ADDIO “QUOTE ETNICHE” – LA CORTE SUPREMA AMERICANA DEMOLISCE LA COSIDDETTA “AFFIRMATIVE ACTION”, LA PRASSI CHE TIENE CONTO DELLA "RAZZA" PER VALUTARE LE AMMISSIONI DELLE UNIVERSITÀ A STELLE E STRISCE – LA DECISIONE NON BOCCIA IN TOTO L’IDEA DI AVERE CAMPUS PIÙ INCLUSIVI: SEMPLICEMENTE, SEMBRA TOGLIERE L’AUTOMATISMO CHE “PREMIAVA” LE MINORANZE. TORNERÀ A CONTARE FINALMENTE IL MERITO? DI SICURO È UN BRUTTO COLPO PER LA LOBBY LIBERAL DEGLI ATENEI PIÙ GRANDI...
Estratto dell’articolo di Alberto Simoni per www.lastampa.it
schieramento corte suprema contro l affirmative action
La Corte suprema americana demolisce l’affirmative action. Con una sentenza di 6 (conservatori) contro tre (liberal), i giudici statunitensi hanno deciso che le università e i college americani non possono tenere contro della «race» per valutare le ammissioni.
Il verdetto [...] impone un cambiamento su come prossimamente gli atenei statunitensi regoleranno le iscrizioni.
manifestazione per la affirmative action.
L’azione positiva, in inglese proprio affirmative action, è uno strumento con il quale gli Stati Uniti miravano a promuovere la partecipazione di persone con identità etniche in contesti in cui sono minoritari. L’affirmative action si è imposto negli anni Sessanta grazie all’azione del presidente Kennedy e quindi di Lyndon Johnson per superare le discriminazioni e l’impossibilità da parte dei neri di accedere ai college. […] Nella seconda metà degli anni ’70 la Corte suprema aveva confermato l’applicazione del «metodo» sostenendo la necessità di avere classi più inclusive.
manifestazione per la affirmative action.
Il caso discusso dalla Corte Suprema è legato a due episodi ad Harvard e all’università pubblica della North Carolina. […] la Corte ha rovesciato una sentenza del 2003 (Grutter contro Bollinger) nella quale i togati di allora dicevano che l’etnia doveva essere considerata un fattore nel processo di ammissione poiché le università avevano l’esigenza di mantenere il campus il più inclusivo ed eterogeneo possibile.
La sentenza, benché privi l’affirmative action di una sorta di automatismo a tutela della minoranza di colore, ha tuttavia diverse sfumature.
L’opinione della maggioranza, scritta dal giudice capo John Roberts, non ha detto che le precedenti sentenze sono del tutto superate, «se non in principio». Secondo Roberts, infatti, sia Harvard sia la North Carolina University non hanno nei loro programmi di ammissione chiarezza sufficiente, «mancano di illustrare gli obiettivi e contengono stereotipi razziali».
Tuttavia, la decisione sembra lasciare discrezione alle università e non boccia assolutamente l’idea di aver campus più inclusivi.
La questione in pratica è legata al fatto che i candidati a un college non dovranno più indicare nella domanda di iscrizione (generalmente fatta entro dicembre dell’ultimo anno di scuola superiore) a quale componente etnica appartengono.
Potranno però continuare a raccontare nel saggio di presentazione – obbligatorio in qualsiasi processo di selezione per il college – sulle proprie esperienze di vita e scolastiche, quanto l’appartenenza a una certa classe sociale, etnica o a una minoranza sessuale ha inciso sulla propria formazione. I college potranno quindi tenere in considerazione questo aspetto nella valutazione delle ammissioni.
La decisione è tuttavia un colpo per le università più grandi e importanti del Paese poiché la considerazione dell’etnia consentiva loro di costruire campus inclusivi. Le università più colpite dalla sentenza sono quelle dove c’è più competizione per entrare, ora temono che ci sarà ora una diminuzione di richieste da parte degli studenti delle minoranze.
Fra le università che tengono in considerazione l’etnia nelle politiche di ammissione ci sono ad esempio Yale, la Brown University, Harvard, la Columbia University, l’Università di Chicago e della Pennsylvania nonché la Dartmouth. [...]