Marco Molendini per Dagospia
taylor swift the tortured poets department
Diciamo la verità: il nuovo album di Taylor Swift è una mattonata (tra l'altro una mattonata che, per gli insaziabili, può essere raddoppiata: versione small con 16 canzoni e large con 31). Canzoni monotone e il suo canto mediano, che spesso ricorre all'autotune, non aiuta anche se la cucina strumentale è, oggettivamente, curatissima. Ma il materiale è quello per quanto possa essere confezionato.
Per lo più Taylor Swift indugia su ballad dedicate alla frustrazione amorosa, con allusione ai suoi fidanzati con testi verbosi ognuno associato a una sua storia personale, più riferimenti e citazioni a corredo, dal poeta Dylan Thomas a Patti Smith, alla detestata Kim Kardashian perfino Peter Pan e Cassandra.
Eppure The Tortured Poets Department (Il Dipartimento dei Poeti Torturati) vende e non poteva essere altrimenti. Vende sulla fiducia (su Spotify è diventato subito il più ascoltato, superando il miliardo di stream). Inevitabile risultato, a prescindere dal prodotto. Specie se la pubblicazione arriva dopo un vero assedio mediatico, dal varo di un canale radiofonico satellitare (che trasmette le sue canzoni 24 ore su 24, sette giorni a settimana) al ritorno su TikTok, ai trionfi del tour appena concluso (con un miliardo di incassi), al Super Bowl con bacio pubblico al fidanzato Travis Kelce, al Grammy, all'esposizione politica (i giornali americani si chiedono, addirittura, se il suo supporto possa spingere Joe Biden alla vittoria contro Trump).
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La ditta Swift non si risparmia, incassa ( la signora, una Ferragni del canto moltiplicata per mille, ha superato il miliardo di patrimonio), ha la tendenza a dominare completamente il mercato (ha pubblicato nove album in cinque anni). E, in tanto darsi da fare, può capitare di ripetersi, come succede nell'estenuante The Tortured Poets Department. Vizio più grave, quello di ripetersi, se poi non si ha il senso della misura. Perché sfornare 31 canzoni?
Che bisogno c'è, se non quello di soddisfare il proprio ego? O è il sotterraneo timore di lasciare il tempo ai propri fans di distrarsi? È la stessa ansia da prestazione che spinge Taylor a tenere stretti i legami coi suoi fans nei vari social in modo massiccio con l'intento di creare una community fatta di fedeli più che di fans. E i fedeli non tradiscono, almeno fino a che non si stancano.
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