Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
Certe vite si spiegano meglio se lette dalla fine. A maggior ragione se la fine è un lungo e scintillante crepuscolo come quello di Gabriele D' Annunzio, che trascorse i suoi ultimi 15 anni nella «forzata clausura» del Vittoriale di Gardone Riviera. E ancor più se su quella fine è possibile avanzare nuovi interrogativi, ipotesi sconvolgenti e non del tutto infondate come quella di un suo possibile avvelenamento.
È quanto fa il riuscitissimo film Il cattivo poeta, in uscita domani, del regista Gianluca Jodice e con un' interpretazione magistrale di Sergio Castellitto nei panni del Vate, incentrato sugli ultimi due anni di vita del poeta, allorché lui, per via della posizione eterodossa rispetto alle scelte del Duce, fu messo sotto rigida sorveglianza da parte del regime fascista attraverso l' invio al Vittoriale del giovane segretario federale di Brescia, Giovanni Comini.
sergio castellitto gabriele d'annunzio
La forza del film è in primo luogo nella sua ambientazione, dato che buona parte delle scene sono girate all' interno della casa-museo di D' Annunzio, «fatto mai accaduto in un' opera cinematografica», come sottolinea il presidente della Fondazione del Vittoriale degli Italiani Giordano Bruno Guerri, che rende ancor più veritiera la narrazione oltre a contribuire al fascino della visione. E contesto significativo a livello simbolico, visto che quest' anno si celebra il secolo esatto dall' arrivo del Vate a Gardone Riviera, anniversario ben ricordato nel libro di Valentina Raimondo Cento anni di storia del Vittoriale. L' incantevole sogno ( Silvana Editoriale).
Un altro elemento di forza del film è il suo attingere a una bibliografia storica consolidata: il personaggio del federale Comini è ispirato al libro, appena ristampato, di Roberto Festorazzi D' Annunzio e la piovra fascista ( Il Silicio), in cui se ne ricostruisce il ruolo di controllore del Vate, su mandato del segretario del Pnf Achille Starace. La figura del D' Annunzio crepuscolare e la suggestione sulla sua morte per avvelenamento fanno invece riferimento a due libri di Guerri, ossia D' Annunzio.
L' amante guerriero e La mia vita carnale. L' aspetto dove però il film è impareggiabile è nell' immortalare la tragica e disperata grandezza dell' ultimo D' Annunzio: un poeta minato nel fisico, deluso e amareggiato per la sua emarginazione politica, e segnato da debolezze, ossessioni e dipendenze, come l' abuso di cocaina e la vita erotica sfrenata.
E nondimeno un uomo ancora capace di slanci lirici e trascinato da un' insopprimibile passione civile. Un intellettuale che, per quanto in esilio, non poteva fare a meno di manifestare la sua posizione sulle vicende dell' Italia contemporanea, di esprimere il suo disappunto per la rozzezza di certi militanti fascisti, da lui definiti «camicie sordide», e anche per la «prepotenza» del Duce e dei suoi gerarchi, da cui ben sapeva di essere spiato.
Con quella stessa lucidità D' Annunzio palesava la sua diffidenza rispetto alla guerra coloniale in Etiopia e alla partecipazione dell' Italia a sostegno dei franchisti, e soprattutto la sua contrarietà all' alleanza con la Germania di Hitler, per lui niente più che «un ridicolo nibelungo truccato alla Charlot», a causa del quale l' Italia sarebbe andata «verso il baratro». Una preveggenza che D' Annunzio avrebbe comunicato a Mussolini in un incontro nel 1937 alla stazione di Verona, dicendogli: «Sei andato a Berlino a scavarti la fossa». Un' intuizione lungimirante che potrebbe però essergli stata fatale.
Nel film si racconta infatti come D' Annunzio possa essere stato ucciso dalla governante-infermiera-amante altoatesina Emy Heufler, probabilmente una spia inviata dal Terzo Reich per accelerare la fine di un uomo ormai debole e nondimeno scomodo ai fini dell' alleanza fascismo-nazismo. La Heufler avrebbe non solo accresciuto la dipendenza del Vate dalla cocaina ma gli avrebbe somministrato anche del veleno, fino alla dose letale del 1° marzo 1938. Naturalmente, a sostenere questa ipotesi, non ci sono prove.
Ma è una curiosa coincidenza il fatto che, dopo la morte del Vate, la Heufler sia passata al servizio di von Ribbentrop, ministro degli Esteri nazista. Così come è ragionevole pensare che il fascismo abbia visto la morte del poeta come una liberazione, tanto che all' annuncio della dipartita di D' Annunzio, in una conversazione telefonica tra il Duce e il prefetto Rizzo, si sentì pronunciare l' espressione «Finalmente!».
Inviso a Hitler, sopportato con fastidio da Mussolini, emarginato dalla sua patria negli ultimi anni di vita, il Vate torna, anche grazie a questo film, a guadagnarsi a pieno l' amore degli italiani. Il cattivo poeta mostra l' umanità di un gigante in cattività, depurandone l' immagine da ogni presunta cattiveria.
