Marco Carnelos per Dagospia
Caro Dago,
raccolgo nuovamente la tua esortazione a commentare le tragiche e inquietanti vicende internazionali, in particolare Ucraina e Gaza, che si stanno configurando in modo tale da creare crescenti timori sulla tenuta di una pace globale.
Inizio da quelle ucraine, e mi riservo di tornare in contributo successivo su quelle mediorientali, senza escludere una riflessione sulle vicende del fronte Indo-Pacifico.
In Ucraina è ormai in corso da ambo le parti una pericolosissima escalation verbale contrassegnata da altrettanto pericolose operazioni militari sul terreno.
volodymyr zelensky joe biden incontro alla casa bianca 1
Se fossimo soltanto dinanzi ad un’escalation verbale, potremmo derubricare il tutto alle tipiche scariche di adrenalina in un vuoto pneumatico della politica europea nell’imminenza del voto per il Parlamento Europeo, e alle schizofreniche polarità della politica americana in vista delle presidenziali di novembre; senza dimenticare, ovviamente, il plausibile interesse russo a manipolare l’esito di entrambe le consultazioni.
vladimir putin e xi jinping a pechino
Purtroppo, non è così! Alle parole stanno seguendo alcuni fatti ed il rischio di un conflitto allargato in cui l’utilizzo dell’arma nucleare non è più un tabù sta entrando nella vulgata comune.
Caro Dago,
il mio modesto, e assai minoritario, pensiero sulla crisi ucraina lo conosci bene, l’ho affrontato più volte sulla tua testata: un conflitto localizzato e bilaterale tra due paesi dell’ex spazio sovietico centrato su rivendicazioni storiche e tutela delle minoranze e sul collocamento internazionale dell’Ucraina è stato irresponsabilmente trasformato in uno scontro apocalittico ed esistenziale sia per l’Occidente e la NATO che per la Russia.
volodymyr zelensky joe biden incontro alla casa bianca 2
Uno scontro per il quale occorre tornare indietro di quasi un trentennio per affrontarne le radici: l’incauta quanto inutile espansione della NATO a Est iniziata negli anni 90’ del secolo scorso e che ha subito diverse accelerazioni nel 2008 (Vertice NATO di Bucarest) e i fatti di Piazza Maidan a Kiev nel 2014, fino a sfociare nell’invasione russa del Febbraio 2022.
La dinamica cui stiamo assistendo negli ultimi due anni, e in particolare in questi ultimi mesi, ricorda sinistramente il sonnambulismo dei grandi imperi europei che nell’estate del 1914, in modo quasi involontario e senza nemmeno rendersene conto, li fece precipitare nello scontro fratricida della Prima Guerra Mondiale che condusse sia alla loro fine che al primo suicidio dell’Europa nel corso del XX secolo.
Da diversi mesi, da quando l’Ucraina si trova in un’oggettiva situazione di difficoltà militare sul terreno, è in corso un irresponsabile gioco al rilancio con continue escalation verbali, nell’utilizzo di alcuni armamenti, nella selezione di alcuni bersagli e nel venire meno progressivamente ad alcune regole di ingaggio concepite proprio per evitare un’escalation incontrollabile.
Un gioco perverso del quale non vi è alcuna necessità, anche perché alla debolezza ucraina derivante da fattori oggettivi legati ai numeri ed alle risorse del Paese, si profila – almeno per ora - anche l’apparente incapacità o riluttanza russa ad approfittarne in modo rapido e risolutivo con un’avanzata travolgente a nord (Kharkiv) e a sud (Donbass). Se ciò sia dovuto ad incapacità o ad una deliberata strategia russa che mira a sfiancare lentamente l’Ucraina e chi la sostiene, o a limiti oggettivi che zavorrano anche le forze armate di Mosca non è dato saperlo, per lo meno allo scrivente.
JOE BIDEN E VOLODYMYR ZELENSKY AL VERTICE NATO DI VILNIUS
Non va inoltre dimenticato che gran parte dei problemi negli approvvigionamenti all’Ucraina, che l’hanno portata sull’orlo di un crollo militare sui diversi fronti, sono stati dovuti anche alla disfunzionalità politica statunitense, dove il Congresso è stato paralizzato per mesi sull’adozione di ulteriori massicci pacchetti di aiuti a Kiev. Insomma, come sovente accade i nostri amici e alleati americani predicano bene ma razzolano male.
