IL TRAMONTO DI TOTÒ RIINA - IL “PRESIDENTE ONORARIO” DI COSA NOSTRA SAPEVA DI ESSERE INTERCETTATO: PER QUESTO HA PARLATO, OSSESSIONATO DALL’ESIGENZA DI AFFERMARE UN COMANDO E UN CARISMA CHE NON ESISTONO PIÙ

francesco la licata per La Stampa

Parafrasando lo splendido incipit del ritratto che Gianpaolo Pansa dedicò a Genco Russo, per descrivere il declino di don Totò Riina si potrebbe dire che «Il padrino tramonta» in uno squallido cortile del carcere di Opera, dove il «presidente onorario» di Cosa nostra - ormai costretto ad una recita solitaria - finge di essere ancora il dittatore della mafia, quasi volesse esorcizzare la triste realtà di uno stato di debilitazione provocato anche da un regime carcerario che gli ha tolto potere e sudditi.

Pochi sanno, infatti, che - proprio per la sua condizione di supersorvegliato - don Totò ha dovuto subire anche l'umiliazione di essere più volte rifiutato come compagno di cella. Toppi controlli, l'incubo delle «cimici» che carpiscono ed ascoltano, il timore di dover condividere il trattamento speciale riservato allo stragista: tutti buoni motivi per evitare di finire a far compagnia a Riina.

Per questo 'u curtu sembra, oggi, ossessionato dall'esigenza di affermare un comando e un carisma che non esistono più. È stato sempre il suo chiodo fisso, il rifiuto di restare relegato all'angolo e considerato la più grande sventura che Cosa nostra abbia mai subìto. E così, come il segretario di un partito che ha perso per sempre le elezioni, fa comizi odiosi e velenosi, confessando i progetti cruenti, dedicati specialmente al pm Nino Di Matteo, che non esiterebbe a mettere in atto se ne avesse la possibilità.

È dal 15 gennaio del 1993, data della sua controversa cattura, che Totò Riina cerca di sfuggire dalle maglie dell'isolamento per non perdere il contatto con la sua gente e coi suoi soldati, ormai dispersi e sbandati, alcuni addirittura transitati verso altri eserciti. Il carcere duro, il famigerato 41 bis, ha funzionato fino a un certo punto, fino a quando l'emergenza mafiosa seminava il panico e legittimava le maniere forti.

Funzionò fino a quando restarono operative Pianosa e l'Asinara che - non a caso - erano considerate le «fabbriche dei pentiti», luoghi talmente «scomodi» da indurre alla collaborazione anche i più irriducibili. In quelle isole Riina (e non solo lui) era davvero tagliato fuori, monitorato notte e giorno da una telecamera che lo seguiva anche in bagno e che necessitava di una luce artificiale, per tutte le 24 ore. Scambiava l'alba per il tramonto, don Totò, e perdeva contatto col mondo, salvo i rari incontri con l'adorata Ninetta che gli portava notizie dei figli ormai cresciuti: le femmine in via di sistemazione e i maschi, purtroppo, in carcere anche loro.

Fu, quello, un momento di grande silenzio. Poi sopraggiunse la necessità di uniformare il 41 bis ai dettami costituzionali e si aprirono le maglie. Il diritto di presenziare alle udienze dei suoi processi portarono don Totò in giro per l'Italia e gli consentirono di «comunicare» con l'esterno. Dalle gabbie dei tribunali, a modo suo, pensava di intimidire, ricattare e minacciare. Recitò la parte di vittima dei comunisti e della magistratura: «A me mi hanno rovinato Casella, Violanti e Allacchia».

Poi, entrato nella vicenda della trattativa tra Stato e mafia, non gli è parso vero di poter depistare: «Chiedetelo a loro (allo Stato, ndr) chi ha ucciso Borsellino. Io i servizi segreti non li ho mai visti, altrimenti non mi chiamerei Riina». Ma tutta questa drammaturgia non gli è servita: la sua partita Riina l'ha persa quando ha trascinato Cosa nostra nello stragismo, provocando la frattura persino col suo vecchio sodale, Bernardo Provenzano, divenuto il leader della corrente dei moderati e quindi opposta a don Totò.

