Giuseppe Sarcina per corriere.it
Prima sentenza, molto, forse troppo leggera, per uno scandalo che ha indignato l’opinione pubblica americana. Il giudice Indira Talwani, della Corte di Boston, ha condannato l’attrice Felicity Huffman a 14 giorni di prigione, più un’ammenda di 30 mila dollari, un anno di libertà vigilata e 250 ore di servizio sociale. Il procuratore aveva chiesto almeno un mese di carcere.
Si può tranquillamente concludere, quindi, che gli avvocati della star milionaria di Casalinghe Disperate, 56 anni, siano riusciti a contenere il danno per la loro cliente. E, inevitabilmente, il pensiero va alle centinaia di migliaia di imputati, specie se afroamericani, sprovvisti di mezzi e condannati a pene più pesanti per reati equiparabili, se non più lievi.
Huffman era stata arrestata nel marzo scorso nell’ambito di un’inchiesta che aveva portato alla luce una rete di corruzione costruita da William Singer, un faccendiere che con la copertura di una società di consulenza scolastica, chiamata Key, e una fondazione non profit, incassava tangenti da genitori facoltosi, tra i quali le attrici Huffman e Lori Laughlin. In cambio garantiva l’accesso dei figli alle Università più prestigiose, truccando i test di ammissione, corrompendo i funzionari degli atenei e persino gli allenatori in modo da far passare per atleti formidabili anche ragazzi e ragazze dalle mediocri performance sportive. In totale gli imputati sono 51.
Quello di Felicity è il primo caso a essere giudicato. La popolare attrice, premiata con un Emmy Award, aveva già confessato nel maggio scorso di aver allungato 15 mila dollari a Singer per «aggiustare» la prova della sua primogenita Sophia. Ieri in aula, nell’ultimo momento utile per appellarsi al giudice, ha provato a giustificarsi così, rivolgendosi proprio alla figlia: «L’unica cosa che posso dire è che mi dispiace Sophia. Ero così spaventata; sono stata una stupida e mi vergogno profondamente per quello che ho fatto. Ho procurato più danno di quanto avessi immaginato. Adesso vedo tutte le cose che mi hanno portato su questa strada, ma nessuna di queste conta, perché io avevo una scelta, avrei potuto dire semplicemente “no”. Sono pronta ad assumermi pienamente la responsabilità e penso che meriterò qualunque punizione mi verrà inflitta».
I suoi legali, però, hanno lavorato a fondo per circoscrivere «la punizione», sostenendo che Felicity non meritasse il carcere e proponendo, invece, un anno di libertà vigilata e una multa di 20 mila dollari. Dall’altra parte il sostituto procuratore Eric Rosen aveva iniziato la sua breve requisitoria così: «con tutto il rispetto per l’accusata, dico: benvenuta nel club dei genitori, un mestiere terrificante, stressante, esautorante». Conclusione: «In questo caso il carcere è necessario perché chiarisce che qui stiamo parlando di un vero crimine, che ha procurato un vero danno. Dobbiamo rinforzare il principio vitale che tutti sono soggetti alla legge, senza riguardo della loro ricchezza o della loro posizione». La Corte ha dimezzato la richiesta: due settimane dietro le sbarre. Fuori è già polemica.
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