Credo tuttavia che sia ormai giunto il momento di dare qualche forte segnale di de-escalation di questo conflitto, che si profila sempre più pericoloso.
rishi sunak joe biden giorgia meloni jens stoltenberg volodymyr zelensky vertice nato di vilnius
Ovviamente questa de-escalation non potrà certamente provenire dall’imminente Conferenza di Pace che avrà luogo in Svizzera dove degli organizzatori, a cui fa forse difetto la logica e ogni elementare traccia di pensiero razionale, hanno pensato di promuovere la pace senza invitare uno dei due contendenti (la Russia). Non è un caso, infatti, che la Cina si sia sfilata. Nella migliore ipotesi dalla Svizzera udiremo solo una bella Messa cantata.
Caro Dago,
l’aspetto più inquietante per chi come me è cresciuto intellettualmente in uno dei momenti più acuti della Guerra Fredda, quello tra il 1979 ed il 1985, è rappresentato dalla selezione di alcuni bersagli militari all’interno della Federazione Russa colpiti nelle ultime settimane.
vladimir putin e xi jinping a pechino
Il mio non è un particolare afflato filo-russo come alcune menti deboli sarebbero immediatamente portate a concludere, piuttosto di una profonda preoccupazione per la salvaguardia di quegli equilibri strategici tra USA e Russia che dovrebbero scongiurare una guerra nucleare.
Il 24 maggio scorso è stato colpito un importante radar russo nella regione di Krasnodar, tra Mar Nero e Mar Caspio. Non si è trattato di un radar qualsiasi, ma uno di quelli dedicati a identificare in modo tempestivo eventuali attacchi missilistici nucleari da lunga distanza, i cosiddetti missili balistici intercontinentali (ICBM) statunitensi; ovvero una componente essenziale del cosiddetto “equilibrio del terrore” (Mutually Assured Destruction, MAD) che da decenni caratterizza il rapporto nucleare strategico, prima tra USA e URSS, e ora tra USA e Russia.
xi jinping vladimir putin a pechino 1
In altri termini, una componente essenziale per la deterrenza nucleare strategica reciproca tra le due superpotenze. Quest’ultima si basa anche sulla capacità speculare di identificare tempestivamente, nel giro di pochi minuti, un attacco nucleare strategico ed approntare la risposta.
La consapevolezza di questa capacità di identificazione pressoché immediata della minaccia e di altrettanto fulminea risposta, da ambo le parti, funge specularmente da deterrente nei confronti dell’utilizzo di armi nucleari strategiche, ovvero a lunga gittata. Colpire uno di questi impianti comprometterebbe o menomerebbe la capacità di identificazione della minaccia e di risposta russa, ma varrebbe la stessa considerazione se ad essere colpito fosse stato un similare apparato radar americano.
Da parte russa è stato fatto notare che l’attacco al radar di Krasnoyarsk poteva essere effettuato soltanto con l’ausilio degli avanzati sistemi di puntamento e missilistici della NATO. Ad oggi, non è ancora ufficialmente chiaro chi lo abbia effettuato, ma, purtroppo, a Mosca non hanno dubbi su chi lo abbia reso possibile, ed è questo quello che conta e che inquieta.
Quindi il vero, nuovo, dato politico-strategico è che da qualche parte tra Washington, Londra e Bruxelles potrebbe annidarsi qualcuno che starebbe operando per portare la Russia a sospettare o temere che sarebbe in corso un tentativo di disarticolare la sua capacità di risposta strategica, e quindi di deterrenza nucleare, pilastro dell’equilibrio del terrore tra le due superpotenze da decenni.
joe biden a kiev con zelensky 7
Dovremmo quindi domandarci: abbiamo veramente interesse ad alimentare un simile sospetto? Si tratta di una strategia funzionale ai nostri interessi? Qui le possibilità sono due: o il fronte euro-atlantico ha deciso di perseguire una deliberata strategia di rischio calcolato - nota tecnicamente come “brinkmanship” – che è assai pericolosa a causa della tensione già altissima e della possibilità elevata di reciproci errori di valutazione; oppure, sempre nello stesso fronte euro-atlantico si annida un cabala di esponenti politici e militari fuori controllo, degli apprendisti stregoni, che sta perseguendo scientemente una strategia di escalation senza curarsi delle linee rosse che vengono superate e delle potenziali conseguenze.
Magari qualcuno è ancora convinto di poter confezionare una narrativa ad hoc basata sulla presunta follia di Putin - sostenuta fin dall’avvio del conflitto in Ucraina - nel caso si dovesse inavvertitamente scivolare verso uno scambio nucleare. Di narrative prive di fondamento in questi ultimi due anni ne abbiamo ascoltate molte, inclusa quella sulla follia di Putin.
Molte si sono rivelate prive di fondamento, soprattutto sull’efficacia delle sanzioni. Segnalo che quando l’allora Premier israeliano Naftali Bennet visitò Mosca nella primavera del 2022, la delegazione israeliana ammessa al Cremlino includeva anche uno psicologo del Mossad con il precipuo compito di verificare e certificare, informalmente, l’equilibrio mentale del Presidente russo.