Da quel momento ha cercato di giocarsi la carta della «riabilitazione» e della riconquista del carisma. Sapendo di essere intercettato, ha recitato la parte del capo saggio. Ha consigliato al figlio, ergastolano come lui, di accettare il triste destino e si accredita come una «persona tranquilla». «Noi - dice - siamo di Corleone. Io mi sento in forma, tuo papà è un fenomeno, un giovanotto, un padre che non ce n'è sulla terra».

E della moglie: «Un gioiello, Giovà, è tua madre». Tra tanta scena, non tralascia la captatio benevolentiae verso le istituzioni: «Napolitano non deve andare a testimoniare» e «Tutte fasulle le accuse a Berlusconi, perché se doveva fare un accordo non lo faceva coi Graviano ma lo faceva con me che sono il capo». Questo gli interessa, far credere di non essere decaduto.

 

 

Toto RiinaTOTO RIINA Totò Riina dietro le sbarre1 toto riinaBERNARDO PROVENZANOLUCIA RIINA NELLO STUDIO DEL TG DELLA RTS

Ultimi Dagoreport

vincenzo de luca elly schlein nicola salvati antonio misiani

DAGOREPORT – VINCENZO DE LUCA NON FA AMMUINA: IL GOVERNATORE DELLA CAMPANIA VA AVANTI NELLA SUA GUERRA A ELLY SCHLEIN - SULLA SUA PRESUNTA VICINANZA AL TESORIERE DEM, NICOLA SALVATI, ARRESTATO PER FAVOREGGIAMENTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, RIBATTE COLPO SU COLPO: “DOVREBBE CHIEDERE A UN VALOROSO STATISTA DI NOME MISIANI, CHE FA IL COMMISSARIO DEL PD CAMPANO” – LA STRATEGIA DELLO “SCERIFFO DI SALERNO”: SE NON OTTIENE IL TERZO MANDATO, DOVRÀ ESSERE LUI A SCEGLIERE IL CANDIDATO PRESIDENTE DEL PD. ALTRIMENTI, CORRERÀ COMUNQUE CON UNA SUA LISTA, RENDENDO IMPOSSIBILE LA VITTORIA IN CAMPANIA DI ELLY SCHLEIN…

osama almasri torturatore libico giorgia meloni alfredo mantovano giuseppe conte matteo renzi elly schlein

DAGOREPORT – LA SOLITA OPPOSIZIONE ALLE VONGOLE: SUL CASO ALMASRI SCHLEIN E CONTE E RENZI HANNO STREPITATO DI “CONIGLI” E ''PINOCCHI'' A NORDIO E PIANTEDOSI, ULULANDO CONTRO L’ASSENZA DELLA MELONI, INVECE DI INCHIODARE L'ALTRO RESPONSABILE, OLTRE ALLA PREMIER, DELLA PESSIMA GESTIONE DELL’AFFAIRE DEL BOIA LIBICO: ALFREDO MANTOVANO, AUTORITÀ DELEGATA ALL’INTELLIGENCE, CHE HA DATO ORDINE ALL'AISE DI CARAVELLI DI RIPORTARE A CASA CON UN AEREO DEI SERVIZI IL RAS LIBICO CHE E' STRAPAGATO PER BLOCCARE GLI SBARCHI DI MIGLIAIA DI NORDAFRICANI A LAMPEDUSA – EPPURE BASTAVA POCO PER EVITARE IL PASTROCCHIO: UNA VOLTA FERMATO DALLA POLIZIA A TORINO, ALMASRI NON DOVEVA ESSERE ARRESTATO MA RISPEDITO SUBITO IN LIBIA CON VOLO PRIVATO, CHIEDENDOGLI LA MASSIMA RISERVATEZZA - INVECE L'ARRIVO A TRIPOLI DEL TORTURATORE E STUPRATORE DEL CARCERE DI MITIGA CON IL FALCON DELL'AISE, RIPRESO DA TIVU' E FOTOGRAFI, FUOCHI D’ARTIFICIO E ABBRACCI, HA RESO EVIDENTE IL “RICATTO” DELLA LIBIA E LAMPANTE LO SPUTTANAMENTO DEL GOVERNO MELONI - VIDEO

