IL CINEMA DEI GIUSTI - DEVO DIRE CHE ANCHE A ME PIACEREBBE DARE BUCA ALL’ULTIMO MINUTO, COME HA FATTO NANNI MORETTI ALLA CONFERENZA STAMPA DEL SUO FILM, E NON SCRIVERE NULLA DI “TRE PIANI” - MASSACRATO DALLA CRITICA INTERNAZIONALE A CANNES, SEMBRA IL REMAKE ITALIANO DI UN FILM SUDAMERICANO O GRECO. MA SEMBRA ANCHE IL FILM DI UN REGISTA CHE È INVECCHIATO E TUTTO QUELLO CHE HA DA DIRE È UN VAGO RITORNO ALLE BUONE MANIERE, UN INVITO A VEDERE QUEL CHE NON C’È IN UN MONDO ORMAI SENZA IDENTITÀ, DOMINATO DA BRUTTI ARREDAMENTI E PIGIAMI CHE NESSUNO PORTA PIÙ - TRAILER
Marco Giusti per Dagospia
Tre piani di Nanni Moretti
La solitudine di Prati. Devo dire che anche a me piacerebbe dare buca all’ultimo minuto, come ha fatto Nanni Moretti alla conferenza stampa del suo film, e non scrivere nulla dell’ultima sua fatica, “Tre piani”, girato ormai nella Prati di tre anni fa e presentato in concorso a Cannes lo scorso luglio dopo lunga, lunghissima attesa.
NANNI MORETTI ALBA ROHRWACHER MARGHERITA BUY
Anche perché nessuno, né il regista né il vecchio critico che ha visto tutti i suoi lavori, sembra aver molto da dire su questo film. E non si tratta, come ha fatto Gabriele Romagnoli su “Repubblica”, di accostarlo a “Titane” di Julia Ducurnau, che vedrò stasera, che sta proprio su un altro mondo, come qualsiasi film di un regista ventenne o di un trentenne.
Non c’è proprio una guerra giovani contro Moretti, mi dispiace, anche perché dopo due anni di pandemia il mondo è cambiato, il grande reset a livello di spettacolo c’è già stato. Tutto riparte da zero, non può ripartire da questo cinema di papà. Neanche il Moretti di “Ecce bombo” avrebbe avuto voglia di vedere e commentare “Tre piani” e la tragedia dei borghesi di Prati.
Ieri sera eravamo in 11 mila a vederlo in Italia, con un incasso di 69 mila euro, terzo incasso dietro i 167 mila di “Dune” e i 136 mila di “Space Jam”. Credevo che fosse pieno. E invece già dalla prenotazione on line la sala dove l’ho visto, il 4 Fontane, a due ore dall’inizio della proiezione era clamorosamente vuota. Mi sono stupito. Sono entrato e c’erano solo vecchi signori. Sì. Vecchi come me, ovvio. Forse anche un filo di più.
A un certo punto del film un Nanni Moretti in pigiama color tortora, un marroncino che nessuno dei presenti in sala penso avesse mai avuto l’ardire di comprare, urla alla moglie Margherita Buy un “Non lo voglio più vedere. Mai più!” riferito al figlio degenere, che aveva messo sotto ubriaco una donna, uccidendola, e poi aveva riempito di calci il padre che gli aveva detto che sarebbe finito giustamente in galera e lui non lo avrebbe mai aiutato chiamando qualche giudice amico.
NANNI MORETTI IN POSA MUSSOLINIANA A BOLOGNA - FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO
Il pigiama color tortora e l’interpretazione fuori controllo di Nanni Moretti davano a questa scena un aspetto surreale, quasi ironico, in un film che non ha proprio nulla di ironico, a parte la citazione dei gelati di Antonini gusto mandorla e mandarino. Più che le contraddizioni di un modello educativo sbagliato, l’urlo di Moretti in pigiama dava l’idea piuttosto della chiusura totale verso qualsiasi relazione con un mondo più giovane.
Da mettere in parallelo alla scena, un po’ imbarazzante, di Riccardo Scamarcio con la minorenne Charlotte di Denise Tantucci, dove il mondo dei giovanissimi e i loro desideri sembrano qualcosa di sconosciuto sia per il regista sia per il personaggio che risponde nell’unico modo che gli è possibile, cioè tirandosi giù i pantaloni. Da quel punto di vista, Scamarcio è una sicurezza.
Tratto da un romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo, massacrato dalla critica internazionale a Cannes, era pesantemente ultimo anche nelle pagelle dei critici che i giornali della Croisette distribuiscono al pubblico, “Tre piani” sembra più il remake italiano di un film straniero, sudamericano o greco piuttosto che un film di Moretti. Non senti mai Prati.
Eppure, bastava che spostasse di qualche centinaio di metri la camera e avrebbe trovato il residence dove ha a lungo abitato Freccero, per dire, o il palazzone della Rai o il Teatro delle Vittorie o il caffè Vanni che fanno davvero Prati. E’ freddo e distante, anche se qualche assolo e qualche primo piano di Margherita Buy e Alba Rohwacher ci portano un po’ di umanità.
Ma sembra anche il film di un regista che, magari come noi, è invecchiato e tutto quello che ha da dire è un vago ritorno alle buone maniere, un invito a vedere quel che non c’è in un mondo ormai senza identità, dominato da brutti arredamenti e pigiami che nessuno porta più. Con una nostalgia inutile per l’Enciclopedia Treccani e per le segreterie telefoniche, dove Moretti incide un terrificante “Questa è la segreteria telefonica di Daria Simoncini e Vittorio Bardi…”, calcando su questi nomi come se fossimo in una parodia morettiana.
E chissà quanti giorni ha passato con le sue sceneggiatrici a inventarsi questi due nomi. Le tre storie dei tre piani si intrecciano, sì, ma non formano mai una vera geografia che sviluppi davvero la narrazione. Le tre attrici protagoniste, Margherita Buy sposata col Vittorio Bardi di Nanni Moretti, con figlio finito in galera dopo aver messo sotto una vicina, Alba Rohrwacher sposata con un superassente Adriano Giannini che cresce una bambina da sola e inizia a vedere strane cose, Elena Lietti sposata con Scamarcio che pensa che il vecchio vicino malato, Franco Graziosi, che nel frattempo ci ha lasciato sia nel film che nella vita, abbia fatto cose spaventose alla figlioletta, sono tutte bravissime e reggono l’ossatura del film almeno narrativamente.
Ma non basta a far funzionare un film che, per come mi sembra di capire l’avesse impostato Moretti, avrebbe avuto bisogno di una stretta maggiore di scrittura e di montaggio, di qualche attore più naturale, e che spesso procede stancamente o si allarga improvvisamente in scene un po’ assurde, la famiglia allargata di Ragno o il tango per strada ballato a Prati, momento totalmente stracult che non avremmo voluto vedere.
Ogni tanto arriva un attore, Francesco Aquaroli, Teco Celio, l’immancabile Roberto De Francesco, il Tommaso Ragno di tre anni fa, Stefano Dionisi, a ricordarci che, attenzione!, è pur sempre un film di Moretti dove è bene esserci. Ma quando si arriva alla fine, ahimé, siamo un po’ estenuati e non capiamo dove ci abbia voluto portare e cosa ci abbia descritto Moretti con questo film.
Io e mia moglie ci siamo guardati negli occhi senza riuscire a darci una risposta. Sarà la tristezza di Prati… saranno Daria Simoncini e Vittorio Bardi… il gelato mandorla e mandarino… Per digerirlo ci vorranno almeno due puntate di qualche serie gialla finlandese… Stasera vedo “Titane”, promesso…