DAGONOTA
Nota a margine alla lettera-accusa pubblicata su Dagospia dagli scrittori Emanuele Trevi e Chiara Gamberale sulla morte (fin qui oscura) dell’attore Libero De Rienzo. Per gli amici, “Picchio”. Ma di cosa è incolpato questo disgraziato sito? In primis di aver dato la notizia, lanciata dalle agenzie di stampa, sul decesso del protagonista di ‘’Fortpàsc’’ e ‘’Santa Maradona’’.
Notizia ripresa da tutti i media con il sospetto degli inquirenti (non nostro) che era stato stroncato da una dose di eroina. Così scrivendo avremmo, secondo i nipotini in fasci del Minculpop, “profondamente turbato una famiglia di persone oneste”. E fin qui ce ne spiace.
Anche se nel raccontare il triste episodio eravamo in buona compagnia del “Corriere della Sera” di Urbano Cairo e Walter Veltroni di cui Trevi e Gamberale sono illustri collaboratori. Ben pagati nonostante i tagli agli stipendi dei redattori, dei collaboratori e dei cassaintegrati in via Solferino. Ma pensiamo pure, che a sconvolgere la famiglia del povero “Picchio” sia stata la fine a 44 anni, in sofferta solitudine, del loro caro congiunto.
Il figlio rinvenuto e il marito rinvenuto senza vita il 15 luglio nella sua casa soltanto ventiquattro ore dopo la sua fine. E che da giorni non rispondeva più al telefono. E di questa “sofferta solitudine” cosa sapevano i suoi amici più intimi? Gamberale e Trevi che il 9 luglio, una settimana prima della morte dell’attore, festeggiavano con tanto di bottiglia dello sponsor in mano la vittoria al Premio Strega con il romanzo “Due vite”, cosa hanno fatto di fronte alla fragile condizione umana dell’amico?
E i vari Luca Bottura e Boris Sollazzo, che polemizzano su come i giornali hanno raccontato la morte di De Rienzo e oggi celebrano per “le sue battaglie scomode contro la violenza della polizia, il sistema penitenziario, la strategia repressiva dello Stato” (vedi pezzo a seguire), cosa hanno fatto loro di fronte alla fragile condizione umana dell’amico? Perché negli anni passati non gli hanno mai dedicato un articolo, un’intervista, un corsivo?
La rete, l’informazione del web, da tempo ha messo fine al potere dei signorini delle lettere che si auto recensiscono nelle terze pagine o si spartiscono (nell’anonimato, quello vero) i premi nel salotto tarocco Bellonci. Già, la morte di Picchio non può avere altri contraddittori se non di chi può salire comodamente in cattedra sui giornaloni boccheggianti in edicola.
Sempre nell’ipotesi che la droga fosse arrivata nella sua casa romana di Madonna del Riposo a “riempire un vuoto”. Un vuoto che Pier Paolo Pasolini considerava per quelli giudicati “diversi” soprattutto un “vuoto culturale”.
CHIARA GAMBERALE E EMANUELE TREVI
E a quale titolo, e con quali argomenti, la ditta dalla virgola catoniana Trevi&Gamberale si permette di calunniare Dagospia che, a loro sentire, sarebbe colpevole di nascondersi dietro l’anonimato dei suoi articoli, “una pratica tipicamente fascista” (sic)?
Forse non vale neanche la pena ricordare ai due apostoli della verità (negata) che il filosofo Adorno sosteneva: “Di quello che si può parlare, bisogna parlare”. E rammentare loro quanto scriveva e osservava il poeta e saggista Franco Fortini contro il silenzio degli “intellettuali generici che scrivendo su per i giornali si fingevano obbligati solo alle proprie parole firmate, e con boria cresciuta rigogliosa sulla mala coscienza”.
libero de rienzo con la moglie
E aggiungeva: “Volevano far credere di credere ancora alla favola della indipendenza, come se ogni loro parola non prendesse colore delle aniline infuse nei contesti, da quel che li circonda e li fa lievitare: istituzioni redazionali, politiche della cultura, poteri visibili e no”.
LIBERO DE RIENZO, POLEMICHE SU COME I GIORNALI NE HANNO RACCONTATO LA MORTE
Giuseppe Candela per Il Fatto Quotidiano
Il 15 luglio scorso l’attore Libero De Rienzo è stato trovato senza vita. Morto a soli 44 anni, stroncato da un infarto, con il successivo ritrovamento di eroina nella sua abitazione. La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per morte in conseguenza di altro reato disponendo l’autopsia.
La scomparsa dell’attore di Fortpàsc e Santa Maradona ha aperto un dibattito sul ruolo del giornalismo nel racconto della tragica vicenda, categoria finita nel mirino nei giorni scorsi. Dettagli scabrosi ritenuti inutili e irrispettosi, titoli acchiappaclick, mancanza di rispetto verso la famiglia senza reali certezze: questo il tono dei commenti di utenti comuni sui social.
