Emiliano Fittipaldi per “Domani”
I vertici di Cassa depositi e prestiti sono sotto attacco. Non solo politico, con pezzi della maggioranza di destra che vorrebbero un cambio di regime ai piani alti della più importante istituzione finanziaria del Mef. Ma anche di ignoti, che hanno tentato negli ultimi mesi di spiare l’amministratore Dario Scannapieco e i manager della sua prima linea.
A Domani risulta infatti che l’ex vicepresidente di Bei voluto nel 2021 da Mario Draghi a capo di Cdp abbia fatto controllare gli uffici di via Goito a Roma, e fatto analizzare il suo cellulare. Alla ricerca di microspie e trojan, e di eventuali intromissioni informatiche dall’esterno. La bonifica delle stanze e le verifiche sui device di Scannapieco avrebbero dato esito positivo, tanto che l’amministratore delegato si è rivolto anche alla nostra intelligence per cercare di capire chi avesse messo i captatori.
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Abbiamo chiesto a Cdp se eventuali cimici sono state trovare anche nell’ufficio di Scannapieco e che tipo di trojan avrebbero trovato i tecnici nel suo telefono, ma ci è stato risposto un secco: «No comment». Alla domanda sul possibile intervento dei nostri servizi segreti, la risposta è stata: «Come in tutte le grandi società e istituzioni, in Cdp c’è una costante attività di controlli e sicurezza, affidata alle strutture interne di Cassa».
FUGHE DI NOTIZIE
L’ente controllato dal ministero dell’Economia è al centro dei più importanti dossier economici del paese, dal progetto della rete unica alle vicende di Autostrade. Gli addetti ai lavori sanno bene che sono in molti i soggetti e le entità, italiane e straniere, che potrebbero desiderare di conoscere cosa si dice e si decide dentro gli uffici di Cdp.
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I controlli in tema di sicurezza sono dunque di default. Ma da quando Scannapieco è amministratore delegato, però, la sorveglianza si è intensificata. In primis sui cellulari dei top manager, che vengono ispezionati più spesso rispetto ai tempi di Fabrizio Palermo: se tutto è ok vengono restituiti dopo poche ore, «ma se qualcosa non va» spiega una fonte interna «vengono trattenuti una settimana circa».
Ma non è tutto. Scannapieco qualche mese fa si è lamentato con i suoi uomini più fidati del fatto che contenuti sensibili di cui si è discusso nei consigli di amministrazione di Cassa siano finiti – in forma quasi letterale – su alcuni media, sia siti sia giornali.
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In più, gli è stato segnalato che file audio contenenti frammenti dei cda siano stati addirittura mandati ad alcuni soggetti istituzionali. Con l’intenzione di danneggiare lui e Cdp. Una violazione che ha indotto Scannapieco ha ordinare ai suoi legali un esposto in procura, per accertare i responsabili di quella che lui considera una gravissima fuga di notizie.
Alla domanda sulla possibile apertura da parte dei magistrati romani di un’inchiesta ad hoc, Cdp spiega che «i dossier gestiti da Cdp sono di rilevanza strategica per ampi settori dell’economia del paese, e su tali dossier, come è normale che sia, vi sono stringenti obblighi di riservatezza. Per tutelare tali obblighi, Cassa valuta tutte le azioni ritenute necessarie».
MEMORANDUM ADDIO
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I nemici dicono che Scannapieco, con la caduta di Draghi, sia ormai debole e senza appoggi. E che esposti e querele servirebbero dunque a mostrarsi al nuovo governo come vittima di chissà quali macchinazioni, «in realtà inesistenti». Insomma, solo una scena per salvare il posto.
È un fatto, però, che l’amministratore delegato stia gestendo da mesi il dossier economico e strategico più delicato, quella della rete unica per portare la banda larga in tutto il paese. Partita che il governo ha rinviato ieri alla fine dell’anno da cui dipende anche il futuro di Tim (i cui azionisti forti sono i francesi di Vivendi di Vincent Bolloré) e quello di Open Fiber, operatore di infrastrutture di rete controllato al 60 per cento da Cdp.
Da qualche tempo inoltre – come ha raccontato Domani – i vertici dell’ente sono biasimati aspramente da alcuni siti specializzati (su tutti Key4biz, di proprietà di una srl di lobbying) e imprenditori come l’ex pidduista Luigi Bisignani, che sul Tempo dedica da settimane attenzioni particolari al progetto della rete unica, sparando a zero su Scannapieco, l’ex consigliere economico di Draghi Francesco Giavazzi e i vertici di Open Fiber, e invitando il premier Giorgia Meloni a cacciare tutti rapidamente (la scorsa settimana Domani ha segnalato come Bisignani abbia avuto interessi economici diretti con un’azienda che ha ricevuto commesse milionarie sulla fibra sia da Tim sia da Open Fiber).
