nella maniera più atroce». Giuro che sarò ucciso? Ma quando mai, altrove, si giura non sul fatto che qualcosa càpiti? Un simile giuramento non impegna ad altro che non alla rinuncia (immediata) ad avere intenzioni personali. Giuro che il gruppo avrà ragione anche quando deciderà di uccidermi nella maniera più atroce. Altri frammenti rimandano non alla fonte arcaica e oscura delle tradizioni, ma al mondo contemporaneo, come quando il paciere diventa un pacifista: «Se c'era da mettere a posto dei disguidi andavano tutti da Pepè e Pepè diceva è giusto così, è sbagliato così. Insomma un uomo pacifista. Ecco, Pepè è un pacifista, uno che metteva a posto ma è chiaro che alle spalle ha anche la banda armata».

Fa meno sorridere accorgersi che questa è la 'ndrangheta che incomincia a masticare la lingua della contemporaneità. Che gli strumenti della semiotica e dell'antropologia avessero molto da dire a proposito della criminalità organizzata è stato chiaro a partire dal libro che Giovanni Falcone pubblicò assieme a Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra (Rizzoli) più di vent'anni fa, nel 1991. Molto più recentemente il magistrato Michele Prestipino e il giornalista Salvo Palazzolo nel loro Il Codice Provenzano (Laterza 2009) hanno delineato l'apparato di cifratura e trasmissione che ha consentito all'ultimo boss corleonese di mantenere il comando operativo di Cosa Nostra attraverso un'alluvione di «pizzini»: quasi come un grande twittatore.

In Dire e non dire Gratteri e Nicaso spiegano i comandamenti, che in grande parte rispondono ancora all'identità più tradizionale e folk della 'ndrangheta, attraverso le parole ascoltate, trascritte, spiate nell'arco di un secolo di indagini. Le più recenti dimostrano come i suoi codici convergano oramai con quelli della politica e dello spettacolo, senza che la ferocia dei soprusi ne sia scalfita. Se si pensava che il contatto con la società contemporanea avrebbe attenuato la forza di associazioni di derivazione pressoché tribale, ci si sbagliava, e di molto.

Al contrario, tale forza è riuscita (almeno in parte) a imbrigliare, a indirizzare e a modellare le evoluzioni sociali e politiche. Nelle parole dei 'ndranghetisti odierni si capisce che anche la mafia ha avuto il suo «nuovo che avanza», e forse è stato più forte di quello della politica e di quello della società. In uno degli ultimi «aforismi» raccolti da Gratteri e Nicaso un collaboratore di giustizia segnala: «La ‘ndrangheta sta diventando sempre più pulita». E forse questo fa ancora più paura delle pistole spianate e dei capretti sgozzati.

 

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