ERDOGAN DA GUARDIA DEL POTERE - IL VOTO IN TURCHIA È LA PROVA DEL NOVE PER IL “REGIMETTO” DEL PREMIER, TRAVOLTO DA MOLTI SCANDALI DI CORRUZIONE

Enzo Bettiza per "la Stampa"

Domenica elettorale non di poco conto. Si vota ad Ankara in un momento in cui sulla Turchia, nazione chiave del grande Medio Oriente, incombono responsabilità delicate per l'ordine e la stabilità tra Asia ed Europa mediterranee. La dice lunga quanto è già accaduto nella burrascosa appendice del Mediterraneo che è il Mar Nero. Basterà nominare la Crimea che ha visto Putin tirare fuori la mano e prendersela in un colpo solo: un colpo da baro, eseguito forse con la collaborazione passiva della stessa vittima.

La Turchia, che del Mar Nero è la seconda potenza, dopo esserne stata la prima in altri tempi, non ha potuto che tacere e difatti ha taciuto. Fa comunque una certa impressione contemplare e misurare il ridimensionamento storico subito dalla Turchia, ridotta da impero intercontinentale a una penisola autarchica e più asiatica che europea.

Tuttavia, in virtù anche dello scossone datole negli Anni Venti da Ataturk, continuiamo a vedere in piedi sempre una nazione importante, degna di molteplice considerazione per la statura economica, geopolitica e strategica. C'è libertà più che democrazia, la quale ultima, a dire il vero, non rientra nel costume politico tradizionale: lo stesso Ataturk era tutt'altro che un democratico.

Oggi, comunque, più di un terzo della Nato dipende dalla posizione d'avanguardia che Ankara presidia con le sue efficienti forze armate nello scacchiere orientale. Tutti, alleati e meno, sanno che il soldato turco è uno dei più solidi: la sua fama di militare, che preferisce la morte sul campo piuttosto che la prigionia nel campo, è rimasta intatta fin dai tempi del sultanato.

La Turchia odierna non va comunque commisurata soltanto al passato imperiale. È tuttora, pur nelle più modeste dimensioni anatoliche, una nazione solida, scontrosa, gelosa della propria dignità, misurata e attenta nei suoi corsi e ricorsi sui binari della modernità. La più laica tra le nazioni musulmane, essa ha avuto, almeno fino ad oggi, in Tayyip Erdogan un dirigente islamico moderato anche se di tendenza autocratica e personalistica.

I tentacoli della corruzione sembrano non aver risparmiato neppure lui. Ma, probabilmente, non verrà giudicato dalla storia soltanto per questo; sarà anche giudicato, o meglio soppesato, con ogni probabilità, per i non pochi meriti con cui ha saputo tenere insieme, guidare e inserire in parte una nazione semiasiatica nel dinamico contesto europeo.

Più di un decennio nel complesso positivo. Queste elezioni sono per Erdogan anche un referendum che investe, al di là del suo partito Akp, l'intero sistema che va sotto il nome Turchia. Sapremo oggi se l'Akp, che resta in vantaggio in moltissime grandi città, è riuscito o meno. La riuscita potrebbe costituire un punto di notevole prestigio e sostegno per una Turchia destinata a svolgere anch'essa un ruolo, per ora esterno, nella costruzione di un'Europa allargata.

 

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