FORZA ITALIA S’IMBOSCHI! LA STRATEGIA DI BRUNETTA VIENE SCONFESSATA DA MEZZO GRUPPO PARLAMENTARE: PER NON DIVIDERSI, I FORZISTI USCIRANNO DALL’AULA AL MOMENTO DEL VOTO. E LA MOZIONE DI SFIDUCIA MUORE PRIMA ANCORA DI ESSERE VOTATA…
1 - SFIDUCIA BOSCHI, FORZA ITALIA USCIRÀ DALL'AULA PER STARE UNITA. ROMANI CONTRO BRUNETTA, DIPENDENTI LICENZIATI, SILVIO ASSENTE
Alessandro de Angelis per “Huffington Post”
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Se Forza Italia fosse ancora un partito, la decisione di uscire dall’Aula quando si voterà la sfiducia alla Boschi si potrebbe leggere come un “soccorso azzurro”. O comunque come una mossa ispirata da un calcolo politico razionale. Invece è la classica scelta del male minore, in assenza di linea.
Il problema è che ormai Forza Italia, o meglio ciò che ne resta, è un vascello alla deriva, il cui peso nelle istituzioni, come si è visto sulla Consulta, è irrilevante. E così un paio di giorni fa è accaduto che Renato Brunetta ha riunito un po’ di persone del gruppo per sottoporre la sua posizione sul caso Boschi: noi – questo il senso del suo ragionamento – votiamo la mozione dei Cinque stelle, e loro a gennaio voteranno la nostra contro il governo.
È stato a quel punto che il grosso dei presenti ha cominciato a elencare i distinguo: “Noi sulle mozioni individuali abbiamo sempre votato contro, da Mancuso in poi”, “ma non scherziamo, che fine ha fatto il garantismo”, “non c’è indagine, nulla”, fino al “noi che votiamo a rimorchio dei cinque stelle una mozione sul conflitto di interessi siamo ridicoli”. E per non essere ridicoli (e rischiare pure che si spaccasse il gruppo), il vecchio leader – poco appassionato al caso Boschi – ha diramato l’ordine: o ci asteniamo o usciamo. Un modo per tenere uniti quella quarantina di parlamentarti rimasti dopo le scissioni di Alfano, Verdini, Fitto.
renato brunetta ascolta deborah bergamini
La verità è che, al netto del vulcanico Brunetta e dei suoi battibecchi con Renzi, il primo a sapere che ormai Forza Italia non ce la fa più a incidere è Silvio Berlusconi. In altri tempi avrebbe tuonato di fronte a Renzi che, per eleggere i giudici della Consulta, lo scaricava puntando ai voti dei Cinque Stelle. Ora è il primo ad avere consapevolezza che prenderlo a ceffoni è diventato un gioco da ragazzi. Ma al tempo stesso, raccontano i suoi, “se ne frega perché non c’è più”.
Altrimenti, se vuoi che il tuo gruppo si muova come una falange armata, non fai annunciare il licenziamento di diverse decine di dipendenti e la chiusura di fatto del partito a votazioni in corso. Sussurra un azzurro di rango: “Ma dai… di che parliamo? Renzi ci ha aspettato per un anno, per 31 votazioni, noi non ce l’abbiamo fatta. Non teneva il gruppo e non c’era chi trattava. L’altro giorno il povero Sisto era a telefono. Prima ha chiamato Brunetta. Novità? E che ne so, gli ha risposto Renato. Intanto Gianni Letta trattava per conto suo e Brunetta e Romani non si parlano”.
paolo romani consiglio nazionale forza italia foto lapresse
Anzi, si detestano. Bastava ascoltare come rispondeva Paolo Romani a Bianca Berlinguer nel corso di Linea Notte o leggere la sua intervista al Foglio per capire cosa pensi della linea Brunetta: “Sulla Consulta c’è stata una disfatta su tutta la linea. La strategia è sbagliata. Ora occorre mettere ordine nel partito”. E proprio nelle ore in cui il capogruppo alla Camera tentava l’asse coi Cinque stelle sulla mozione di sfiducia, quello al Senato non solo non chiedeva le dimissioni del ministro, ma neanche il governo prendendosela soprattutto con Bankitalia. Praticamente dicendo ciò che Renzi e la Boschi non possono dire.
Un po’ al governo, un po’ all’opposizione, un po’ Romani un po’ Brunetta, con le tv al governo e i giornali all’opposizione. In un partito che non c’è si aggira pure chi non ne più ne dell’uno né dell’altro. Laura Ravetto ci va giù dura: “La vera abilità di Renzi è quella di infilarsi come un cuneo nelle difficoltà degli altri partiti; io faccio autocritica, c’è una soluzione, al Senato come alla Camera, iniziamo a parlare di elezione democratica dei due capigruppo”. Sulla Boschi tutti fuori, solo così può restare unito ciò che non c’è più.
2 - CONSULTA: DEPUTATI PD,2/3 USCENTI ERANO TARGATI CENTRODESTRA
(ANSA) - "Due giudici uscenti della Consulta su tre erano targati centrodestra, ora arrivano tre giuristi di grande professionalita' e autonomia scelti con l'accordo tra Pd, Movimento 5 stelle e partiti centristi. Chi passa le giornate a fare gli esami del tasso di sinistra nell'azione della segreteria del Pd rifletta".
E' quanto dichiarano i deputati del Partito democratico Michele Anzaldi, Lorenza Bonaccorsi, Federico Gelli ed Ernesto Magorno. "Tra i tre giudici uscenti - sottolineano i deputati della maggioranza Pd - oltre al presidente della Repubblica Sergio Mattarella c'erano anche Luigi Mazzella, che e' stato tra l'altro ministro nel governo Berlusconi tra il 2002 e il 2004, e Paolo Maria Napolitano, negli uffici di gabinetto di Gianfranco Fini come vicepremier e ministro degli Esteri. Ora arrivano tre costituzionalisti scelti per la loro competenza e autorevolezza e non per provenienza politica. Un metodo gia' sperimentato con le nomine al Csm e il successo dell'elezione del presidente Mattarella dieci mesi fa".