“L’ESIBIZIONE DI PAOLO CONTE ALLA SCALA? È UN MOSTRO SACRO, NON MERITEREBBE LA POLEMICA CHE SI STA TENTANDO DI IMBANDIRE” - FILIPPO FACCI: “ALLA SCALA IN PASSATO SI ESIBÌ KEITH JARRETT, IL PIÙ CHE ECLETTICO JAZZISTA STEFANO BOLLANI, HA PURE SUONATO (CANTATO) IL MITICO BOBBY MCFERRIN. HA DETTO TANTI NO, LA SCALA: MA ANCHE TANTI SÌ, E DA TANTO TEMPO. MENARLA CON TOSCANINI E CON MUTI, E CON ‘UNA VOLTA ERA DIVERSO’, CI RELEGA IN CONDIZIONE DI RITARDO CULTURALE: DOVE, BENINTESO, STIAMO BENISSIMO. MA DOVE DIMORA, SENZ’ALTRO ANCHE PAOLO CONTE”
Estratto dell’articolo di Filippo Facci per “Libero quotidiano”
Lo splendido 86enne Paolo Conte si esibirà il 19 febbraio al Teatro alla Scala, e stiamo parlando di una delle nostre maggiori glorie internazionali […] cantautore, autore, polistrumentista jazz, pittore ed ex avvocato apprezzato in tutto Occidente […] un mostro sacro di statura incomparabile, e che, dopo la sua sessantennale carriera, forse, ecco: non meriterebbe la polemica che si sta tentando di imbandire per via di una sua presunta «estraneità» al mondo della Scala […] una tipica diatriba tardiva, un filo pretestuosa e perciò fuori luogo, improvvisata quando la stalla è già stata aperta da una vita, e i buoi sono già scappati da un pezzo.
La polemica, peraltro, l’ha tentata lo stimato amico Piero Maranghi perlomeno amico dello scrivente […] Maranghi, produttore, regista, scrittore, insomma competente benché fanatico verdiano (non si può avere tutto) ma che è anche gestore dei bookshop della Scala (le librerie) e eccoci, è proprio questo il piccolo conflitto d’interesse che inficia le sue frecciate all’attuale sovrintendenza scaligera: ossia le profonde incomprensioni (diciamo così) tra lui e il franco-tedesco e un po’ provinciale Dominique Meyer - il sovrintendente - che nei fatti hanno portato i bookshop a una provvisoria chiusura.
Questa è la premessa che Maranghi doveva fare: prima ancora di precisare d’essere un amante sperticato di Paolo Conte […] quasi un fatto personale tra Maranghi e la sovrintendenza, com’è comprensibile - data la mediocrità di Meyer - senza che tuttavia ci fosse bisogno, forse, dell’infinita quantità di argomenti anche contraddittori che Maranghi ha addotto alla sua polemica, come si dice: excusatio non petita.
Alla Scala in passato si esibì Keith Jarrett, che nel mondo resta noto come jazzista sin dai tempi di Miles Davis, negli anni Settnta […] Alla Scala ha suonato il più che eclettico jazzista Stefano Bollani […] Ha pure suonato (cantato) il mitico Bobby McFerrin […] Parliamo di tre mostri. Mentre La Scala, in passato, ha detto no a Charles Aznavour (che voleva fare del suo concerto uno strumento politico) e persino a Bob Dylan […] Ha pure detto no a Bocelli perché, con tutto il rispetto, resta un interprete votato più al profano che al sacro, tanto che esordì praticamente a Sanremo. Ha detto tanti no, La Scala: ma anche tanti sì, e da tanto tempo […]
[…] La Scala […] è divenuta simile ad altri importanti teatri (che è anche un bene) ma ha perso un senso di appartenenza meneghina che però non è stato perso solo dalla Scala, ma da un’intera epoca, spersa in un tutto che sembra uguale a tutto. Alla Scala non c’è più Carlo Fontana. Non c’è più Paolo Grassi. […] Quindi Maranghi sa quanto possiamo condividere le sue parole quando scrive […] Lo scrivente prenderebbe volentieri a calci anche certi registi (ignoranti veri) che hanno scambiato il repertorio musicale per una colonna sonora delle loro cazzate, non studiando, non rispettando.
Maranghi dice che La Scala è un supermarket che fa cucina internazionale e dove si assiste a spettacoli identici a quelli di Amsterdam, Bordeaux, Dresda […] si poteva dire anche così: i teatri che hanno preso questa china sono i teatri di oggi. E oggi, appunto, menarla con Toscanini e Grassi e con Muti, e con «una volta era diverso», ci relega d’ufficio in una condizione di ritardo culturale: dove, beninteso, stiamo benissimo. Ma dove dimora, senz’altro, su un piano diverso, anche […] Paolo Conte […]