ursula von der leyen giorgia meloni

URSULA VON DER LEYEN, CALZATO L'ELMETTO, HA PRESO PER LA COLLOTTOLA GIORGIA MELONI - A MARGINE DEL CONSIGLIO EUROPEO INFORMALE DI TRE GIORNI FA, L’HA AFFRONTATA CON UN DISCORSO CHIARISSIMO E DURISSIMO: “CARA GIORGIA, VA BENISSIMO SE CI VUOI DARE UNA MANO NEI RAPPORTI CON TRUMP, MA DEVI PRIMA CONCORDARE OGNI MOSSA CON ME. SE VAI PER CONTO TUO, POI SONO CAZZI TUOI” – LA REAZIONE DELLA SEMPRE COMBATTIVA GIORGIA? DA CAMALEONTE: HA ABBOZZATO, SI È MOSTRATA DISPONIBILE E HA RASSICURATO URSULA ("MI ADOPERO PER FARTI INCONTRARE TRUMP"). MA IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA NON HA ABBOCCATO, PUNTUALIZZANDO CHE C’È UNA DIFFERENZA TRA IL FARE IL "PONTIERE" E FARE LA "TESTA DI PONTE" – IL “FORTINO” DI BRUXELLES: MACRON VUOLE “RITORSIONI” CONTRO TRUMP, MERZ SI ALLONTANA DAI NAZISTI “MUSK-ERATI” DI AFD. E SANCHEZ E TUSK…

elly schlein almasri giuseppe conte giorgia meloni

DAGOREPORT - BENVENUTI AL GRANDE RITORNO DELLA SINISTRA DI TAFAZZI! NON CI VOLEVA L’ACUME DI CHURCHILL PER NON FINIRE NELLA TRAPPOLA PER TOPI TESA ALL'OPPOSIZIONE DALLA DUCETTA, CHE HA PRESO AL BALZO L’ATTO GIUDIZIARIO RICEVUTO DA LO VOI PER IL CASO ALMASRI (CHE FINIRÀ NELLA FUFFA DELLA RAGION DI STATO) PER METTERE SU UNA INDIAVOLATA SCENEGGIATA DA ‘’MARTIRE DELLA MAGISTRATURA’’ CHE LE IMPEDISCE DI GOVERNARE LA SUA "NAZIONE" - TUTTE POLEMICHE CHE NON GIOVANO ALL’OPPOSIZIONE, CHE NON PORTANO VOTI, DATO CHE ALL’OPINIONE PUBBLICA DEL TRAFFICANTE LIBICO, INTERESSA BEN POCO. DELLA MAGISTRATURA, LASCIAMO PERDERE - I PROBLEMI REALI DELLA “GGGENTE” SONO BEN ALTRI: LA SANITÀ, LA SCUOLA PER I FIGLI, LA SICUREZZA, I SALARI SEMPRE PIÙ MISERI, ALTRO CHE DIRITTI GAY E ALMASRI. ANCHE PERCHE’ IL VERO SFIDANTE DEL GOVERNO NON È L’OPPOSIZIONE MA LA MAGISTRATURA, CONTRARIA ALLA RIFORMA DI PALAZZO CHIGI. DUE POTERI, POLITICO E GIUDIZIARIO, IN LOTTA: ANCHE PER SERGIO MATTARELLA, QUESTA VOLTA, SARÀ DURA...