STRESSATISSIMI DALLO SPREAD - UN ANNO FA DI QUESTI TEMPI ERA A 280, OGGI E’ A 478, PIU’ CHE UNA LOTTA SUI NUMERI SONO NUMERI AL LOTTO - ARIDATECE IL BANANA! “LE DIMISSIONI DI BERLUSCONI NON PROVOCARONO NESSUNA DRAMMATICA DISCESA DEL DIFFERENZIALE” - LO SPREAD SCESE QUANDO MONTI SI FECE INTERVISTARE DA FAZIO: ERA TALMENTE UNA NOIA CHE SI AMMOSCIO’ PURE LUI…

Giorgio Meletti per il "Fatto quotidiano"

Ieri mattina lo spread dell'Italia ha superato quello della scassatissima Irlanda. Ha chiuso la giornata a 478 punti: per i Btp decennali, lo Stato italiano sta pagando il 4,78 per cento in più di quanto paga la Germania per i suoi bund di pari durata.

Lo spread non era così alto da metà gennaio. Colpa di Giorgio Squinzi, come ha sibilato Mario Monti, indignato perché il presidente della Confindustria ha commentato la spending review evocando la "macelleria sociale"? O colpa del premier che, dicendo "dichiarazioni di questo tipo fanno aumentare lo spread", potrebbe aver indicato la strada agli speculatori? È molto probabile che la risposta sia tutt'altra. Lo spread sale perché ai mercati non è chiara la prospettiva di come verranno concretamente attuati gli impegni presi nel vertice europeo del 28 giugno scorso.

In realtà, mancava solo Monti per completare la lista dei politici italiani che amano indulgere in polemiche un po' sguaiate sulle colpe dello spread. Un "dagli all'untore" che si sa dove comincia e non si sa dove finisce, soprattutto non si sa a che cosa serva. Chiunque potrebbe divertirsi in ricostruzioni maliziose. Un anno fa, lo spread era a quota 280, e cominciò a salire rabbiosamente per tutta l'estate.

A ottobre era attorno a quota 380, e la progressione dello spread era attribuita all'attesa dei mercati per il siluramento di Silvio Berlusconi e la sua sostituzione con una persona più seria, Mario Monti. Il 26 ottobre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lanciò un solenne appello a tutte le forze politiche perché smettessero di "tergiversare" e mettessero in cantiere misure "anche impopolari".

Furono quelle parole a far schizzare lo spread in pochi giorni a quota 553? Sicuramente no. Come pure le dimissioni di Berlusconi non provocarono nessuna drammatica discesa del differenziale tra Btp e Bund. Per vederlo scendere a 368, cioè al livello da cui era partita l'ultima fiammata anti-Caimano, si dovette attendere il 5 dicembre, all'indomani della presentazione del decreto Salvaitalia.

Da quel giorno abbiamo seguito l'altalena dello spread autorevolmente ammaestrati da un'idea dominante: i mercati amano la "macelleria sociale". Il ministro del Lavoro Elsa Fornero taglia la pensioni? Certo, dispiace, tanto che la stessa tagliatrice scoppia in lacrime, però lo spread ne avrà beneficio. E infatti, dopo i drammatici annunci della sera di domenica 4 dicembre, lo spread ha ricominciato a salire, perché i mercati, ci veniva spiegato, avevano paura che il governo tecnico non facesse sul serio, che potesse cedere alle proteste dei sindacati, che non giocasse, come dicono gli allenatori di calcio, "con la giusta cattiveria".

E infatti. Alla vigilia di Natale Elsa Fornero butta in campo la riforma dell'articolo 18, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani dice che è meglio parlarne dopo Natale, tutti fanno finta che la signora abbia scherzato, e lo spread torna a volare, per tutte le vacanze di Natale. L'11 gennaio era di nuovo a 531, vicino al livello che costrinse Berlusconi alle dimissioni.

Poi è ricominciata la discesa. Monti va a farsi intervistare da Fabio Fazio e dice che è giunto il momento della fase 2, quella in cui ci si occupa della crescita dell'economia. Due le ricette base: liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro. I mercati ci credono, il momento delle scelte viene sempre rinviato, però il governo è compatto e determinato. Monti spiega alla nazione che il posto fisso è noioso, quelli che ne capiscono dicono che questa cosa fa godere i mercati.

E infatti, dopo l'esternazione del premier (1 febbraio, intervistato a Matrix su Canale 5), lo spread scende in pochi giorni da 380 a 347. La magia finisce a metà marzo. I mercati, che non sono stupidi capiscono che le liberalizzazioni sono una finta. Il 19 marzo il differenziale tocca il minimo dell'era Monti: 278, esattamente il livello di un anno fa, quello da cui era partita la rovina di Berlusconi.

Il 24 marzo Napolitano firma la conversione in legge del decreto liberalizzazioni (varato dal governo il 19 gennaio) e lo spread decolla. Colpa delle finte liberalizzazioni? Colpa di Emma Marcegaglia, che nel frattempo (4 aprile) dice al Financial Times che la riforma del lavoro è "pessima"?

Certo è che quando Squinzi ha definito la medesima riforma "una boiata" (19 giugno) lo spread è sceso. Poi ha ricominciato a salire perché i mercati si aspettavano poco di buono dal vertice europeo di Bruxelles del 28 giugno. Forse. O forse perché i mercati ne hanno le tasche piene di un Paese dove il premier e il presidente della Confindustria litigano in questo modo sullo spread.

 

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