sorry but this is not ok (right is from the new netflix eva script) pic.twitter.com/LehJYFjMng
— Jimmy Gnome (@jimmygnome9) 21 giugno 2019
Gianmaria Tammaro per “la Stampa”
Il 21 giugno su Netflix sono stati caricati i due film di “Evangelion”, “The end of Evangelion” e “Evangelion: Death (true)”, e la serie “Neon Genesis Evangelion”. Il doppiaggio e l’adattamento in italiano sono stati curati rispettivamente da Fabrizio Mazzotta e da Gualtiero Cannarsi. La società che si è occupata della lavorazione è stata la VSI di Roma.
Nel giro di poche ore dalla pubblicazione dei contenuti, su alcuni forum, sui social e su siti dedicati, la nuova versione italiana dell’anime creato da Hideaki Anno è stata duramente criticata. In primis per alcune scelte di traduzione (gli angeli sono diventati apostoli, anche se – dice Cannarsi – per una decisione precisa e per correggere un errore commesso anni fa). E poi per la forma e il tipo di italiano – alto, ricercato, talvolta arcaico e poco accessibile – che sono stati usati.
La posizione di Netflix, di VSI e l’importanza dell’adattamento
Prima di entrare nel merito della questione e quindi provare a ricostruire quella che è la storia di questo nuovo adattamento di “Evangelion”, è importante fare un passo indietro e provare a prendere in esame anche altri tre elementi. Il primo: Netflix, con buone probabilità, almeno nel territorio italiano, ha sottovalutato la portata del fenomeno della serie. Il secondo: non c’è stata piena consapevolezza, da parte della VSI, del tipo di prodotto su cui stavano lavorando. E il terzo e forse più importante: c’è una differenza tra doppiaggio e adattamento; e quello che in questo caso va preso in esame è l’adattamento.
Come hanno detto alcuni dei professionisti coinvolti, la VSI ha avuto un’idea confusa di anime e del suo target di riferimento. “Evangelion” non è stata avvicinata come un prodotto di massa, ma come un titolo per la nicchia.
Gualtiero Cannarsi, secondo la nostra ricostruzione, è stato contattato solo in un secondo momento. All’inizio, la VSI aveva coinvolto un altro professionista che ha suggerito di rivolgersi a Cannarsi perché “massimo conoscitore della materia” in Italia. Altro punto dolente emerso dalla nostra ricostruzione: c’è stato un cortocircuito tra le parti coinvolte, e sebbene ci siano stati più volte problemi in sala di doppiaggio è mancata un’effettiva comunicazione tra adattatore e doppiatori.
Il punto di vista di Fabrizio Mazzotta, direttore del doppiaggio di “Evangelion”
gualtiero cannarsi neon genesis evangelion
«La prima volta che siamo stati contattati è stato intorno agli inizi del dicembre del 2018». Fabrizio Mazzotta, che ha diretto il doppiaggio, è una delle voci e dei volti storici del settore in Italia. Cura adattamenti dal 1981, ha lavorato per diverse società tra cui Fox e Disney. E tiene corsi di adattamento. Segue direzioni del doppiaggio dal 1993, e doppia dal 1972. «Mi hanno contattato perché avevano visto che avevo firmato le prime direzioni e i primi adattamenti di “Evangelion” (in una lettera pubblica firmata da Francesco Di Sanzo, co-fondatore di Dynamic Italia, viene detto che anche quegli adattamenti erano stati lavorati e riscritti da Gualtiero Cannarsi, ndr). Sia della serie, quella andata in onda in televisione su MTV, sia dell’edizione home video dei film. Netflix, in tutto questo processo, non c’era. La cura del doppiaggio è stata affidata alla VSI».
Nella visione di VSI, “Evangelion” è una serie molto specifica che si rivolge a un pubblico specifico. «E l’idea, secondo me, è sbagliata», aggiunge Mazzotta. «Non si può pensare che visto che parliamo di cartoni giapponesi, ci rivolgiamo a un pubblico particolare, con interessi particolari, che ha bisogno di un linguaggio particolare. Perché non è così».
La scelta di Gualtiero Cannarsi, tuttavia, è risultata comoda – almeno in un primo momento – al piano di lavorazione. «Perché io non potevo occuparmi dei dialoghi, essendo in sala di doppiaggio», dice Mazzotta. «E perché, ai tempi dell’edizione televisiva, Gualtiero aveva scritto la maggior parte degli episodi. L’unica cosa che aveva chiesto era di poter rivedere i copioni. E dopo vent’anni, era una richiesta più che legittima».