Recep Erdogan jens stoltenberg Ulf Kristersson
Francamente non so quale delle due situazioni – brinkmanship o cabala di apprendisti stregoni - sia più pericolosa, ma inizio a pensare seriamente che nel fronte euro-atlantico sia necessario obbligare qualcuno ad indossare metaforicamente la camicia di forza. Senza dimenticare che in Russia molti, troppi, esponenti politici e commentatori politici parlano troppo disinvoltamente dell’uso dell’arma atomica.
I due primi due candidati per il TSO potrebbero essere il Segretario Generale della NATO da una parte, e il Vicesegretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo, nonché ex Presidente, Dmitry Medvedev dall’altra. Ma la lista potrebbe essere lunga.
xi jinping vladimir putin a pechino
Spiccano in questo frangente, per fortuna, le ultime prese di posizioni assai caute dei Ministri Tajani e Crosetto, e il provvidenziale silenzio, spero ben ispirato, della Premier Meloni.
L’aspetto sovente ignorato dai decisori occidentali è quello della dottrina di sicurezza russa. Quella statunitense opera nella logica della deterrenza che punta ad elevare i costi del nemico per renderli superiori ai benefici che potrà ottenere dal perseguimento del conflitto e portarlo quindi al tavolo dei negoziati. Quindi, uno status quo, con un’escalation dei costi che aumentano per l’avversario senza tuttavia oltrepassare alcune soglie ben precise.
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Il problema è che la dottrina russa non valuta i conflitti attraverso i costi ma solo attraverso le minacce. Quindi se la minaccia o la percezione di quest’ultima aumenta la dottrina russa esorta a considerare un attacco preventivo.
Come al solito, i pianificatori occidentali – nel tipico senso di superiorità autoreferenziale che – ahimè – ci contraddistingue, hanno applicato le loro analisi costi-benefici alla Russia, quando quest’ultima utilizza altri parametri. Alla luce di precede, credo sia facilmente intuibile che andare ad attaccare i radar che sovrintendono alla difesa strategica russa è stata una pessima idea, addirittura controproducente rispetto all’obbiettivo perseguito. Quando si tratta di comportamenti autolesionistici l’Occidente non è secondo nessuno.
JENS STOLTENBERG AL VERTICE NATO DI VILNIUS
Caro Dago,
se l’”Operazione Militare Speciale” voluta da Putin si è rivelata un clamoroso fallimento militare e previsionale, soprattutto rispetto alla disparità delle due forze in campo, si può dire lo stesso della strategia euro-atlantica che sin dalla primavera del 2022 ha coltivato un obbiettivo assai ambizioso: far crollare la Russia e propiziare un cambio di regime a Mosca.
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Tuttavia, mentre il fallimento russo ha una portata meramente interna al Paese e che non sembra tuttavia ancora intaccare il potere di Vladimir Putin, quello euro-atlantico sembra via via assumere una portata ben più vasta. Abbiamo registrato il clamoroso boomerang delle sanzioni alla Russia, il Resto del Mondo (Global Rest) non le ha nemmeno prese in considerazione creando una significativa frattura con la comunità euro-atlantica e i relativi addentellati asiatici (Global West).
JENS STOLTENBERG - JOE BIDEN - VERTICE NATO VILNIUS
Questa frattura è stata poi approfondita dal conflitto a Gaza in cui il “Global Rest” ha denunciato l’ipocrisia occidentale asseritamente esemplificata dalla giustificazione e dalla tolleranza manifestata nei confronti dei crimini commessi da Israele a Gaza, rispetto alla mobilitazione massiccia offerta per quanto riguarda quelli russi in Ucraina. I sofismi distintivi delle cancellerie occidentali non convincono nessuno nel Resto del Mondo e provocano ampie proteste sulle due sponde dell’Atlantico, sovente represse brutalmente con buona pace dei tanti bei valori democratici ossessivamente conclamati
vladimir putin xi jinping a pechino
Una comunità euro-atlantica a trazione britannica-polacco-baltica e, quindi, animata da apparenti intenti russofobi, che sovente hanno assunto aspetti caricaturali, ha preso completamente il sopravvento chiudendo il dibattito sulle potenziali e più vaste implicazioni globali che un’escalation incontrollata verso la Russia potrebbe determinare e che potrebbe portare le ostilità ad un pericolosissimo livello globale e strategico.
Pertanto, quando una “vacca sacra” dell’establishment di politica estera statunitense come Richard Haass, per decenni Presidente del Council on Foreign Relations, invoca – come ha fatto qualche settimana fa - la necessità di iniziare a definire il concetto di “vittoria” in questo conflitto da parte del binomio NATO-UE, ormai indistinguibili tra loro, è un segnale inequivocabile che un’exit strategy verso una de-escalation sia ormai indifferibile.
