VIVA, VIVA LA TRATTATIVA! LA PROCURA DI PALERMO INSISTE NEL VOLER ASCOLTARE RE GIORGIO: VUOLE SAPERE DI PIÙ SULLA LETTERA INVIATAGLI DA LORIS D’AMBROSIO IN CUI SI PARLAVA DI “INDICIBILI ACCORDI TRA IL 1989 E IL 1993”

Salvo Palazzolo per “la Repubblica

 

NapolitanoNapolitano

Sette mesi fa, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva inviato una lettera ai giudici che stanno cercando dentro i misteri della trattativa mafia-Stato, per ribadire: «Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo».

 

Ma la procura di Palermo insiste per la citazione del capo dello Stato, ritiene che dalla sua deposizione possano arrivare elementi rilevanti su una lettera che gli fu inviata da Loris D’Ambrosio, morto nel 2012: l’allora consigliere giuridico del Colle esprimeva il timore «di essere stato considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, fra il 1989 e il 1993». Quali erano gli «indicibili accordi»? Napolitano ha spiegato di non aver ricevuto da D’Ambrosio «ragguagli o specificazioni ».

LORIS D'AMBROSIO LORIS D'AMBROSIO

 

Alla procura non basta. Ieri, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi ha chiesto al presidente della Corte d’assise Alfredo Montalto di attivare «tutte le procedure» per la citazione di Napolitano, che dovrà essere ascoltato al Quirinale. Ma non è ancora detto che l’audizione avvenga. Il giudice ha ricordato che l’Avvocatura dello Stato ha chiesto di revocare la citazione, perché «superflua»: «La corte si riserva di decidere». Il nodo potrebbe essere sciolto all’udienza del 25 settembre.


Fra la procura di Palermo e il Quirinale tornano ad esserci toni accesi, che il procuratore Messineo non nasconde. Quando apprende che il segretario generale del Colle, Donato Marra, ha inviato alcuni documenti ritrovati in archivio sbotta: «Sono più che perplesso sul comportamento di un teste che dopo aver deposto e detto di non sapere invia una lettera correttiva».

DONATO MARRADONATO MARRA

 

Marra ha inviato due lettere con cui nel 2012 la procura generale della Cassazione rispondeva al Quirinale sulle frizioni fra le procure che si occupavano della trattativa, questione posta dal senatore Nicola Mancino, oggi imputato del processo. Il segretario generale del Colle ribadisce: «Non vi sono state in alcuna forma né da me né da altro ufficio del Quirinale ulteriori interventi né tanto meno pressioni nei confronti della procura generale».
 

FRANCESCO MESSINEO CAPO DELLA PROCURA DI PALERMOFRANCESCO MESSINEO CAPO DELLA PROCURA DI PALERMO

È il cuore dell’udienza, la nota con cui il Quirinale girava la lettere di lamentele di Mancino alla procura generale. «Mi fu anticipata da una telefonata di D’Ambrosio», dice il pg Gianfranco Ciani. «La ritenni una cosa routinaria, anche se non era routinaria una lettera di quel genere da parte del Quirinale».

 

Ciani ha un tono molto più deciso per smentire una frase di D’Ambrosio intercettata durante una telefonata con Mancino: «Non fui io a sollecitare quella lettera — dice il pg — e al procuratore nazionale Grasso non ho mai fatto alcuna richiesta di avocazione dell’inchiesta». Aggiunge: «La lettera con le lamentele di Mancino era irrituale e per certi versi irricevibile». Il pm Di Matteo gli chiede: «E perché non fu rappresentato alla presidenza della Repubblica?». Ciani risponde: «Avrei commesso uno sgarbo istituzionale».

MANCINO NICOLA MANCINO NICOLA


Anche il predecessore di Ciani, Vitaliano Esposito, dice di essersi trovato a disagio davanti alla nota del Colle: «Fu un fulmine a ciel sereno, mi ritenni offeso perché ritenevo la lettera di Marra come una sorta di ripresa di inerzia per l’ufficio che dirigevo, sul tema del coordinamento ». Ma il vero imbarazzo fu per l’ennesima telefonata di Mancino: «Io non parlo mai delle cose d’ufficio agli estranei», taglia corto Esposito.

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