2 - ECCO COME È NATO «IL CATTIVO POETA»
Giordano Bruno Guerri per “il Giornale”
Prima biografo di Gabriele d' Annunzio, poi presidente della meravigliosa casa che donò agli italiani, negli ultimi anni ho dedicato molte energie per rendere la casa e il parco sempre più belli e visitati. E per liberare l' immagine del poeta dalla patina di pregiudizi che lo avvolge (sempre meno). Figurarsi la mia allegria quando, nel 2018, arrivò la richiesta di girare un film su d' Annunzio proprio al Vittoriale degli Italiani.
Le carte che la produzione metteva sul tavolo erano eccellenti. Sergio Castellitto è un attore colto, e sa interpretare i personaggi da dentro. Il regista Gianluca Jodice, giovane e all' esordio con un lungometraggio, aveva già dato prova di maestria. Il produttore Matteo Rovere aveva appena girato, anche come regista, lo straordinario Il primo re, racconto non convenzionale e realistico della nascita di Roma. Restava da leggere la sceneggiatura, ma alla fine mi brillavano gli occhi, come in trasparenza al testo luccicavano le tesi che avevo esposto in D' Annunzio, l' amante guerriero e in La mia vita carnale.
Il Vate venne bollato come perversamente stravagante dalla borghesia piccina e provinciale dell' epoca per i suoi amori liberi, la sua passione per il lusso, il suo passaggio politico di fine Ottocento da destra a sinistra. Il marchio gli è restato, anche se era, da bravo genio, un precursore: noi oggi amiamo il consumismo, desideriamo il lusso e rivendichiamo la libertà sessuale anche grazie a lui.
Quanto ai passaggi politici Nel 1921 quando arrivò in quello che sarebbe diventato il Vittoriale, cento anni fa d' Annunzio era anche stato un supereroe di guerra, aveva conquistato una città senza sparare un colpo e l' aveva tenuta per sedici mesi, primo e unico poeta al comando di uno Stato, sfidando il mondo intero e tentando una rivoluzione globale. La costituzione che scrisse per Fiume è una delle più avanzate e democratiche del Novecento.
Ma Mussolini lo tradì e Giolitti lo prese letteralmente a cannonate. Decise di ritirarsi, e assistette incredulo al trionfo del duce, che lo considerava «come un dente guasto, o lo si estirpa o lo si copre d' oro», mentre d' Annunzio gli ricordava che «sei vetro contro acciaio». La sua presunta adesione al fascismo è un falso storico: rispetta il duce, il demiurgo che ha saputo conquistare il potere, ma non ama i fascisti («camicie sordide») e detesta il fascismo, accettandolo soltanto per il comune nazionalismo e perché lo onora in ogni modo. Però la misura è colma quando, nel 1937, si avvia l' alleanza con la Germania nazista. Il Vate definisce Hitler «ridicolo imbianchino».
E qui comincia il film, che non mente: la sua influenza, ancora enorme, mina i piani del regime e Achille Starace ordina al giovane federale di Brescia, Giovanni Comini (un eccellente Francesco Patanè), di aggiungersi alle molte spie che Mussolini ha messo intorno a d' Annunzio. Di inventato ci sono una storia d' amore di Comini e l' anfiteatro del Vittoriale, che vedrete quasi completo ma che allora non c' era, l' abbiamo terminato l' anno scorso.
Per il resto è tutto vero e ben raccontato: l' architetto Gian Carlo Maroni, Luisa Baccara padrona di casa e compagna in bianco da molti anni, l' oggetto del desiderio Aèlis Mazoyer, governante e amante, e la cameriera-amante-infermiera Emy, arrivata da poco, che si sospetta sia stata messa lì dai tedeschi per neutralizzarlo in qualsiasi modo, sesso, droga e forse veleno.
Non farò lo sgarbo si raccontare il resto, concludo con i miei timori prima di decidere se dare il permesso. Si trattava di chiudere il Vittoriale per quasi un mese, tranne le domeniche, ma gennaio-febbraio è il periodo di minore afflusso. Occorreva anche lasciare che una vastissima schiera di tecnici invadesse una casa che contiene fitti fitti, uno sopra l' altro ventimila oggetti, molti preziosi di per sé, tutti per il loro valore storico, ognuno ormai unico e irripetibile.
Una notte, prima della firma, ebbi un incubo: «Ahò, passame er cavo», diceva un elettricista, e nell' impeto abbatteva una fila di splendidi elefanti orientali in ceramica di antica e raffinata fattura, precipitandoli sulla scrivania nella stanza della Zambracca, dove d' Annunzio morì il 1° marzo 1938. Reclinò il capo, gli caddero gli occhiali, e gli occhiali sono ancora lì, niente è stato più toccato da quel giorno, se non per pulire meticolosamente e rimettere tutto a posto.
Dopo l' incubo, la realtà non fu da meno. Per girare un dialogo in una stanza, prima ne svuotavano metà, poi la rimettevano com' era, e svuotavano l' altra metà, in un groviglio di cavi e macchinari, ordini e pericoli.
Ebbene, però, ogni cosa è tornata a posto, non c' è stato il minimo danno, e lo dobbiamo alla cura di chi ha lavorato sul set, i tecnici del cinema e i miei collaboratori, che vegliavano l' eredità degli italiani come chiocce sui pulcini.
Adesso, con un anno e mezzo di ritardo, anche Il cattivo poeta ha battuto il covid. Andate a vederlo, poi venite a vedere il Vittoriale - o viceversa - e vi sembrerà di fare un sogno nel sogno.
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