TITANIC-ITALIA - I TRIESTINI IN FUGA SI APPELLANO ALL’ONU E VOGLIONO L’INDIPENDENZA

Carla Reschia per La Stampa

Un adesivo in un bar con il simbolo dell'alabarda bianca in campo rosso, una raccolta di firme in un negozio, la minaccia di uno sciopero fiscale contro le tasse "illegali". L'"italianissima" Trieste vuole divorziare dalla madrepatria. O almeno lo vuole, e trova anche un certo consenso - 3.681 triestini si sono fin qui ufficialmente "disitalianizzati", molti di più hanno firmato le petizioni all'Onu e alla UE - il movimento Trieste Libera, che aspira a ricreare il TLT, il Territorio Libero di Trieste, previsto nel 1947 all'interno del trattato di pace con l'Italia alla fine della seconda guerra mondiale. Un accordo superato poi dalla storia il 5 ottobre 1954 con il Memorandum di Londra firmato dai rappresentanti di Stati Uniti, Regno Unito, Italia e Jugoslavia che stabiliva la linea di confine tra Italia e Jugoslavia.

Così almeno la storia ufficiale. Di cui i sostenitori del TLT contestano le conclusioni, richiamandosi al piano dell'Onu, mai ufficialmente smentito, che prevedeva una zona franca comprendente sia la zona A (assegnata all'Italia) sia la B (passata alla Jugoslavia), una piccola terra indipendente, con tanto di seggio alle Nazioni Unite.

Passata alla Jugoslavia e poi alla Slovenia e alla Croazia la zona B, obiettivamente difficile da reclamare, resta l'ex zona A, la "città portuale europea di Trieste" con il suo porto franco di storica e gloriosa memoria. Molte sono le questioni legali poste dai triestini intenzionati a prendere alla lettera il vecchio detto locale che vuole "italiani" solo i nati fuori dal perimetro cittadino: dal diritto di cittadinanza violato in occasione del censimento della popolazione della zona A, alla mancanza di una consultazione sulla volontà di passare all'Italia.

Tutte, però, discendono da un presupposto: l'illegittimità dell'azione del governo italiano che avrebbe dovuto, come già prima l'amministrazione militare angloamericana, limitarsi ad agire come fiduciario del mandato internazionale dell'Onu invece di "annettersi" la città. Una tesi fondata sull'interpretazione di documenti governativi statunitensi dove si parla di "amministrazione" e non di sovranità.

Questioni di lana caprina buone per gli storici? Può essere, ma le conseguenze che il TLT ne ricava e rivendica sono ben concrete, una sopra tutte: "l'arma fiscale viene utilizzata quale forma di repressione per mettere a tacere i cittadini del TLT imponendo loro il pagamento forzoso di tasse, sovrattasse, sanzioni, che vengono riscosse dalla Equitalia S.p.A, e dall'Agenzia delle Entrate, per conto dello Stato Italiano ed in violazione del Trattato di Pace del 1947.

Da qui l'idea di uno sciopero fiscale che, se attuato su larga scala potrebbe dare qualche (ulteriore) problema allo stato "invasore", del ripudio del debito nazionale, che non appartiene agli incolpevoli occupati, e la ventilata richiesta dei cospicui arretrati versati finora.

In rete, sul sito di Trieste libera redatto oltre che in italiano, in inglese, tedesco, croato, sloveno e ovviamente triestino, si trovano i moduli per ricorrere contro Equitalia e l'invito a sottoscrivere i vari appelli agli organismi internazionali. In attesa di "rinegoziare il rapporto di Trieste con Roma", titolo di apertura dell'ultimo numero de "La voce di Trieste", si sogna una città rifiorita e tornata all'antico splendore, non più nell'angolo dell'Italia ma, come un tempo, al centro della Mitteleuropa.

Un polo "multiculturale, multilingue e internazionale" dove il Porto Libero non più mortificato dalla marginalità a cui l'hanno ridotto, nell'imparziale giudizio dei militanti, tutte le amministrazioni locali e nazionali fino a oggi, ridiventi "motore centrale dell'economia". Con un occhio al "retroterra danubiano" e a Vienna cui legano 600 anni di storia comune, interrotti "dall'invasione italiana degli anni 1915-1917" e l'altro alla Slovenia dove il ministro dell'Economia ha da poco annunciato la creazione a Capodistria di una zona franca doganale.

 

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