https://biohackinfo.com/news-bill-gates-id2020-vaccine-implant-covid-19-digital-certificates/
Barbara Carfagna per Il Sole 24 Ore
In un futuro non troppo lontano potremmo trovarci a inserire un microchip sottocutaneo con i dati di un archivio sanitario digitale, vaccini inclusi, per poter varcare le frontiere in tutta tranquillità. Lo scenario sembra lontano ma non troppo se Bill Gates sta già pensando di lanciare delle capsule sottocutanee impiantabili che accertino l’avvenuta vaccinazione per il Coronavirus. Certificati digitali biocompatibili su cui sta lavorando il MIT di Boston con la Rice University, da abbinare a ID2020, un ambizioso progetto di identità digitale.
Così come la paura dell’11 Settembre e degli attentati terroristici ci ha condotto in men che non si dica ad accettare di essere scannerizzati in calzini e a sottoporci a controlli biometrici negli aeroporti, misure fino ad allora ritenute improponibili, la pandemia Covid19 potrebbe portarci ad accogliere forme di profilazione e tracciabilità invasive. Stiamo per assistere ad una battaglia tra diritto alla privacy e diritto alla salute che non si fermerà al dibattito di questi giorni per ottenere il consenso dei cittadini alle App di tracciabilità digitale come in Corea del Sud, Israele e Taiwan, né a chi avrà accesso ai dati, a quali dati (geolocalizzazione o sapere chi è infetto nel giro dei 100 metri? Dal punto di vista etico la differenza non è irrilevante) e che uso ne farà.
L’approccio che vede contrapposte in modo radicale diritto alla privacy e diritto alla salute è facile da comunicare ma errato e anche superato. Se è nel potere dello Stato sospendere la nostra libertà di uscire di casa e andare dove vogliamo al punto di monitorarci con un drone come si potrebbe mai impedire di utilizzare i metadati telefonici e di geolocalizzazione?
La responsabilità di ognuno nei confronti della società resta affidato alle coscienze anche con la tracciabilità digitale, visto che non abbiamo telecamere con riconoscimento facciale come in Asia e lo smartphone si può lasciare a casa; nessuno è neanche tenuto per legge a possederne uno. “La privacy è un diritto fondamentale, ma modulare, non assoluto” afferma Mariarosaria Taddeo, vicedirettrice del digital Ethics Lab dell’Università di Oxford.
“Possiamo immaginare di accettare temporaneamente un’erosione di parte della nostra privacy, se questa aiuta la salute pubblica. L’importante è che misure che vengono prese in condizioni straordinarie non diventino poi strutturali una volta superata l’emergenza. È necessario inoltre che l’accesso ai dati sulla tracciabilità non sia aperto ma consentito solo a chi provvede a mitigare il rischio di diffusione del virus”. Benché la nostra Costituzione sia datata la gestione di queste app dunque, come le piattaforme di e-learning e smart working già ampiamente utilizzate in altri Paesi, non cadono nel vuoto legislativo sia in termini di trattati internazionali che di norme recenti.
“Il GDPR, Regolamento europeo per la protezione dei dati personali, offre una guida all’uso delle informazioni per ragioni di salute pubblica che vale anche in questo contesto di emergenza” prosegue Taddeo. “L’importante è che ci sia una regolamentazione chiara dell’uso di questi dati, per impedire che provvedimenti presi in emergenza non generino in futuro più problemi di quanti ne possano risolvere nell’immediato”. Anche se i parlamentari con competenze digitali si contano sulle dita della mano, sta alle Camere vigilare su questo tema.
Lo Stato deve far sentire tutta la sua forza in questa fase anche per progettare garanzie adeguate e norme precise per la fine dell’emergenza. Sarà allora, infatti, nei limiti posti alla sorveglianza di massa oggi possibile più che in qualsiasi altra epoca passata, che si vedrà la differenza tra Paesi democratici e governi autoritari. Bisogna decidere ora che società vogliamo essere: l’Occidente può riscoprire cooperazione e valori comuni o aprire il varco a nuove forme di autoritarismi digitali.