I problemi in fase di doppiaggio: doppiatori pronti a lasciare, incomprensioni del testo
C’è stato, però, un problema. «Pensavamo che il lavoro sarebbe proceduto velocemente. In realtà Gualtiero ha riscritto i copioni daccapo, facendoci perdere anche tempo rispetto alla tabella di marcia che ci eravamo imposti e che chiedeva Netflix».
Alcuni turni di doppiaggio sono stati saltati e una settimana, circa, è stata persa. «Ma questo è il meno. Il vero problema è stata la riscrittura. Perché farraginosa, difficile, incomprensibile. Apostoli o angeli non importa», insiste Mazzotta. «Ha anche un motivo e Gualtiero l’ha spiegato. Il linguaggio, invece, è così involuto e complicato, che ha creato anche dei problemi in sala. Mi creda se le dico che, a un certo punto, i doppiatori volevano abbandonare la serie perché non riuscivano a lavorare e perché non volevano rimetterci la faccia».
Lo stesso Mazzotta, confessa, ha avuto delle difficoltà. Come direttore del doppiaggio ha provato a correggere alcuni passaggi – secondo il suo punto di vista – ma la VSI gliel’ha impedito, dicendo che non si poteva. «Non so che tipo d’accordi avessero stretto. Io ero un loro dipendente, quindi mi sono rimesso alle loro direttive».
Tutta la lavorazione è durata circa un mese e mezzo: «che sono tempi», dice Mazzotta, «normalissimi». Ma come si procede in questi casi? «Arriva la traduzione, per “Evangelion” dal giapponese; e l’adattatore deve adattare: rendere comprensibile una lingua e dei concetti per il suo pubblico di riferimento. Questo, ovviamente, non vuol dire modificare il concetto espresso da una frase. Perché sarebbe travisare». Il problema secondo Mazzotta è stata la forma espressiva scelta da Cannarsi. «Mi va bene che alcuni personaggi parlino in maniera aulica, ma puoi trovare comunque delle frasi comprensibili per tutti».
L’obiettivo ultimo, continua Mazzotta, è avvicinare il pubblico ad un’opera. E non allontanarlo. «L’adattatore, la sua cifra stilistica, non si possono sovrapporre all’opera. Non si devono riconoscere. L’adattatore deve nascondersi. Deve fare un servizio per lo spettatore. Se capire diventa una cosa complicata, fallisce nel suo compito. Se vuoi la fedeltà assoluta, metti l’originale. E va benissimo».
Il compito del direttore del doppiaggio, invece, è leggere i copioni, capire e approfondire la storia, e dare di volta in volta indicazioni ai doppiatori. «E il doppiatore recita. Ma se il testo è scritto male, e non si capisce da che parte cominciarlo o finirlo, risulta difficile anche la recitazione. Alcune volte, in questo caso, siamo stati costretti a tornare ai vecchi copioni anche solo per capire il significato di alcuni passaggi. Eravamo in cinque persone in sala, e nessuno riusciva a capire».
Quindi una criticità c’è stata. «Se non ci fosse stata una reale difficoltà, non ci sarebbe mai stata questa discussione», suggerisce Mazzotta. «Certo che l’opera è importante, ma siccome è così importante devi farla conoscere al pubblico nel migliore dei modi. Tu – doppiatore e adattatore – lavori per il pubblico. Non per te stesso».
La posizione di Netflix e VSI: no comment
Mazzotta confessa di aver provato più volte a invitare Gualtiero Cannarsi in sala di doppiaggio, e più volte gli ha telefonato. Ma c’è stato un chiaro rallentamento, forse voluto, forse solo casuale, da parte di VSI, che a un certo punto, dopo la fine della lavorazione dei primi episodi, ha richiamato Cannarsi e ha rielaborato, facendole ridoppiare, alcune parti. Abbiamo provato a contattare la società romana, ma più volte ci è stato detto che non erano interessati a rilasciare alcun tipo di dichiarazione. Abbiamo contattato anche Netflix, che ha dato la stessa risposta. No comment.
Dopo aver sentito Fabrizio Mazzotta, ci siamo trovati quindi davanti a un bivio. Abbiamo capito che le condizioni di lavorazione del nuovo adattamento e del nuovo doppiaggio di “Evangelion” non sono state le migliori, e abbiamo anche scoperto che una parte importante del cast di lavorazione non era a suo agio con i nuovi testi.
In questi giorni, Cannarsi è stato coinvolto in più conversazioni sul tema ed è stato più volte intervistato. Ha avuto modo di spiegare il suo punto di vista. Ma è interessante, ed è per questo che anche noi l’abbiamo raggiunto, affiancare la sua prospettiva a quella di Mazzotta. Perché, paradossalmente, sono quasi opposte.
