DI-PARTITO DEMOCRATICO - LO STRAPPO DELLA MINORANZA PD: "AL 95% SIAMO GIA’ FUORI" - BERSANI: "NON STRAVOLGIAMO IL PD PER LE VELLEITA’ DI UNO SOLO" - RENZI: "NON SONO SORPRESO, SCISSIONE DECISA DA TEMPO. HANNO UNO STRANO CONCETTO DI DEMOCRAZIA. RESTANO SOLO SE IL CAPO LO DECIDONO LORO, E NON DEVO ESSERE IO" - EMILIANO SI APPELLA A FRANCESCHINI: "PUO’ FERMARE LA SCISSIONE"
Nino Bertoloni Meli per Il Messaggero
Quel «fermatevi» agitato, gridato quasi, da Bersani suona come un «addio» alle orecchie di Renzi. Si dice «fermi tutti», va letto «scissione». «È da tempo che la stanno preparando, non sono sorpreso», avrebbe sibilato il leader con i suoi, spiegando che lo sbocco della vittoria del No al referendum, secondo la ex minoranza ora sul punto di andarsene, erano le dimissioni del segretario con congresso immediato.
Che infatti avevano chiesto, salvo poi pentirsene quando hanno visto e capito che di fare le valigie Matteo il pugnace non aveva neanche l’intenzione. «Hanno uno strano concetto di democrazia. Restano solo se il capo lo decidono loro, ed è chiaro che non devo essere io», ha poi spiegato ai suoi Renzi, che comunque non rinuncia a un ultimo appello: venite al congresso lo avete chiesto voi. Il segretario e i suoi aggiungono: ci abbiamo provato fino all’ultimo ma è tutto pretestuoso, non hanno leadership né numeri.
Si conclude la storia del Pd per come è stata conosciuta finora. Chiude i battenti quel partito nato dalla fusione tra Ds e Margherita che doveva sussumere l’Ulivo per andare oltre, anche elettoralmente, come in effetti riuscì a fare (quasi 34 per cento con Veltroni leader, oltre il 40 per cento con Renzi, più o meno gli stessi voti in cifra assoluta).
La separazione non consensuale dovrebbe avvenire domenica all’assemblea nazionale del Pd: dopo i primi interventi, uno della minoranza si alza, va alla tribuna e legge un documento nel quale sono illustrate le ragioni della scissione, quelli già elencati da Pierluigi Bersani nella sua lettera sul «fermatevi» («il Pd è diventato il partito personale di uno», l’accusa più acuminata). Renzi è già in movimento per recuperare sul versante sinistro: ha visto a Milano Pisapia, che in prospettiva sarà alleato elettorale. (...)
2. RICHIESTA DI BERSANI: FERMATE MATTEO
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
«Al 95% siamo già fuori». Nella minoranza gira un numero choc, due cifre che dicono come solo un miracolo possa scongiurare la scissione. La lettera di Pier Luigi Bersani ai vertici del Pd, pubblicata dall' Huffington , si incunea nel restante 5%. Una minuscola quota fatta di incontri riservati, telefonate concitate e ultimi tentativi di mediazione.
Ci prova Delrio, ritenuto dal patto scissionista Speranza-Emiliano-Rossi la personalità più affidabile per condurre la mission impossible . Non demorde Lorenzo Guerini, che alla Camera ha parlato a lungo con Pier Luigi e poi lo ha salutato, deluso. «Lorenzo ci ha provato in tutti i modi - assicurano i renziani -. Ma invano, Bersani ha già deciso».
Matteo Renzi e Massimo D Alema
Un timore condiviso al Nazareno, dove Matteo Renzi si è chiuso con Rosato, Fassino, Richetti, Guerini e ha maturato l' idea di un ultimo, forte richiamo alla responsabilità, per lasciare alla sinistra il peso della rottura. Per Michele Emiliano «la scissione è nei fatti e Franceschini ha la chiave per bloccarla». Come? Chiedendo a Renzi «di rallentare per tenere il gruppo unito». Appelli e moniti che, a leggere la lettera di Bersani, hanno il sapore del passato.
Il nuovo movimento, con tanto di nome, potrebbe nascere già domani al Teatro Vittoria, dove dal palco Rossi, Emiliano e Speranza presenteranno il loro documento per andare oltre il renzismo. In platea Massimo D' Alema e molti nomi della sinistra già fuori dal Pd. Domenica la minoranza è attesa all' assemblea nazionale con Renzi, eppure non è escluso che - se tutto precipita - vada solo un rappresentante della nascente «cosa» rossa.
Le ragioni della rottura Bersani smentisce che a innescare la miccia della scissione siano stati «bizantinismi o questioni di lana caprina», come il calendario del congresso.
No, la rottura viene da lontano e riguarda «questioni serie e vitali per il Paese e per il Pd». Scuola, lavoro, politiche economiche e fiscali, disuguaglianze sociali e le sconfitte degli ultimi due anni, su cui «è stata zittita ogni richiesta di discussione vera».
Nei piani di Bersani il congresso per la leadership potrà partire solo dopo una «riflessione fondativa», così che le assise non siano soltanto una conta sanguinosa. «Renzi faccia attenzione - avverte Speranza in tv dalla Gruber a La7 -. Se il Pd è di Renzi, non ci sarà spazio per noi. Ma sarebbe drammatico immaginare che lunedì la mia storia nel Pd potrebbe essere finita.
Bersani vorrebbe un processo «ordinato» e non affrettato, che inizi e giugno e si concluda in autunno, traghettando la legislatura alla scadenza naturale senza una «spada di Damocle sul nostro stesso governo». E per cosa? Per non farsi logorare? No, accusa Bersani, se si stravolge il percorso è «per le velleità di una persona sola», mentre l' agenda del Pd dovrebbe mettere prima il Paese, poi il partito, poi le esigenze di ciascuno: «Se non teniamo ferma questa sequenza non siamo più il Pd».
Matteo Renzi e Massimo D Alema
Un appello, ma anche l' ennesimo attacco alla corsa solitaria di Renzi verso il voto, obiettivo che la minoranza non considera affatto sparito dai radar del Nazareno. «Mi rivolgo a tutti quelli che hanno buon senso e hanno sostenuto il segretario e dico: non date seguito alle infauste conclusioni dell' ultima direzione. Fermatevi». Un invito che il senatore Andrea Marcucci giudica paradossale: «Chiede a Renzi di fermarsi, mentre è lui che evidentemente ha deciso di abbandonare il Pd».
I fondatori sono angosciati. Per Walter Veltroni la scissione «è un incubo». Andrea Orlando ne vede le «conseguenze disastrose» e implora la minoranza di lanciare segnali di apertura.
Anna Finocchiaro ricorda come nessuna delle scissioni a cui ha assistito abbia rafforzato la sinistra, anzi «spesso ha bruciato personalità di primo livello». Piero Fassino vede a rischio non solo il Pd, ma il Paese. Roberto Morassut guarda oltre la rottura: «Sciogliamoci, per rinascere sotto forma di movimento».