Maria Corbi per “la Stampa”
Questa è la storia di una famiglia spezzata, di una bambina a cui vengono negati genitori. Forse non perfetti, troppo grandi di età, ma brave persone, mai rassegnati a questo strappo. Pochi mesi fa mamma Gabriella è morta, stroncata da un brutto male, come dicono le cartelle cliniche. Stroncata dal dolore, assicura il suo avvocato Adriana Boscagli. Ben prima di ammalarsi voleva lasciare una lettera alla sua Rosa, perché sapesse che è stata voluta, amata e che i suoi genitori hanno lottato per lei.
Quando già stava male Gabriella mi ha pregata di non tradirla, di scrivere la sua storia perché un giorno Rosa potesse sapere di essere stata voluta e amata. «L'unica cosa che mi importa è che la mia bambina sia serena. E non potrà esserlo senza sapere chi è. Per questo voglio dirle quanto è stata voluta, amata, e come abbiamo combattuto per lei».
La cosa che mi colpiva di Gabriella, insieme al dolore che traspariva da ogni suo gesto, era l'assenza di rabbia. Non si è mai scagliata contro i giudici, gli assistenti sociali, i tanti che hanno contribuito a strapparle sua figlia. Tutte le energie erano dedicate a Rosa, scriverle gliela faceva sentire vicina.
Così iniziò a dettarmi e a mandarmi le pagine di questa lunga lettera alla sua bambina. «Voglio che conosca la sua famiglia». Un'urgenza che affondava forse anche nel presentimento che non c'era più molto tempo. «Il dolore porta dolore», mi diceva.
«Cara Rosa, figlia amatissima», inizia così il suo dialogo con Rosa. «Mi alzo ogni giorno pensando a te e ogni sera chiudo gli occhi sperando di sognarti.
Sei nata da due genitori che ti adorano e che spero tu possa conoscere un giorno, almeno sapere chi siamo e quale è la tua vera famiglia». Gabriella fa un racconto dettagliato della sua vita, mettendo nero su bianco tanti dettagli che Rosa avrebbe conosciuto giorno dopo giorno se fosse cresciuta con loro.
«Sono nata il 22 febbraio del 1953, e nel 1991 mi sono sposata con il tuo papà, Luigi Deambrosis che di anni ne aveva 38. Ci siamo conosciuti in montagna a Torgnon in Valle d'Aosta. Ero andata in gita con amici e ci siamo incontrati al bar. Io lo ho notato mentre mi guardava quando sono uscita per andare al pullman. Abbiamo parlato e abbiamo scoperto che eravamo della stessa zona.
Io di Casale Monferrato e lui di Mirabello Monferrato. Così abbiamo deciso di rivederci. Era il 1987. Un grande amore». Poi le nozze, la ricerca di un figlio. «Abbiamo sempre desiderato essere genitori. Non mi sono mai persa d'animo negli anni dell'attesa. Mi confortava ascoltare le storie di tante donne come me che alla fine avevano realizzato il loro sogno.
Comunque avevo una vita piena con una bella famiglia, un marito che mi amava, un lavoro gratificante, amicizie consolidate. Insomma il desiderio del figlio non era il tentativo di riempire un vuoto ma di dare amore e di riceverlo in una casa felice e piena di luce».
Gabriella aveva 57 anni quando è nata Rosa, il 26 maggio del 2010, Luigi 68. Inutile ripercorrere qui tutto l'iter giudiziario, quel che è certo è che ha pesato come un macigno il pregiudizio sull'età. Si è arrivati, cosa rarissima, al quarto grado di giudizio.
E in quella sede la prima sezione della suprema Corte diede ragione ai Deambrosis, revocando la sua precedente sentenza del novembre 2013, annullando con rinvio la sentenza di appello del Tribunale di Torino. Se sussiste la capacità genitoriale, non ci sono limiti di età per essere padre e madre, affermano i giudici.
Un severo atto di accusa: «La ricerca delle capacità genitoriali svolta dal giudice di merito è stata assai scarna, nessun esame oggettivo attento è stato mai espletato dato che è stata sottratta a poche settimane di vita». Rispetto alle capacità genitoriali è emerso dalle perizie «assenza di disturbi psichiatrici», «assenza di sintomi psicotici», «assenza di segni di decadimento intellettuale a causa dell'età». Ma niente da fare, il giudizio torna in corte di Appello di Torino che di nuovo si esprime per l'adottabilità.
Ma mamma Gabriella non si è mai arresa: «Ogni mio pensiero, ogni mia preghiera è perché Rosa stia bene. La vorrei felice e spero con tutto il cuore che sia almeno tranquilla visto quello che le hanno fatto passare senza nessuna ragione reale. È lei la vera vittima di questa storia.
Avrebbe potuto vivere una vita serena in una famiglia che la amava e invece ha dovuto passare i suoi primi anni senza la certezza dell'amore di una mamma e del papà. Non ha sicuramente la consapevolezza del fatto che noi la abbiamo desiderata, abbiamo lottato per lei e ancora lottiamo. Non c'è nessun egoismo in questa nostra volontà, perché è un dovere dei genitori non arrendersi mai per il bene dei figli. E lei è nostra figlia».