Francesco Bonazzi per “la Verità”
«Non sono un bancarottiere!». Stefano Ricucci, quando ci apre la porta del suo ufficio dietro via Veneto, è incavolato come un bufalo. Sventola le prove del fatto che ha pagato tutti i creditori di Magiste International, la sua holding, «uno per uno e al 100%, spendendo 700 milioni, di cui 119 all' Agenzia delle Entrate».
Fa vedere, su un'altra inchiesta giudiziaria per cui è stato processato, che sarebbe bastato acquisire la dichiarazione dei redditi della società coinvolta nell' indagine (la Lekythos Srl), oltre alle visure camerali, per risparmiargli quel calvario giudiziario ove, fra i reati tributari addebitati, si addebitava a Ricucci di avere utilizzato fatture per operazioni inesistenti.
Per non parlare dell' ultimo calvario giudiziario, che ancora pende in primo grado e per il quale s' è fatto 11 mesi (fra carcere e domiciliari) per presunta corruzione in atti giudiziari. Questa indagine, come quella relativa ai citati reati tributari, era nata da una costola della più ampia inchiesta della Procura di Roma su altri soggetti che, secondo gli inquirenti, avevano favorito o agevolato Ricucci nella ipotizzata corruzione di un Giudice della Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Ma la Procura chiese l' archiviazione per tutti gli indagati.
Il casus belli è un errore di chi scrive: aver «bucato» una sentenza del Tribunale penale di Roma, firmata dal giudice Paola De Martiis il 2 gennaio 2018: cinque righe per dire che «il fatto non sussiste», assoluzione piena dall' accusa di una bancarotta fraudolenta da un miliardo. Una bancarotta con un record: nessuno s'era costituito parte civile, manco l'Agenzia delle Entrate.
«Lo volete capire che non sono un bancarottiere? Non ho fatto nessuna bancarotta e non ho fregato i soldi di nessuno». In questa intervista («La prima che concedo da oltre dieci anni») l'immobiliarista romano che ha inventato l'espressione «Furbetti del Quartierino» apre uno squarcio sulla giustizia romana, in questi giorni al centro di uno scandalo, e racconta che cosa gli sono costati 13 anni di processi con una sola macchia, come spiega lui: «Un patteggiamento per aggiotaggio su Rcs», che «col senno di poi ho sbagliato ad accettare».
Allora, lei non può essere inserito nell'albo d' oro dei bancarottieri d'Italia perché alla fine non ha fatto alcuna bancarotta.
(Ricucci allunga sul tavolo di cristallo un foglio con il dispositivo dell' assoluzione definitiva; ha ragione lui). «Sono stato assolto dall'accusa di bancarotta il 2 gennaio 2018 con la formula più ampia: il fatto non sussiste. Punto. Ho risarcito i creditori al 100%, collaborando con commissari e curatori per la vendita degli immobili, per un totale di 700 milioni di euro. Di cui ben 119 versati all'Agenzia delle Entrate».
Nessuno può dire di vantare un credito da lei?
«Nessun creditore, nessun investitore, nessun mio dipendente. Neppure lo Stato o qualche banca possono dire che debba loro qualcosa. Anzi, ho crediti fiscali per circa 30 milioni di euro e oggi posso affermare che il Gruppo Magiste è in bonis (spiattella sul tavolo tutte le carte che lo dimostrano). Poi però se chiedo a una banca italiana di aprirmi un conto, non me lo aprono. Dicono che la compliance non glielo consente, per la mia reputazione. Ma si rende conto?».
L'unica condanna che lei ha, se non sbaglio, è per la tentata scalata Rcs nell'estate del 2006, per la quale fu arrestato.
«Avevo 37 anni, non avevo protezioni, venivo da una famiglia con papà operaio e mamma casalinga, e mi sono trovato in un gioco più grande di me, dove mi hanno stritolato. Per uscire dal carcere, alla fine ho detto quello che volevano e ho patteggiato. Oggi posso dir che fu un errore tremendo: se avessi aspettato, questa faccenda sarebbe finita in nulla come le altre su Bnl e dintorni».
Il fortino di Rcs e la roccaforte di Bnl, alla fine, erano governati da poteri più forti di lei, Coppola, Statuto eccetera. Si è sentito usato, ai tempi delle scalate?