Il punto di vista di Gualtiero Cannarsi, responsabile dell’adattamento di “Evangelion”
Gualtiero Cannarsi ha cominciato a lavorare nel mondo del doppiaggio per caso, come dice lui stesso. «Entrando da una porta laterale. Non avevo mai pensato di farne parte. Lavoravo per la Granata Press e poi, insieme a parte dello staff, sono entrato in Dynamic Italia (oggi Dynit, ndr). E quando abbiamo cominciato a lavorare all’adattamento di “Evangelion”, di cui ero un appassionato conoscitore, mi sono stati affidati gli adattamenti dei testi e, in parte, la cura del doppiaggio». Parliamo, quindi, del 1997.
Cannarsi ha anche lavorato all’adattamento e al doppiaggio dei film dello Studio Ghibli, e anche in quel caso alcuni fan non hanno nascosto le loro perplessità. Lucky Red, che è la società che distribuisce i film dello studio giapponse, ci ha detto che hanno contattato Cannarsi «perché ci è stato suggerito da un gruppo di fan»: «Abbiamo condiviso questo suggerimento con lo Studio Ghibli, e loro si sono detti d’accordo, anche perché conoscevano già il suo nome. Il nostro rapporto con Gualtiero Cannarsi si è sempre limitato ai film dello Studio Ghibli, con soddisfazione di tutte le parti, poiché lo spirito purista di Gualtiero si sposa con quello di Studio Ghibli, molto attento al doppiaggio, tanto che Gualtiero, per tutti i film, ha lavorato a stretto contatto con lo stesso Studio».
Tornando a “Evangelion” e al suo nuovo adattamento, Cannarsi dice che la prima volta che ha incominciato a interfacciarsi con la VSI i lavori erano già, in parte, iniziati. «Credo di essere stato contattato perché sono l’autore della maggior parte dei testi degli adattamenti della precedente edizione, ed ero anche stato coinvolto nella fase di doppiaggio. VSI, mi è parso, era quasi imbarazzata nel chiamarmi per la nuova edizione. Al contrario, però, ero il primo a voler rifare l’adattamento per migliorarlo».
Ma perché modificare così profondamente i vecchi copioni? «Parliamo di ventidue anni fa. E in ventidue anni la mia cognizione di causa e la mia comprensione delle cose sono aumentate. Non poteva non esserci in me il desiderio di correggere quelle che, per me, erano delle mancanze».
Mancanze, dice Cannarsi. E in questo caso, come accennavamo all’inizio, non ci riferiamo solo a scelte precise di traduzione ma pure all’uso di un italiano particolare. «Ognuno può intendere diversamente che cosa significa adattare», premette Cannarsi. «Nella finzione recitata cinetelevisiva, ci sono l’autore, il traduttore e l’adattatore. Il copione su cui lavora l’adattatore non è fatto della sola traduzione. C’è anche un elemento tecnico, che deve tenere conto di diverse cose. L’adattamento è un ulteriore livello di lavoro».
Ma qual è, quindi, il suo scopo? «Secondo me è quello di trasdurre il più possibile in lingua italiana dei contenuti sia brutalmente linguistici sia espressivi dell’opera originale. La mia intenzione è quella di utilizzare la lingua italiana e le sue strutture per venire incontro alla resa di un’espressività, che è quella giapponese. E chi parla di calchi non sa di che cosa sta parlando».
In questo tipo di approccio, però, il dubbio è che a rimetterci sia il pubblico più ampio. «Il pubblico non è un ente passivo e disinteressato», risponde Cannarsi. «L’adattamento non significa piegare una cultura a un’altra cultura: questo è offensivo. Perché vorrebbe dire che il pubblico non è in grado di comprendere la cultura di partenza». E se poi, come in questo caso, c’è un cortocircuito tra opera adattata e pubblico? «Se il pubblico non vuole impegnarsi, dovrà pagare lo scotto. Dopotutto stiamo parlando di un’opera straniera».
La cosa più importante è l’opera, non il pubblico
Insomma, secondo il punto di vista di Cannarsi il pubblico «non è un ente, e nessuno può dire di esserne un interprete assoluto. Il pubblico non è una persona che ha parlato con me o con lei». Sacrificare un contenuto, per favorire la comprensione, non è concepibile per lui. «Perché se lo elimino, lo eliminerò per tutti. Sia per quelli disinteressati, sia per quelli interessati».
In più, nella visione di Cannarsi sembra non contare la fruizione immediata e presente del prodotto, in questo caso “Evangelion”. «Non riesco a capire perché le persone debbano dare così tanta importanza al momento, al presente, in cui vivono. Avessi ragionato così, ventidue anni fa, nel primo adattamento, non avrei potuto usare alcune espressioni. Oggi ci sono gli influencer e gli youtuber; venti anni fa non c’erano, e tra vent’anni non ci saranno». Aggiunge: «Non bisogna dare troppa importanza al pubblico. Perché l’arte resta, il pubblico passa».
