SUICIDIO DI MASSA PER FAR FUORI ZINGARETTI: IL PIANO DIABOLICO DI PIROZZI (OVVERO SALVINI) - IL PRESIDENTE ELETTO NON HA LA MAGGIORANZA, SE LE MINORANZE SI DIMETTONO IN BLOCCO LO FANNO DECADERE, E NON PUO' RICANDIDARSI PER IL LIMITE DEI DUE MANDATI. L’OPZIONE NUCLEARE SAREBBE UN MESSAGGIO AL BANANA: MAI COL PD, NÉ AL GOVERNO NÉ IN REGIONE. I GRILLINI CI STANNO, MA PARISI PRENDE TEMPO…
Simone Canettieri per www.ilmessaggero.it
Tutti dal notaio. Per una rievocazione del «metodo Marino» da applicare sul neo eletto governatore della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Solo che questa volta, a differenza di quanto accadde al sindaco, la maggioranza per far scattare il «tana libera tutti» ci sarebbe già senza aiuti esterni. Ovvero i 26 consiglieri di opposizione che hanno perso sì le elezioni, ma hanno comunque un voto in più in consiglio rispetto alla coalizione di centrosinistra per via dell’anatra zoppa, partorita dalle urne (anche qui è colpa della legge elettorale adottata nel Lazio).
La mossa a sorpresa, come risulta a Il Messaggero, è già in fase avanzata ma l’esito è ancora da scrivere. Lo sprint parte dal civico Sergio Pirozzi, forte della copertura politica di Matteo Salvini sempre più alla conquista del Centro-Sud. In queste ore sono stati già contattati i leader degli altri due macro gruppi: Stefano Parisi e Roberta Lombardi. Entrambi confermano a questo giornale l’esistenza del piano. Ma con delle differenze.
LE MOSSE
La neo capogruppo grillina si è presa «un po’ di tempo» per parlarne con gli altri eletti del M5S (10 in tutto) e soprattutto con il capo politico Luigi Di Maio. Anche nel frastagliato fronte di Parisi (composto dai gruppi di Energie per l’Italia, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, Noi con l’Italia: 15 consiglieri) inizia a serpeggiare la pazza idea, seppur con qualche distinguo. Pirozzi e Salvini (che conta 4 consiglieri eletti nel Lazio) aspettano solo la proclamazione dell’ufficio elettorale centrale per lanciare una conferenza stampa che sarà seguita da una manifestazione sotto la Regione al grido «tutti dal notaio: ritorniamo al voto». Una questione di pochi giorni, «poi scopriremo i giochi», dice il sindaco di Amatrice.
In caso di dimissioni di massa delle minoranze, Zingaretti decadrebbe subito, verrebbero riconvocate le elezioni entro sessanta giorni e il governatore non si potrebbe più ripresentare. Dietro a questo scenario esplosivo non c’è solo il sindaco di Amatrice, ma appunto proprio il leader della Lega pronto a usare questa carta per mandare anche un messaggio a Berlusconi e a Forza Italia sul tavolo parlamentare. Ovvero: mai con il Pd, né al governo né in Regione, in versione «stampella» a Zingaretti.
LO STATUTO
sestino giacomoni stefano parisi antonio tajani
In queste ore di sospetti, c’è poi un articolo che passa di chat in chat: è il 43 dello statuto del Consiglio regionale del Lazio. Al paragrafo 2 spiega che «l’approvazione della mozione di sfiducia» da parte della metà più uno dei consiglieri «comporta le dimissioni della giunta regionale e lo scioglimento del consiglio». Questa è la seconda ipotesi, preferita al momento da Parisi, per far saltare il governatore dem. Ma avrebbe una premessa: la partenza dei lavori dell’Aula e di tutta la macchina regionale, dalla giunta alle presidenze delle commissioni. Terreni di accordo tra il centrosinistra e le minoranze, rappresentate al momento da ben 7 gruppi, per non parlare delle varie correnti interne ai 5 Stelle o a Forza Italia.
Fin qui lo scenario, poi c’è anche un pezzo di realtà molto prosaica: un consigliere regionale nel Lazio guadagna circa 7mila euro al mese, netti. Non proprio una miseria, un motivo che potrebbe spingere più di un eletto a darsi malato davanti al notaio e magari assente per motivi personali il giorno di un’eventuale sfiducia in Aula.
Dall’altra parte della barricata, poi, c’è Zingaretti: il presidente che sogna la segreteria del Pd in questa fase così complicata ha interesse a far scoprire le opposizioni. E quindi aspetta di capire se sono davvero intenzionate a staccare la spina o se sarà possibile, al contrario, trovare un’«intesa programmatica» su quattro temi portanti del Lazio (sanità, rifiuti, trasporti, sociale).
Di sicuro, da quando ha vinto le elezioni, in controtendenza con il resto del Paese e con un centrosinistra largo comprensivo di Leu, il fratello del commissario Montalbano non fa che ripetere: «Se c’è un accordo bene, altrimenti si va tutti a casa». Oggi Zingaretti incontrerà la sindaca grillina Virginia Raggi per un vertice amministrativo che sarà guardato con molta attenzione anche fuori dal Campidoglio. La partita di poker è appena iniziata. E mai come questa volta i destini del Lazio si intrecciano con quelli del governo.