«No, però oggi posso dire che mi sono messo in operazioni più grandi di me e tutte queste inchieste che ho subito lo provano. Ma poi la gente non lo sa, ma mentre ci sono quelli che hanno il personal trainer, Ricucci ha il personal pm e il quasi personal gip».
Sarebbe?
«Io sono stato arrestato tre volte: nel 2006, nel 2016 e nel 2018. Il pm che chiede e ottiene gli arresti è sempre lo stesso. Le sembra normale? Ma aspetti, perché anche il gip, per due volte, è lo stesso. Nell'ultima, doppia inchiesta del 2016-2018, sulle presunte fatture false e sulla presunta corruzione di un magistrato che manco conosco, anche il giudice del Riesame è sempre lo stesso».
Forse sono sotto organico?
«Non lo so, ma comunque a me capita sempre lo stesso pm, che poi ad aprile dell' anno scorso se ne va al Csm, lascia i ruoli al pm Stefano Fava, oggi sui giornali per l'inchiesta sui magistrati romani e sul Csm di cui tutti stiamo leggendo, il quale lo scorso 21 novembre ribalta l' impostazione del predecessore e chiede l' archiviazione per me e per gli altri 11 indagati».
La giustizia non è sempre malvagia con lei, Ricucci.
«E ci mancherebbe anche! Io per questa fanta-storia della presunta corruzione mi faccio undici mesi tra carcere e arresti domiciliari, e poi dopo due anni devo leggere che un altro pm arriva e ribalta tutte le accuse e le butta nel cestino, nonostante proprio quegli elementi di prova, o almeno parte di questi, mi avessero portato in carcere per una presunta corruzione? E a me chi mi risarcisce?».
La Corte europea?
«Guardi, intanto Magiste International si sta rivalendo in tutte le sedi per il ristoro dei danni subiti. Il 9 marzo 2016 la Cedu di Strasburgo ha concesso l'ammissibilità del nostro ricorso sul fallimento. E poi, con riferimento a questa richiesta di archiviazione del dottor Fava, aspettiamo la decisione del Gip».
Il problema era che per il pm lei avrebbe corrotto un giudice del Consiglio di Stato, Nicola Russo, che però, anche in aula, a marzo, lei ha detto di non conoscere. Corretto?
«Corretto. Io non conosco questo dottor Russo. Aggiungo che la corruzione sarebbe consistita nel pagamento di circa quindici o sedici cene e serate nei locali della movida romana, per un valore complessivo di nemmeno 10.000 euro. Avrei poi consegnato doni al dottor Russo e mai individuati.
Ma vorrei capire, parlando del processo attualmente pendente, ma uno che compra una sentenza tributaria che secondo il pm valeva oltre 20 milioni, si può sdebitare mesi dopo - e non prima - che questa sentenza venga pronunciata e pagando qualche serata nei locali notturni a cui, per altro, non ho nemmeno mai preso parte personalmente come è emerso nel processo? Ma poi, perché avrei dovuto corrompere un Giudice su una controversia tributaria in cui era coinvolta una società che, all' epoca (ossia al 24 aprile 2015) non era mia ma era di proprietà del fallimento Magiste? Quale vantaggio avrei mai avuto?
patrizia bonetti e stefano ricucci
Anche quando mi arrestarono nel 2016 per la presunta frode fiscale, che sarebbe dovuta servire a generare denaro per corrompere sempre lo stesso giudice mai visto e conosciuto, mi arrestarono prima che io, ossia la Lekythos Srl, avessi presentato la dichiarazione fiscale "falsa". Ma chi sono, Mago Zurlì? Le due vicende, come ho detto, nascono da una stessa indagine, in cui sono indagate altre dieci persone fra cui Centofanti, e di cui oggi si chiede l' archiviazione.
Prima, nel 2016, mi hanno arrestato per i reati tributari pensando che i soldi provento di reato servissero a pagare il giudice dott. Russo perché, secondo il pm, mi avrebbe rivelato in anticipo l' esito del giudizio tributario a me favorevole. Poi, però, non avendo mai trovato questi presunti fondi neri, né avendo mai trovato elementi dimostrativi del fatto che li avessi consegnati al dottor Russo, è stato spostato il tiro ed hanno continuato l' indagine cercando elementi per indagarmi e poi di nuovo arrestarmi per la corruzione di cui ho detto».
E i soldi della «provvista» criminale?
