Estratto dell'articolo di Daniele Luttazzi per “il Fatto quotidiano”
Riassunto delle puntate precedenti: negli anni, Fabiofazio ha infarcito di balle vittimistiche il racconto del suo rapporto lavorativo con la Rai […].
Annunciato il passaggio alla Nove, i giornalisti amici (pidini e/o scuderia Caschetto e/o gruppo Gedi e/o ex collaboratori di Fabiofazio) hanno subito strumentalizzato la vicenda per fare propaganda anti-governativa, evocando a sproposito l’editto bulgaro; e per sminuire le critiche al programma costosissimo hanno ripetuto in coro che si ripagava con la pubblicità.
Ma è vero? Chi lo dice? Al Fatto, nel 2020, Fabiofazio affermò: “Mi dicono che il mio programma è interamente coperto dalla pubblicità”. Questo “mi dicono” è un capolavoro di fuffa (fa pendant con quello escogitato dal Corriere della Sera la settimana scorsa: “Chi sa di conti assicura che a fronte di una spesa di 450mila euro gli incassi arrivano al milione”. Chi sa di conti chi? Dove sta scritto?).
Fra quanti hanno riportato per l’ennesima volta lo schemino paraculo di Fabiofazio (che nell’ultima versione è: “Il programma costa 450mila euro, 15 secondi di pubblicità costano 40mila euro. Considerando 16 minuti di pubblicità, si fa presto a comprendere costi e ricavi”), solo Francesca Petrucci ha avuto l’onestà intellettuale di puntualizzare che “a onor del vero, tuttavia, bisogna aggiungere che non si hanno dati precisi dai bilanci Rai.
L’azienda, infatti, non comunica gli introiti dei singoli programmi. Quello che fa è rendere noto un conto unico – dove fa rientrare tutti i guadagni – che fa capo alla voce ‘Rai Pubblicità’. Pertanto è impossibile fare un’analisi dettagliata e precisa” (bit.ly/3MIWHff). Affrontiamo dunque la nebbia.
Michele Anzaldi, da segretario della Commissione di Vigilanza Rai, spiegò: “La Corte dei conti parla di un costo a puntata di 409.700 e un incasso stimato di 615.000 con uno share del 18-20%”.
Ora: Che tempo che fa su Rai1 aveva uno share medio del 15%, su Rai2 del 9%, su Rai3 dell’11,8%. Anzaldi: “Ma i costi sono rimasti gli stessi. Se la Corte dei Conti si pronunciasse oggi, come potrebbe sostenere che il programma non sia in perdita?”. E c’è un altro elemento da considerare […]
Lo chiarì Business Insider: “A differenza delle televisioni commerciali, la Rai ha per legge un doppio limite all’affollamento pubblicitario: uno orario, fissato al 12%; e un altro settimanale al 4%, per il quale però si devono considerare Rai1, Rai2 e Rai3 nel loro insieme. In sostanza la media settimanale delle tre reti non può superare i 144 secondi l’ora. Supponendo che la concessionaria della tv di Stato faccia il pienone per le tre ore di programmazione domenicale di Che tempo che fa, bisognerebbe di fatto azzerare le inserzioni pubblicitarie per altre 9 ore: per andare in pareggio, quindi, la raccolta di Fazio dovrebbe coprire almeno i costi di 12 ore di trasmissione. Un utile di 165mila euro (615-450) andrà spalmato su altre nove ore”.
[…]
Riferendosi all’edizione 2017 (Rai3) di Che termpo che fa, la Rai svelò che il costo del programma di Fabiofazio era coperto dalla pubblicità solo per il 54% (bit.ly/3okfEeQ).
Il Fatto Quotidiano scrisse (cifre mai smentite) che col contratto 2017-2021 i costi del programma di Fabiofazio lievitavano a 73 milioni di euro. Per un programma di interviste! (E oggi nessuno ricorda la spesa a fondo perduto che la Rai sostenne nel 2017 per il nuovo studio faraonico del programma: 1,8 milioni di euro dei contribuenti. “Per sistemare un capannone preso in affitto”, specificò Anzaldi).
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