Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Quante volte avrei voluto gridare, seguendo «Lui è peggio di me» (Rai3), la prima raccomandazione che insegnano nelle scuole di scrittura: «Show, don' t tell» (mostra, non raccontare). Per una ragione molto evidente: il programma funziona quando qualcuno si esibisce ed è, invece, di una noia mortale quando parla di sé e continua a spiegare l' idea di fondo, la «novità» della convivenza forzata: due conduttori, Giorgio Panariello e Marco Giallini, occupano due studi adiacenti e si dividono gli ospiti; una roba da Lillo & Greg, tanto per capirci, o da «Maledetti amici miei».
Panariello, con scrivania classica da late show, ha il compito più difficile (dei due è quello che prende le botte), mentre Giallini non fa nessuno sforzo per uscire dal romanesco (non si abita un Paese, si abita una lingua), nonostante una scenografia hipster.
Dopo un avvio disastroso (l'anteprima affidata a Sigfrido Ranucci, l' intervista al direttore Franco Di Mare, l'intervento in stile «vecchia» Rai3 affidato a Serena Dandini), le cose hanno cominciato a funzionare con la presenza di Luca e Paolo e di Antonello Venditti e Francesco De Gregori. Per quanto le interviste parallele fossero molto scritte, c'è da chiedersi se tutte le settimane sarà possibile avere delle coppie di questo livello, così professionali, così brave. Ma il programma verrà certamente ricordato per la presenza di Marco Travaglio nella sua migliore esibizione: il sorcino.
Non contento di essere tutte le sere ospite di Lilli Gruber, detronizzato dal ruolo di ideologo del M5S, intronato dalla presenza di Draghi, Travaglio ha sentito il bisogno di sfoggiare il repertorio del suo cantante di riferimento, Renato Zero.
Deposta la maschera del ghigno, appariva soddisfatto, appagato, avendo trovato quello che tutti inseguono, quello che pochi incontrano: la sorcinità. Il suo vero universo di riferimento.