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Nessuna consegna di armi occidentali per quanto sofisticate riuscirà, temo, ad alterare la situazione sul terreno. I russi hanno acquisito una vasta esperienza – sulla loro pelle – per neutralizzarle, e l’apparato militare-industriale occidentale (sul quale un giorno una bella inchiesta sarebbe necessaria viste le migliaia di miliardi spesi negli ultimi decenni) non sembra in grado di produrle in tempi rapidi e nelle quantità necessarie.
Inoltre, tutti coloro che confidavano in una “auto-correzione interna” della Russia, magari truculenta, o indotta dall’esterno ad opera cinese, sono rimasti delusi.
vladimir putin xi jinping a pechino
Putin, dopo la scontata affermazione elettorale, ha operato in tutta tranquillità un vasto rimpasto nei vertici di sicurezza e militari del Paese, che potrebbe non essere ancora finito, e che ha confermato un suo controllo saldo del paese. Egli si è anche potuto permettere di effettuare una visita a Pechino un paio di settimane fa dove ha portato con sé, praticamente, l’intero Governo russo; una scelta chiaramente poco coerente con un leader che dovrebbe temere, secondo sedicenti esperti, un golpe interno.
ANTONY BLINKEN SUONA LA CHITARRA IN UN PUB DI KIEV
Da parte sua, la Cina ha lasciato chiaramente intendere di non avere alcuna intenzione di corrispondere alle aspettative occidentali di un intervento calmieratore verso la Russia. Perché dovrebbe in fin dei conti? Negli ultimi anni gli Stati Uniti e da ultimo l’UE, non hanno certamente risparmiato misure punitive e provocazioni ai danni di Pechino con sanzioni, dazi, ed il tentativo, fallito apparentemente, di fermare il progresso tecnologico di Pechino.
La recente visita in Cina del Segretario di Stato USA Blinken è stata un vero e proprio disastro; il leader cinese Xi Jing Ping ha fatto chiaramente intendere la sua insofferenza verso l’esponente USA attraverso un fuori onda televisivo pochi secondi prima di riceverlo che – non casualmente – è stato fatto filtrare dal severo e iper-controllato apparato mediatico di stato cinese. La Cina non crede che questa Amministrazione USA sia veramente intenzionata a trovare un modus vivendi che riconosca e accetti la sua ascesa geopolitica.
antony blinken arriva al g7 a capri 1
Perché la Cina dovrebbe aiutare l’Occidente a rendere innocua la Russia quando sa benissimo che dopo toccherebbe a lei?
Caro Dago,
né a Washington né a Bruxelles hanno ancora capito – o fanno finta - che minacciare la Cina affinché recida i legami e la cooperazione con Mosca ottiene l’effetto esattamente contrario, anche perché questi due Paesi hanno una visione sostanzialmente convergente sull’attuale momento di gravissima tensione internazionale e lo attribuiscono quasi interamente agli Stati Uniti dai quali entrambi sentono minacciati.
vladimir putin xi jinping a pechino
Si tratta di un’analisi che, disgraziatamente, trova larghissime convergenze anche nel resto del mondo (Global Rest o Global South a seconda delle preferenze terminologiche) e che viene testimoniata dall’ascesa dei BRICS quale alter ego del G7, secondo cui il principale problema geopolitico che l’umanità si trova a dover affrontare consiste nell’assetto multipolare che si va configurando nel pianeta accompagnato dalla lenta fine dell’egemonia statunitense/occidentale che ha imperato negli ultimi 5 secoli. La pervicace (anche se comprensibile) resistenza che il fronte occidentale oppone a questo naturale sviluppo e ricorso della Storia nel corso dei secoli spiega la grave crisi che stiamo vivendo; assai più della spenta narrativa occidentale del confronto tra Democrazie e Autocrazie.
ANTONY BLINKEN - BENJAMIN NETANYAHU
Gli Imperi nascono, crescono e ad un certo punto, più o meno lentamente, decadono; finora la regola è valsa per tutti, con buona pace del cosiddetto “eccezionalismo americano”.
L’unico tentativo per fermare la pericolosa escalation che si paventa è la costituzione di un quintetto di dialogo ad alto livello con USA e Ucraina da un lato e Russia e Cina dall’altro, e con l’ONU in funzione notarile per evitare le solite sorprese cui abbiamo assistito negli ultimi 30 anni. Per l’Europa non vi sarebbe spazio, del resto ha già da tempo deciso di condannarsi all’irrilevanza.
Poco plausibile, tuttavia, che un tale formato possa decollare in questo anno di elezioni, dovremo attendere il 2025.