AL TEATRO DI TAORMINA LA TRAGEDIA DELLA GIUSTIZIA ITALIANA: ''PALAMARA HA AMMESSO IL REATO DI TUTTA LA MAGISTRATURA, CIOÈ CHE FACEVA CARRIERA SOLO CHI ERA DELLE CORRENTI. È GRAVISSIMO - IL CASO DI MATTEO? NOI ABBIAMO UN RIGOROSO MAGISTRATO ANTIMAFIA A CUI SI PREFERISCE UN ANONIMO CHE NESSUNO CONOSCE. E POI ABBIAMO I MAFIOSI CHE ALLA FINE ESCONO DAL CARCERE. IO NON INSINUO, METTO IN FILA I FATTI. PERCHÉ BONAFEDE NON HA QUERELATO DI MATTEO SE QUELLO CHE DICE NON È VERO?''
Luca Telese per ''La Verità''
Avvocato Taormina, ci spiega cosa ha capito del caso Palamara?
«Che i giornali non hanno spiegato nulla, anzi, hanno confuso le acque».
È sicuro di quello che dice?
«Questa inchiesta ha rivelato un retroscena di una gravità inaudita».
L'ACCOUNT INSTAGRAM DI CARLO TAORMINA 1
Perché?
«Perché il caso Palamara, unito a quello della vicenda Di Matteo-Bonafede, ci consegna una quadro drammatico della giustizia in Italia».
Ne sta parlando da cittadino o in veste professionale?
«Entrambe le cose, visto che sono indignato come uomo, ma sono al lavoro in quanto avvocato».
Perché, chi difende?
«Glielo dico dopo. Prima le spiego la cosa più importante. Ma a lei pare normale quello che ha detto l'ex presidente dell'Associazione magistrati?».
A che cosa si riferisce in particolare?
«All'affermazione fatta nel programma di Giletti, e caduta nell'indifferenza generale, secondo cui il requisito per fare carriera era l'appartenenza alle correnti! Ma dico, non c'è uno che abbia commentato adeguatamente questa frase?».
nino di matteo alfonso bonafede
Tanti hanno detto che si tratta di un comportamento riprovevole...
«Ma quale riprovevole?».
Di più o di meno?
«Telese, mi meraviglio di lei che da sette settimane, all'Arena, parla solo di questo. Come può sfuggirle?».
Sfuggirmi cosa?
«Qui non stiamo parlando di stile o di etichetta: qui stiamo parlando di un re-a-to».
Dice?
«Mi dia un po' di tempo e le spiego tutto».
Carlo Taormina, 79 anni. Principe del Foro con un debole per le difese difficili, se non impossibili, da Franco Freda a Francone Fiorito, detto Batman. Ex deputato di Forza Italia, poi addirittura sostenitore del Movimento 5 stelle. Un giorno annunciò di essere diventato l'avvocato di Saddam Hussein. Oggi diventa l'avvocato di una delle «vittime» del sistema nomine.
Avvocato, perché collega l'inchiesta su Palamara alla vicenda della nomina di Di Matteo?
«Ho stima e rispetto per Di Matteo. Ci ho parlato recentemente, gli sono grato per quello che ha detto, coraggiosamente, da Giletti».
Ma lei non aveva un'allergia per quelle che chiamavate «toghe rosse»?
«Io? Sono entrato in Forza Italia perché da liberale speravo di cambiare questo Paese. Poi quando ho capito che Berlusconi si faceva solo i cazzacci suoi sono tornato al mio mestiere».
E come ha conosciuto Di Matteo?
«È una storia lunga. Io, in un momento della mia carriera, avrei dovuto difendere Ciancimino».
E poi?
«Poi non ci ho visto chiaro, mi sono tirato indietro, e mi è rimasta l'amicizia con Di Matteo. Curiosa la vita, no?».
E lei crede alla versione del magistrato o del ministro?
«Io so molte cose, alcune delle quali non sono ancora provate, ma le posso fare una domanda?».
Certo.
«Ma se uno non ha nulla da nascondere, davvero lei crede che preferisca passare per quello che sicuramente non è, e cioè uno che ha subito pressioni della mafia?».
E quali?
«Intanto partiamo da un fatto: Di Matteo ha spiegato che il ministro gli ha offerto un posto e poi ha cambiato idea. Che non ha ritirato la sua proposta».
Abbiamo due persone che dicono cose diverse sullo stesso episodio.
«Sì, d'accordo. Ma allora perché Bonafede dopo il suo intervento a l'Arena non lo ha querelato? Io se fossi stato al suo posto l'avrei fatto. Perché non avrei potuto tollerare anche un solo sospetto».
E perché non lo ha nominato, allora, se lei lo sa?
«Ehhhhh... Si possono essere incrociati diversi elementi: il gioco degli sponsor, quello delle raccomandazioni... e così si arriva alla nomina di Basentini».
E quale sarebbe l'elemento di contatto tra la vicenda Di Matteo e quella Palamara?
«Oh Gesù! È grande come una casa, e lei lo ha davanti agli occhi».