«Ripeto: non ci sono soldi, nessuna mazzetta è mai stata data al Giudice dottor Russo, che nemmeno conoscevo. E questo lo dicono i documenti della società e non solo. Ma poi è scandaloso come nel dibattimento in corso siano mutate alcune circostanze che nelle indagini erano state ritenute rilevanti».
Ovvero?
«Se vogliamo dirla tutta, uno degli elementi di prova valorizzati dal pm e dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini e nella richiesta di arresto avanzata nel 2018 per la presunta corruzione, era una immagine scattata una sera di ottobre 2014 in un ristorante al centro di Roma. Il caso ha voluto che in quella immagine venissi effigiato sia io, seduto a un tavolo con amici a una festa di compleanno, sia il dottor Russo in piedi che camminava nei pressi del nostro tavolo.
Ebbene, quella foto è stata valorizzata dal pm e dalla Polizia al punto da ritenere dimostrata la nostra conoscenza all' ottobre 2014. Poi, però, si è scoperto in dibattimento - lo hanno detto gli stessi agenti della polizia giudiziaria interrogati dal mio difensore - che quella foto non aveva in realtà molta valenza perché sembrava piuttosto che il dottor Russo stesse effettivamente camminando, e non fosse in posa nella foto. Quindi era una pura casualità. Solo che io, anche a causa di questa "casualità", ho fatto undici mesi fra carcere e domiciliari».
Quanto le è costata questa doppia inchiesta?
«Una paralisi imprenditoriale totale, perché anche con obbligo di firma tre volte a settimana per sei mesi, uno non fa niente. Ah, le faccio vedere questa meravigliosa intercettazione sempre tratta dall' indagine per corruzione, nella quale, secondo la Polizia Giudiziaria e secondo il pm, io parlavo con il giudice. Bella, eh? Peccato che il numero non fosse del Giudice ma del mio collaboratore, oggi purtroppo coimputato con me, con il quale stavo interloquendo. Si erano sbagliati a trascrivere e hanno scritto che invece stavo parlando con il Giudice. Le pare normale? Questo è solo un esempio, ma ce ne sono moltissimi altri».
Insomma, secondo lei con Ricucci vale tutto?
«Io dico solo che il cittadino normale che capita dentro a questa macchina infernale ne viene stritolato. Il pm è troppo più forte del cittadino piccolo».
natasha tozzi con stefano ricucci
Lei non è un cittadino qualsiasi, però.
«No, no, questo lo dice lei! Io sono un cittadino piccolo piccolo perché da 14 anni non faccio altro che difendermi. Ti fermano la vita, ti bloccano l' azienda, la famiglia, le fidanzate, la moglie».
La sua vita privata oggi com' è?
«La mia vita privata sono mia mamma Gina, che a 82 anni viene con me ai processi ed è stata perquisita alle 5 di mattina da 10 persone perché chissà quali reati commetteva con un telefonino che a stento sa usare. La mia vita privata è che mio padre Matteo è morto cinque anni fa di crepacuore per colpa di questa odissea giudiziaria. E mio figlio Edoardo, che ha 26 anni, per fortuna ha studiato e lavora all'estero».
Finanziariamente come sta?
«Nel 2005 avevo un gruppo da 1,9 miliardi di partecipazioni mobiliari e 600 milioni di immobili. Ho risarcito 700 milioni per Magiste e oggi la società ha un patrimonio netto positivo. Mi spiace solo per quel patteggiamento, ma in tre mesi di carcere persi 13 chili. Il mio personal pm mi fece 13 interrogatori da sei ore l'uno, e per uscire ho patteggiato».
E la famosa «bella vita» di cui ai vecchi rotocalchi?
«Gliel'aggiorno subito: ad agosto andrò a casa a Porto Cervo, con mia madre, come faccio da vent' anni. Se vuol sapere se ho la fidanzata, le dico che con questa vita che faccio non mi metto in un rapporto serio con una donna alla quale devi anche dare le giuste attenzioni, visto che passo la giornata qua dentro con le carte che vede, e negli studi dei miei avvocati. I danni collaterali di queste vicende, chi non c'è passato, non li può immaginare».
Quanto ha speso?
«A occhio non meno di 40 milioni fra spese legali e spese di giustizia, ma la vita non me la risarcisce nessuno. E mi sono perso la crescita di mio figlio nel periodo adolescenziale».