Cannarsi è convinto, praticamente inamovibile, nella sua posizione. «Se io riduco la complessità alla semplicità, instupidisco il contenuto. Ho sacrificato. Ho tolto. E non si può sacrificare il contenuto sull’altare della divulgazione».
Ma la cultura non dovrebbe essere accessibile a tutti? A costo, anche, di utilizzare un linguaggio più accessibile? «Questa è una visione che non potrò mai accettare. La cosa più importante è che si rispetti lo spirito dell’opera. È proprio questo quello che dà accessibilità. Se ti do una cosa mistificata per semplificazione, ti sto ingannando. Io devo darti il vero». Ma non c’è il rischio, al contrario, di una mistificazione per complicazione? «Non funziona all’opposto, e parlo per me. L’accessibilità è all’essenza delle cose. Se le cambio, ti prendo in giro». “Evangelion”, quindi, è un’opera per pochi? «È un’opera per tutti quelli che si preparano a impegnarsi per capirla».
Viene da chiedersi, a questo punto, se il problema non sia stata la poca chiarezza delle direttive della VSI, la società di doppiaggio. Cannarsi dice di no: «Non credo».
Cannarsi: sta allo spettatore impegnarsi o meno nella comprensione
Davanti alle critiche che gli vengono mosse, Cannarsi dice che quelli che le muovono «sono persone come tutti: nel 2019, alla loro età, si fa così». Ma è stato il pubblico che ha reso “Evangelion” quella che è oggi. «Una cosa è il successo commerciale, un’altra cosa è l’opera in sé. E nel caso dell’adattamento, c’entra solo il valore come opera. Il mio adattamento è fruibile; dipende se lo spettatore vuole applicarsi o no». Quindi, secondo lei, è ancora una volta un problema del singolo. «Inevitabilmente. Chi voleva divertirsi con “Evangelion”, e si ritrova davanti a un’opera complicata, scaricherà la sua frustrazione sull’opera stessa. E va bene. Tanto passeranno degli anni ed “Evangelion” rimarrà. Io non posso entrare nella testa delle persone e dire loro cosa fare».
Perché la stessa cosa non si ripresenta con altri anime, come “Dragon ball”? «Quello è un adattamento banalizzante e sciatto. Nasconde la verità dell’opera e nessuno se ne accorge». L’unico modo giusto per adattare, allora, è il suo? «Io sto criticando l’adattamento, non la persona». L’adattamento viene da una persona, però. «Ma la persona non è quello che fa. Io non posso sapere se ai miei colleghi che hanno fatto “Dragon ball” sia stato chiesto quel tipo di adattamento, e loro a malincuore l’abbiano fatto così».
Un’altra cosa che Cannarsi ha sempre ripetuto è che non gli interessa del mercato e di come i suoi colleghi lavorano. «Non si può pensare al numero; bisogna entrare nel merito. Non so se c’è qualcun altro che lavora come me, e non mi importa. Non faccio scelte sulla base di quello che fanno gli altri. Veramente siete così eterodeterminati? Fa paura; fa davvero paura». In un’intervista rilascia al sito Badtaste, Cannarsi aveva dichiarato di non sapere cosa fosse Netflix. «E non importa. Perché l’opera non è nata per Netflix. “Evangelion” è nata per la televisione giapponese. Non bisogna lasciarsi influenzare da come quell’opera, quest’anno, viene diffusa. Le cose cambiano velocemente. Perché le persone si danno così tanta importanza?».
Conclusioni
Come abbiamo già detto, il caso – se di caso vogliamo parlare – del nuovo adattamento e del nuovo doppiaggio di “Evangelion” mostra una contrapposizione di punti di vista. E diventa chiara una cosa. La vera criticità, per quanto paradossale possa sembrare, non è tanto Cannarsi che ha preso determinate decisioni, quanto piuttosto l’idea che c’era a monte da parte di Netflix – che si è limitata, in un certo senso, ad appaltare il lavoro – e di VSI di questo nuovo adattamento.
È mancata, in altre parole, una visione d’insieme. Ed è stato privilegiato un approccio particolare – quello, appunto, di Cannarsi – che non ha tenuto conto, e non vuole tenere conto, del cosiddetto pubblico mainstream. È un serpente che si morde la coda. E anche se se ne può parlare, resta il fatto che il pubblico – indefinibile, vaghissimo, impossibile da censire: per carità – è il ricevente finale di un’opera, e se non riesce a fruirne c’è, di base, un errore. Qualcuno può vederlo; qualcun altro, invece, no. Ma anche questa, a modo suo, è una questione di sensibilità. E “Evangelion”, così, rischia di rimanere confinata in uno spazio che non merita.