Faccia come se fossi miope e me lo chiarisca.
«Noi abbiamo un rigoroso magistrato antimafia a cui si preferisce un anonimo magistrato che nessuno conosce. E poi abbiamo i mafiosi che con queste condizioni alla fine escono dal carcere».
Avvocato, non mi faccia prendere querele.
«E perché mai? Io non parlo di un nesso causale».
E cosa sta facendo?
«Sto mettendo in fila dei fatti».
E questi fatti messi in fila cosa ci dicono?
«Che siccome non ci sono dubbi sulla versione di Di Matteo, e la prova è che il ministro non lo ha querelato, qualcosa ha costretto Bonafede a fare marcia indietro, prendendosi anche la croce».
E perché lei dice che bisogna collegare tutto questo al caso Palamara?
«Perché Palamara, pur cercando di sminuire e attenuare le sue colpe, ne ammette due clamorose che gettano una luce inquietante su come si amministra la giustizia in Italia».
Quali?
«Dice che lui non può più mentire. Cosa che per un presidente dell'Associazione nazionale magistrati è come minimo scandaloso».
E poi?
«Poi c'è l'ammissione ancora più grave: Palamara dice che ogni nomina era governata da un sistema».
E poi?
«Aggiunge che per chi non faceva parte delle correnti era molto improbabile ottenere una nomina».
Lo so, è inquietante sul piano morale.
«No, mi scusi. Questo è un reato sul piano penale».
Lo sta dicendo lei: se parla di piano penale, dovrà essere dimostrato in un'aula.
«Mi perdoni, questo lo dimostrano le interlocuzioni di Palamara. Le sue parole».
Mi spieghi perché.
«E perché la legge, non Carlo Taormina, ci dice che la nomina dei magistrati deve dipendere dalla "valutazione del merito". Non dalla militanza in una qualche corrente sindacale!».
Palamara dice che difficilmente un buon magistrato senza corrente potesse ottenere una nomina importante.
«Ma questa è una violazione di legge! Le chiedo: lei non trova incredibile che questa affermazione sia stata quasi lasciata cadere nel vuoto?».
Visto che sono io che sto intervistando lei, spieghi perché secondo Taormina non si è scavato di più.
«È una cosa che tutti sanno, ma che nessuno vuole ammettere. Il sistema era così radicato che tutti erano coinvolti, anzi. E tutti erano coinvolti perché il sistema fosse garantito».
In che modo?
«Tutti hanno avuto qualcosa».
Tuttavia è grazie a un magistrato che abbiamo conosciuto le intercettazioni e Palamara.
«E io lo considero una mosca bianca, un eroe».
Ma se fosse un reato, di quale reato si tratterebbe?
«Quale? La mia ipotesi è abuso di ufficio. Ma proveranno, faranno di tutto per salvare Palamara».
Perché?
«Perché se, come abbiamo detto tutti, ci intingono il pane, tutti possono subire un ricatto».
Mi faccia un esempio.
«La vicenda di Roma: Davigo vota Viola, come sanno bene i lettori della Verità, come vogliono i renziani».
Lo dice sulla base delle intercettazioni?
«Certo, lo dicono loro nelle intercettazioni, non io. Deve accadere questo, per risolvere i problemi di Lotti».
Questo lo sappiamo.
«Questa per me è corruzione».
Avvocato!
«Guardi che non serve scambio di denaro, basta uno scambio di utilità. È il sistema che ci raccontò Palamara: si reggeva tutto su questo meccanismo di scambio».
Una sua opinione.
«No. È certo».
Un'interpretazione che dovrebbe essere verificata.
«No. È certo. Se io ti offro uno scambio io la chiamo corruzione. Ripeto: anche senza utilità economica».
alfonso bonafede francesco basentini 1
Dovrà provarlo.
«Ho già i documenti. Ad esempio, quando parlano Palamara e un certo Livio e dicono di una collega: "Finalmente siamo riusciti a cacciarla". E sa perché erano così felici?».
No, perché?
«Perché la collega si occupava di esecuzioni immobiliari. Sa che cosa significa? Milioni di euro di immobili da gestire».
E chi era la collega?
«Una donna integerrima. Per questo doveva saltare. E per questo la finta guerra tra correnti finiva».
Unicost e Area?
«Non solo. Le correnti partono dalla periferia e arrivano fino al Csm, cementandosi nel sistema. È questo che nessuno vuole raccontare, è questo che io dimostrerò difendendo quella magistrata».
E come?
«Questo è il bello. Ho già archiviato è catalogato 45.000 pagine di chat».
Ma lei non era un iper garantista?
«E questo che c'entra?».
Senza il trojan nel telefonino di Palamara lei quelle 45.000 pagine di chat non le potrebbe avere.
«Lo so».
E lei sa anche che senza una ipotesi di reato da cui Palamara è stato prosciolto, lei quelle carte non le avrebbe.
«Lo so bene. Ma siamo in presenza di un'ingiustizia, al cospetto di un'ingiustizia molto, molto più grande».
E quindi?
«Ma che me ne frega!».