Franco Giubilei per “la Stampa”
Nella vasta galleria di personaggi di Teo Teocoli, grande mattatore di un cabaret in via di estinzione, si staglia la silhouette panciuta di Felice Caccamo. Con le sue rimpatriate col «petisso» Pesaola e Ferlaino, le mangiate di struzzo di mare e l' immancabile sfondo del Golfo di Napoli, l' inviato partenopeo dei tempi di Mai dire gol è tuttora una star dello spettacolo del comico milanese: «Se non lo faccio, lo reclamano», dice Teocoli.
Lo show si chiama Tutto Teo e lui lo attraversa con la leggerezza surreale di chi è venuto su a pane e palcoscenico a fianco di gente come Enzo Jannacci al vecchio Derby, lo storico locale meneghino: «Sono un autodidatta, non li scrivo neanche i testi, nello spettacolo porto battute e storie di vita, e poi i miei personaggi storici, da Celentano a Maldini a Prisco».
Come crea gli spettacoli?
«Ho scoperto che piaccio moltissimo a un pubblico un po' agé, i ragazzi non mi conoscono, allora è giusto aggiustare il tiro e fare quello che il pubblico ama sentire. Oggi i 50enni che seguivano me e Boldi su Antenna 3 Lombardia, una bomba comica, mi fermano per abbracciarmi, e sono passati 35 anni».
Che rapporto ha con la modernità?
«Alla mia età bisogna vivere di cose naturali, quindi non ho computer, niente social, il mio cellulare funziona un giorno sì e uno no. Non ho voglia di mettermi al passo coi tempi: ho una Vespa e un maggiolone cabrio Volkswagen da 25 anni».
All' inizio della sua carriera sembrava dovesse fare il cantante.
«Cantavo molto bene, mi facevano cantare anche a scuola, ma mi piaceva troppo divertirmi Ero il cantante di un complesso, i Trapper, poi sono entrato ne I quelli, la futura Pfm, ma avevo capito che erano musicisti veri e con loro non c' entravo niente. Di Cioccio (leader della Pfm, ndr) diceva che non capiva perché fossi andato con Celentano. Poi sono partito per il militare e un giorno ho sentito Impressioni di settembre: mi sono cascate le braccia a pensare che non ero più con loro, che canzone!».
Nel 1969 il musical Hair con Renato Zero e Loredana Bertè, che ricordo ne ha?
«Ero il protagonista. Chiesi a Loredana come si chiamava e lei mi rispose "saranno cazzi mia!". Capii il personaggio. Poi diventammo amicissimi. Una volta chiudemmo Renato in bagno con la sua chitarra, componeva sei canzoni al giorno, non lo sopportavamo più».
Com' è cominciata la sua avventura al Derby?
«Fatale fu l' incontro con tre "deficienti": Enzo Jannacci, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto. Si spingevano, si spettinavano, poi Jannacci mi disse che voleva che facessi parte di Saltimbanchi si muore, uno spettacolo viaggiante con Lino Toffolo. Al Derby ho messo molto del sentimento di Hair nel cabaret: parlavo in italiano quando c' era tanto teatro dialettale, mi spogliavo in scena».
A chi era più affezionato in quell' ambiente?
«Ero particolarmente legato a Enzo (Jannacci, ndr), l' ho seguito anche quando stava male. Era un genio, pensa se ci fosse stata la possibilità di tradurre in italiano le sue canzoni in dialetto: in Scarp' de tennis c' è l' amore, la disperazione, un capolavoro. "Il dritto" è ispirata a me, con la casa popolare al numero 3, un po' mi ritrovavo in quella canzone».
Mai dire gol negli Anni 90 fu una fucina di talenti, di chi fu il merito?
«Se ne danno tantissimi alla Gialappa, che ce li ha, ma anch' io ci ho messo del mio: personaggi come Vettorello, Peo Pericoli, Caccamo. Da Antenna 3 portai Gennaro e Luìs, poi Mandi Mandi, Aldo Giovanni e Giacomo, per cui spingeva pure la Gialappa. Quando vennero la prima volta aspettarono più di un' ora e Aldo voleva andarsene: "Miii andiamo via". Allora andammo in studio con loro, Albanese e Peo Pericoli e inventammo i bulgari».
Nessuno si è mai indispettito per le sue imitazioni?
«Cesare Maldini si arrabbiò quando allo stadio lo imitai con un fiasco di vino. Se vai a braccio rischi delle scivolate terrificanti, ma escono anche cose straordinarie».
È vero che i comici in realtà sono le persone più malinconiche che esistano?
«Non sono affatto malinconico. Quando lo spettacolo va bene torniamo in macchina mangiando un panino e siamo contenti. Oreste Lionello diceva "la battuta è la mia ossessione", la penso come lui».
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