Le dure critiche a Scannapieco, a cui si sono aggiunte di recente quelle del sito “Sassate” dell’ex dirigente Rai vicino ad An Guido Paglia, sono legate soprattutto al memorandum tra Tim e Cdp in scadenza oggi. Un accordo che prevede(va) come Cassa facesse un’offerta all’azienda guidata da Pietro Labriola in modo da acquistare la rete, per unirla a quella di Open Fiber sotto l’egida dello stato.
Un’ipotesi che il governo ha messo ormai nel cassetto, e che non piace a chi crede, come il neo sottosegretario con deleghe alle telecomunicazioni Alessio Butti, che sia assai più conveniente che Cdp faccia un’opa meno onerosa su Tim (zavorrata però da 25 miliardi di euro di debiti) per poi scorporare la rete dai servizi.
INCOGNITE
La decisione di Meloni di assegnare le deleghe principali all’ideatore del “Piano Minerva” tanto caro a Bisignani apre a scenari nuovi, e non banali. I nemici dell’ad sperano che i suo regno sia al tramonto, e credono che il manager non riuscirà ad arrivare a fine mandato, nel 2024. Se Bisignani sogna come nuovi ad di Cassa e Open Fiber (o Tim) rispettivamente pezzi grossi come Alessandro Daffina di Rothschild o l’ex direttore generale di Tim Stefano Siragusa, qualcuno ipotizza che Scannapieco potrebbe essere promoveatur ut amoveatur con una nomina di prestigio.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Nella tornata della prossima primavera, quando il governo dovrà decidere chi guiderà le maggiori partecipate di stato. Altri consiglieri suggeriscono invece a Meloni che l’ex vicepresidente della Bei potrebbe prendere in tempi più stretti il posto del direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, finito nel mirino sia della Lega sia di Fratelli d’Italia (Meloni compresa) sia del solito Bisignani. Prendendo così due piccioni con una fava.
A oggi, però, sembra che le pressioni e l’ipotesi switch non abbiano ancora convinto Palazzo Chigi. Per tre ordini di motivi. In primis il piano Minerva è per ora pura enunciazione, non esiste un solo pezzo di carta, e il governo – dopo aver bocciato il progetto Draghi-Scannapieco – ha deciso di prendersi un mese per provare a formularne uno nuovo che abbia raziocinio economico. Ipotesi che tra l’altro non dispiace affatto all’attuale amministratore delegato di Cdp.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
In secondo ordine, Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, se hanno più di un dubbio sul fatto che Open Fiber possa essere il pivot del progetto che verrà sulla rete unica, non sembrano voler mettere in discussione Scannapieco. Anche per non far dispiacere inutilmente Mario Draghi, che si è dimostrato non certo ostile alla leader di destra.
Di più. Giorgetti, che con il Mef controlla Cassa e che dunque sulla rete avrà certamente voce in capitolo, reputa il piano di Butti non realizzabile. Dall’altra parte, non accetta che un’eventuale offerta a Tim e a Vivendi si trasformi in una sorta di mercato delle vacche come finora accaduto sottobanco, e non vuole che lo stato paghi la rete più del reale valore di mercato. Il ministro, dunque, vuole prendere tempo per cercare una soluzione dove Cdp e i fondi stranieri già in gioco non siano gli unici a sobbarcarsi l’intera operazione.
giorgia meloni giancarlo giorgetti
Infine Giorgetti non solo non sembra intenzionato a soppiantare nel breve Scannapieco, ma ha finora risposto picche anche a chi gli consiglia di sostituire Rivera. È vero che in merito alla complessa vendita di Ita Airways lo ha di fatto esautorato nominando presidente della compagnia Antonino Turicchi, ma su altri dossier lo coinvolge, lasciandogli ancora – con qualche limite in più rispetto ai tempi di Daniele Franco - il pallino del gioco.
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«Non è detto affatto che Giorgetti cambi Rivera», spiega chi conosce bene il ministro. «Può affiancargli qualcuno che lo aiuti a lavorare su determinati capitoli. Ma per Giancarlo non bisogna mai forzare le cose: saranno poi gli eventi a risolvere eventuali problemi dovessero sorgere. Viceversa si rischia di creare solo nuove grane».