“Ma quindi l’idea che di come è morto Libero De Rienzo non ci interessi nulla e che dovreste lasciarlo in pace non vi sfiora”, scrive l’autore Luca Bottura. Critiche arrivano anche da Mario Adinolfi: “È inutile il fascicolo aperto dalla procura di Roma su Libero De Rienzo per “morte come conseguenza di altri reati”. C’è chi cerca gloria sui giornali parlando di tracce di droga. A che serve? Una volta accertato che non s’è trattato di atto violento, si lascino in pace i morti.”
maccio capatonda herbert ballerina
A stretto giro si aggiungono le opinioni dell’attore Herbert Ballerina (“Ma come è possibile che il primo idiota che passa possa scrivere tutto ciò vuole? Ma giornalisti di cosa???“) e della giornalista Francesca Barra (“Con Libero De Rienzo si sta oltrepassando un limite che mortifica la famiglia e non (ancora) verità, viene da chiedersi a cosa servono i dettagli morbosi“).
Accuse che sono piovute anche da chi fa parte della stessa categoria. “Dettagli minuziosissimi e ‘scabrosi’ sulle ‘bustine’ e le ‘polveri’ manco parlassimo della serie ‘Narcos’: davvero non ci si poteva limitare a scrivere, dell’attore scomparso, che era un padre amorevole? E davvero è illegittimo il sospetto che tanti vogliano vendicarsi di Picchio e delle sue battaglie scomode – contro la violenza della polizia, il sistema penitenziario, la strategia repressiva dello Stato?“, scrive Boris Sollazzo su Il Dubbio in un articolo dal titolo eloquente “Noi cronisti e la spazzatura su Libero De Rienzo”.
Nel mirino, anche sui social, finisce il quotidiano Repubblica che affida la replica al giornalista Marco Mensurati: “Ci sono un paio di domande che in queste ore da più parti ci vengono poste con una certa insistenza (e con diversi gradi, diciamo così, di civiltà). Era proprio necessario raccontare tutti i dettagli della morte dell’attore Libero De Rienzo? E poi ancora, e forse soprattutto, non si poteva omettere il dettaglio del ritrovamento dell’eroina? La risposta, ovviamente, è sì, era proprio necessario. E no, non si poteva omettere un particolare così rilevante.”
“Muore un attore bravissimo e amato come De Rienzo, un padre di famiglia, un insolito e laterale intellettuale della malconcia scena italiana, e il suo pubblico, i suoi amici, i suoi affini, non vorrebbero altro che stringersi nel dolore in una composta e silenziosa celebrazione. Il compito di un giornale e di un giornalista, però, non è quello di celebrare. Ma di raccontare i fatti.
E se la notizia, come in questo caso, è una bustina di eroina trovata nella casa dell’attore, non pubblicarla sarebbe un errore. Grave. E pericoloso. Perché salterebbero i meccanismi di controllo e di imparzialità che sono alla base del rapporto con i lettori”, continua Mensurati che poi si sofferma su chi ha criticato il lavoro dell’intera categoria:
“Colpisce in particolare che molte delle critiche arrivate ai giornali provengano da una ben determinata categoria di persone. Intellettuali del cinema, professionisti della comunicazione, persone per dirla in breve che avevano una frequentazione diretta e personale con De Rienzo e con la sua famiglia.
In molti di questi casi l’impressione che si è avuta è che gli amici stessero implicitamente, e in maniera umanamente comprensibile, invocando una sorta di trattamento di favore per un congiunto, un affine (anche solo intellettualmente). Nulla di più.”
Così il giornalista ricorda l’assenza di critiche quando la testata raccontò la storia di Maddalena Urbani, figlia di Carlo Urbani, il medico che isolò la Sars: “Parlammo del ritrovamento del suo corpo, della morte per probabile arresto cardiaco, del sequestro dell’eroina e degli psicofarmaci, scrivemmo dell’autopsia e delle indagini partite dalle analisi del suo telefonino e infine raccontammo dell’arresto dell’uomo che le aveva dato la droga. Nessuno del circolo intellettuale che oggi ringhia contro i giornali ci trovò niente di strano. Quelle erano notizie, noi stavamo facendo il nostro mestiere. E loro non erano amici di Maddalena.”
Al dibattito si aggiunge anche la voce del sito Dagospia che replica a modo suo alle critiche delle scorse ore: “Dagospia deve tacere su De Rienzo eroinomane e persino l’amica ‘Repubblica’ deve venir meno al primo compito di un giornale: dare le notizie. E giù telefonate, pressioni, tweet e stupore social. ‘Che schifo che lo dicono’.
Già, che vergogna dire la verità quando è un nostro compagno che muore di eroina! Non dovremmo nascondere la polvere sotto il tappeto persiano? Si può, si deve dire dell’assessore leghista che gira con la pistola credendosi un John Wayne, ma va taciuto che il povero De Rienzo teneva l’eroina sul comodino. I nostri amici non si toccano: è la prima regola di tutte le congreghe, dei patti di sangue.
E poi è tutta gente che vive in periferia come il ministro Orlando, che fa giusto un po’ di sport al Tennis club, che è all’Ultima spiaggia per un tuffo che poi, guarda caso, finisce sempre a scrivere per i giornali della borghesia. Ecco la grande ambizione: nascondere i vizi e pubblicare per la casa del Berlusca, scrivere per il giornale degli Agnelli e assicurarsi, così, recensioni per i prossimi libri e nuove relazioni con ‘Gli amici della domenica’. Che poi, la domenica, è il giorno della Messa, quello da santificare come facevano i democristiani – che, però, loro, ci credevano davvero.”