Oliviero Beha per il “Fatto Quotidiano”
Come un redivivo Brecht di borgata (“Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi né di Saviani”) sia pur rovesciato, temo che dovremo ringraziare ancora una volta Roberto Saviano per la sua straordinaria utilità sociale, culturale e politica.
Me lo suggerisce il caso di ieri, ovverosia l’effetto mediatico della sentenza della Cassazione sulla vicenda che ha visto lo scrittore ricorrere contro la sentenza d’appello che lo condannava per plagio nei confronti di Cronache napoletane e Cronache di Caserta. Plagio esemplificato a iosa in Gomorra, con brani copiati da articoli delle testate citate.
La Cassazione ha respinto 6 dei 7 punti del ricorso di Saviano, confermando i gradi di giudizio che lo avevano ratificato come strenuo copista altrui. Perché dunque ringraziare un’icona contemporanea, macchiatasi nella sua opera più famosa (l’unica?) di una colpa tra il grave e il ridicolo? Perché ieri vanamente avresti cercato la sostanza della sentenza di Cassazione su Repubblica Napoli, il Corriere del Mezzogiorno alias Corriere della Sera, il leggendario e dominante Mattino.
I titoli e i testi recitavano l’esatto contrario, registrando una netta vittoria di Saviano. Che in qualità appunto di icona e di calamita di business editorial-mediatico gode evidentemente di una riserva, di un’area protetta, di una zona franca che lo difenda da eventuali offuscamenti di immagine.
Una specie di “Nessuno tocchi Saviano”, anche se nella drammaturgia biblica del caso lui sarebbe l’Abele di turno. Ma non è tanto di lui in qualità di supereroe contemporaneo che vorrei parlare, avendolo già fatto periodicamente in passato proprio qui. Non di lui il cui processo simbolico si è trasformato in una processione da Madonna Pellegrina, fino alle presenze tv ad Amici. Non di lui dalla inarrivabile fisiognomica a metà tra un cristo partenopeo e un camorrista omeopatico. Non di lui iscritto a forza dalla contraerea nemica di destra tra le file dei professionisti dell’anti-camorra.
No, lui qui è prezioso come cartina di tornasole della qualità e dell’onestà dell’informazione, nel caso specifico come nella situazione più generale. Saviano non ci sta soltanto dicendo che non si può fare la nuda cronaca di ciò che gli succede, a meno che non siano fatti che contribuiscano a rassodargli il piedistallo su cui ormai si esercitano i piccioni, e che quindi il principio della verità cui avrebbe dedicato la sua vita viene contraddetto clamorosamente proprio in ciò che lo riguarda.
Saviano si sta immolando per noi sulla croce della censura mirata e della realtà ribaltata perché i lettori capiscano in che buco nero sia precipitato il giornalismo nostrano, quello in fondo alle classifiche di Freedom House per intenderci.
Saviano ci sta dicendo senza dircelo – lo farà ad hoc nel programma di Maria De Filippi? – che non ci si può fidare dell’informazione, che non dà le notizie correttamente e addirittura stravolge una sentenza della Cassazione. Se lo ha fatto stavolta, casualmente a suo favore, ci suggerisce il giovane favoloso anti-camorra, perché non pensare che lo possa fare abitualmente, alterando la nostra percezione della realtà?
Tutta la corolla di santità laica che lo circonda da un lato appassisce per come viene preservato dalla cruda informazione, dall’altro risulta preziosa per delineare il “misfatto”: stavolta la cassa di risonanza suona sorda, ma siamo costretti a sentirla anche se i lord protettori del Che di casa nostra gli hanno steso mediaticamente intorno un cordone sanitario.
Non sufficiente però: hai un bel ripulire sul web il tuo profilo social, c’è sempre qualcuno in più che viene a sapere e s’indigna. Di questo bisogna ringraziarlo. Il plagio diventa quasi un peccato veniale.