MI STREAMING LE PALLE – CON I GRILLINI, RENZI FA IL BULLETTO: ‘’NOI ABBIAMO PRESI UNDICI MILIONI DI VOTI. QUANDO CI ARRIVA LEI, MI FA UN FISCHIO’’ – POI REGREDISCE ALLA TV DEI RAGAZZI: ‘’POTETE DIVENTARE AUTORITARI COME NOI, SE VI SFORZATE SOLTANTO UN PIMPIRIMPILLINO...” - GRASSO: “BASTA CON LO STREAMING-NARCISISMO”
1. LA LINEA DEL DIALOGO PD-M5S, RENZI: MA RESTA IL PATTO CON FI - DI MAIO: INSIEME MAGGIORANZA
Sebastiano Messina per “La Repubblica”
Il forno dei Cinquestelle mette a sorpresa il suo pane nella vetrina dello streaming. E il profumo di quel pane piace a Matteo Renzi, che però non è ancora pronto a comprarlo. Prima, dice, devo sentire gli altri. «Deve chiedere il permesso ad Arcore?» lo punzecchia il grillino Luigi Di Maio, facendo perdere la calma al premier. Che ribatte puntuto: «Finché non riuscirete a distinguere tra noi e un altro partito, non capirete perché il vostro “vinciamo noi” è diventato “vinciamo poi”. Noi dobbiamo sentire anche gli altri partiti, perché questa è la bellezza e la fatica di essere democratici...».
Al secondo appuntamento non più nell’auletta della commissione Esteri ma nella sala del Cavaliere, già teatro del turbolento incontro tra Renzi e Grillo - la trattativa tra Pd e M5S prende quota, nonostante lo streaming che come al solito reclama e ottiene la sua razione di battute, frecciatine e pistolotti destinati «a chi ci guarda da casa». Ed è Di Maio, che si conferma il vero plenipotenziario del Movimento sul terreno delle riforme, a mettere sul tavolo un astuto “ do ut des”.
I grillini sono disposti a rinunciare al Democratellum (o Toninellum, o Complicatellum) accettando il doppio turno e il premio di maggioranza, ovvero il cuore del vituperato Italicum, se i democratici sono disponibili all’introduzione delle preferenze e all’abolizione dell’immunità parlamentare. Offre persino un asse parlamentare inedito, Pd-M5S, per convincere il presidente del Consiglio a tradire il patto del Nazareno: «Con i nostri e i vostri voti possiamo trasformare queste cose in legge» ripete per tre volte Di Maio.
E mette in difficoltà Renzi, combattuto tra la tentazione di tendergli la mano dicendo «ci sto!» e il timore di mandare all’aria il patto con Berlusconi, proprio nel momento in cui ha assolutamente bisogno dei suoi voti per far passare la riforma del Senato. Anche il premier si rende conto che l’offerta è seria. «Tra la vostra proposta e la nostra - ammette - non c’è il Rio delle Amazzoni. C’è un ruscello, che non so se riusciremo a colmare ».
E sembra pure pensarci su, quando aggiunge, con un sorriso: «Io sarò pure il pericoloso bradipo autoritario, ma vedo che non siamo così distanti. Potete diventare autoritari come noi, se vi sforzate soltanto un pimpirimpillino...». Ma alla fine se ne esce nell’unico modo possibile: guadagnando tempo.
I grillini avranno una risposta dopo che il Senato avrà approvato la riforma della Costituzione («Quindici giorni» è la sua previsione) e prima che a Palazzo Madama cominci la discussione sull’Italicum. Da qui ad allora lui consulterà gli altri partiti, compresa Forza Italia, si capisce. «Il punto vero - spiega a Di Maio - è capire se sulle preferenze riusciamo a trovare un punto di caduta o meno. Ma non blocchiamo la riforma perché voi, dopo essere montati sui tetti, ora dite: abbiamo cambiato idea».
La presenza di Renzi è stata una novità dell’ultima ora, dopo che il Pd l’aveva data per improbabile. E quando è cominciato lo streaming (penosamente disturbato da problemi di linea) il premier si è seduto in un posto defilato, all’angolo del tavolo. Sembrava quasi che fosse venuto solo per sentire gli altri, perché s’è tolto la giacca, l’ha appoggiata sulla spalliera ed è rimasto in jeans e maniche di camicia, scivolando pure un po’ sulla sedia, con le gambe accavallate. Uno spettatore, pareva, accanto a Debora Serracchiani, Roberto Speranza, Alessandra Moretti e la new entry Gianclaudio Bressa nel ruolo di esperto.
Di fronte, la solita formazione grillina, con i due capigruppo più Di Maio e Toninelli. Il quale ha elencato subito le cinque nuove richieste dei Cinquestelle: voto di preferenza, incandidabilità dei condannati, stop alle candidature in più collegi, abolizione dello sbarramento e doppio turno tra le due liste (e non tra le due coalizioni) più votate. A rendere l’offerta più chiara ci ha pensato Di Maio: siamo disposti a cedere sul doppio turno se il Pd cede sulle preferenze.
Ascoltandolo, Renzi s’è rimesso la giacca. «Insomma - ha chiesto esplicitamente il vicepresidente della Camera - è possibile una scambio tra governabilità e preferenze?». La Serracchiani ha reagito d’istinto: «Non possiamo fare un mercimonio della riforma...». Di Maio non s’è scoraggiato. «E lo stop alle candidature multiple?». La Moretti, irritata: «Non potete pretendere che tutto il lavoro svolto finora venga stravolto...». «Ho capito - l’ha interrotta Toninelli - comanda Berlusconi».
Renzi non poteva lasciargliela passare. «Vede, Toninelli - gli ha risposto - questa è una battuta simpatica e divertente. Alla quale potrei rispondere che comanda chi ha i voti. Noi ne abbiamo presi undici milioni. Quando ci arriva lei, mi fa un fischio». E però il premier aveva altro da dire, ai grillini. Per esempio che l’idea del premio di maggioranza a un solo partito a lui non dispiacerebbe «e forse neanche a Berlusconi, conoscendolo». O che il premio andrebbe un po’ rimpolpato, per sottrarre il governo ai ricatti dei piccoli gruppi.
O ancora che ha ragione Speranza, «se trattate con noi sarebbe simpatico che poi non ci insultaste dicendo che siamo la P2, perché se il nostro disegno è P2, il vostro è P3, siamo lì». Quindi, nella palese speranza di trovare se non un alleato in più almeno un avversario in meno, ha chiesto a Di Maio quali fossero i loro punti irrinunciabili, sulla riforma della Costituzione.
E il grillino, prontissimo, ha battuto subito altri tre chiodi. L’abolizione dell’immunità parlamentare. La riduzione del numero dei deputati. La sottrazione alle Regioni della gestione della Sanità. Il terzo punto ha molto incuriosito il premier («Fatemi avere il vostro emendamento»), il primo lo ha dribblato e il secondo lo ha liquidato con un proverbio: «E’ meglio l’uovo oggi della riduzione dei parlamentari con indennità da 945 a 630 che la presunta, ipotetica gallina di domani...».
2. C’È LO STREAMING, MANCA TUTTO IL RESTO
Aldo Grasso per “Il Corriere della Sera”
Metti a un tavolo Matteo Renzi. Metti anche Luigi Di Maio. Metti che parlino di politica o di qualcosa che assomiglia alla politica. Metti che parlino per un’ora e mezzo e anche più. Metti che ci sia anche lo streaming, il nuovo feticcio della comunicazione democratica.
Alla fine cosa resta? A essere sinceri, un vago senso di intontimento. Dopo aver fatto le ore piccole a Bruxelles a giocare la sua partita per imporre Federica Mogherini a ministro degli Esteri della Ue, Renzi si è dovuto sorbire anche l’incontro con la delegazione del Movimento 5 Stelle sulla legge elettorale.
Renzi ricorda il pupazzetto di una famosa pubblicità di una marca di pile: sembra inesauribile. Anche quando dà evidenti segni di nervosismo. In jeans, aria casual, all’inizio del colloquio pareva disattento, poco interessato. Si toglieva la giacca, se la rimetteva, parlava con il corpo più che seguire un filo logico. Spesso intento a chattare e mandare messaggi via smartphone.
Però, intanto, si era scelto il posto più a favore di telecamera e quando ha preso la parola non l’ha più mollata, fino alla fine, battute comprese. Renzi deve stare molto attento ai suoi discorsi pubblici. Ormai è venuto il tempo del fare e ogni parola di troppo è vissuta con fastidio. Se pensiamo ai suoi ultimi interventi, il rischio maggiore cui Renzi va incontro è quello di girare a vuoto: intrappolato ancora nel ruolo di sindaco, infastidito dai rituali delle cerimonie parlamentari, affastella luoghi comuni, usa espressioni enfatiche da talk show, si abbandona a una retorica consunta.
Il decisivo stinge nell’incerto e il carisma si annacqua. Non basta lo sguardo silente e adorante di Ale Moretti per restituirgli forza e autorevolezza. Il senso di questi incontri è che ci sarà un rinvio, che non è detta l’ultima parola, che in futuro ci potrebbe essere anche un accordo tra Pd e M5S.
Lo streaming ha ormai perso valore comunicativo, sta diventando l’ennesimo esercizio narcisistico in un momento in cui il concreto (la ripresa economica) dovrebbe fare la sua parte. Non è più il momento delle «aperture», è il momento delle chiusure. Può, in questo momento, un grande leader concludere dicendo «se sono rose fioriranno»?