IL CONNERY DEI GIUSTI - NON ARRIVA BENISSIMO AI SUOI 90 ANNI. MALCONCIO, MALATO. OGNI TANTO SI FA VIVO CON URSULA ANDRESS, CHE GLI È RIMASTA AMICA – NATO NELLE VICINANZE DI EDIMBURGO, NON ERA DI FAMIGLIA NÉ NOBILE NÉ ALTOBORGHESE, COME AVREBBE DOVUTO ESSERE JAMES BOND. IL PADRE ERA STATO FATTORE E CAMIONISTA, AL PUNTO CHE TERENCE YOUNG DECIDE DI NON INQUADRARLO MAI CON FORCHETTA E COLTELLO A TAVOLA. TUTTI AVREBBERO CAPITO CHE ERA UN CAFONE – RESTA DA CAPIRE UNO DEI SUOI PIÙ MISTERIOSI PROGETTI, CHE LO PORTÒ A INCONTRARE IN TOSCANA, NELLA SUA VILLA, LICIO GELLI… - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia 

 

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Non arriva benissimo ai suoi 90 anni il grande Sean Connery. Malconcio, malato. Ogni tanto si fa vivo con Ursula Andress, che gli è rimasta amica dai tempi di “Agente 007 – Licenza di uccidere” di Terence Young, il film che ha dato a entrambi l’immortalità cinematografica. Lei guadagnò 6.000 dollari e lui 20. 000 nel lontano 1962. Già al suo secondo James Bond i dollari erano diventati 250 mila, poi 600 mila, fino al milione per il suo unico western “Shalako”, che girò con una Brigitte Bardot un po’ depressa. Sono sempre andati d’accordo Ursula e Sean.

 

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Anche se lui sia sul set che nella vita faceva più comunella con gli attori maschi, come Richard Harris, col quale divide uno strepitoso film di Martin Ritt, “I cospiratori”, film sugli scioperi dei minatori irlandesi nella Pennsylvania del 1876, o come Michael Caine, col quale divide il capolavoro di John Huston “L’uomo che volle farsi re”, che era anche il suo film preferito di sempre.

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Mentre aveva una profonda venerazione per Dirk Bogarde, col quale recità in “Quell’ultimo ponte”. Come spesso capita nel cinema, però, non sai mai qual è la mossa giusta che ti può cambiare la vita. Per Sean il primo 007 fu un successo planetario, visto che quel ruolo lo fece diventare a breve l’uomo più sexy del secolo. E pensare che i produttori, Saltzman e Broccoli, avrebbero voluto al suo posto Cary Grant, il vero modello di 007 per Ian Fleming, autore della saga.

 

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Era d’accordo anche Hitchcock. Ma Cary Grant non si sarebbe mai legato a un film che prevedeva non un sequel, ma una serie di sequel quasi infinita nello stesso identico ruolo. Non faceva per lui. I produttori avrebbero anche voluto al suo posto Roger Moore, l’Ivanhoe della nostra infanzia televisiva, attivo in Italia ai tempi del peplum (“Il ratto delle sabine”), come lo era anche Terebce Young (“Orazi e Curiazi”). Inglese e non scozzese con qualche discendenza irlandese come Sean Connery. Ma troppo giovane per il ruolo, si dissero i produttori.

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O Richard Johnson, davvero perfetto come James Bond, ma legato a un contratto con la Metro. Impossibile da avere. Negandosi Johnson si dovrà accontentare poco dopo di un simil 007, “Più pericoloso del maschio”, eurospy diretta da Ralph Thomas dove recita il ruolo di Bulldog Drummond fra una serie di bellezze che spaziano fra Elke Sommer e Sylva Koscina. E si morderà le mani a vita. Credo. Perché poteva vantare una carriera alla Royal Academy, esperienze con John Gielgud, e un fisico piuttosto simile a quello di Sean Connery. Che poteva vantare un fisico da Mister Universo (ci provbò nel 1953), ma non era né bra

 

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vo né elegante né inglese come lui. Aveva anche due tatuaggi, fatti a 16 anni prima di arruolarsi in marina, “Scotland Forever” e “Mum and Dad”. Coattello, quindi. Con un passato non da giovane attore, ma da tuttofare, con mille lavori e lavoretti. “Forse non sono un buon attore, ma avrei fatto peggio qualsiasi altra cosa”, dirà nel corso degli anni. Nato a Fountainbridge, nelle vicinanze di Edimburgo, Sean Connery non era di famiglia né nobile né altoborghese., come avrebbe dovuto essere James Bond. Il padre era stato fattore e camionista.

 

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Ovvio che non sapesse stare bene a tavola, tanto che Terence Young decide di non inquadrarlo mai con forchetta e coltello a tavola. Lo riveste con i suoi stessi abiti, il sarto era Anthony Sinclair di Saville Row, e gli impone di rimanere in piedi sorseggiando al massimo il suo Martini. Tutti avrebbero capito che era un cafone vedendolo a tavola. Inoltre, aveva già cominciato a perdere i capelli, tanto che sembra che in tutti i suoi sette 007 abbia sempre il parrucchino, anche se alcuni dicono che nei primi due titoli i capelli siano ancora i suoi.

 

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Il suo modello di attore era Stanley Baker, ottimo per ruoli da macho popolare, camionista, poliziotto, gangster, un Tom Hardy. Ma troppo duro per fare Bond. Sean Connery, come Stanley Baker, era bello, alto quasi 1,90 e molto, molto sexy. Aveva dovuto scegliere a 23 anni tra il rugby da professionista e il cinema. Ma sapeva che a 30 anni un giocatore di rugby era già finito, mentre al cinema c’era comunque più futuro. Il regista Terence Young, bon vivant e uomo di gran gusto, con la prima scelta dei produttori, che puntavano su Guy Hamilton, Ken Hughes o Bryan Forbes, lo aveva già avuto come attore qualche anno prima in un piccolo ruolo in “Action of the Tiger” (“Il bandito dell’Epiro”), avventuroso esotico di coproduzione anglo-spagnola con Van Johnson e Martine Carol protagonisti.

 

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Fu la visione di “Darby O’Gill e il re dei folletti”, sembra, a convincere tutti, regista e produttori. Sean Connery aveva qualcosa in più. Come Clint Eastwood, che esploderà poco dopo in “Per un pugno di dollari” di Sergio Leone, Sean Connery riportava un po di sano machismo al cinema. Ironico, conquistatore, spaccone, letale. I loro film erano pieni di morti ammazzati e di battute.

 

Cose che il cinema americano del tempo non osava più fare, ormai appiattito sui gusti televisivi degli attori con poca faccia o con star già vecchiotte come Van Johnson non proprio virili. In più Sean Connery aveva delle sopracciglia molto forti, un busto villoso che alle donne del tempo che lo rendevano estremamente attraente. Eravamo tutti innamorati della smorfia sotto il cappello di Clint Eastwood con le battute ciancicate da Enrico Maria Salerno e dalla smorfia di Sean Connery doppiato, per noi, da Pino Locchi. Il primo era lo Straniero, il secondo era Bond, James Bond.

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La vera differenza, sempre per noi, era che al primo le donne interessavano davvero poco, mentre il secondo le fulminava più o meno come i suoi rivali. Ma rimanevano modelli maschili fortissimi nel mondo dei telefilm e delle prime commedie disneyane. Perché sparavano, bevevano, fumavano, scopavano. E la facevano sempre franca. Assieme a Sean, allora, scoprimmo anche un modello di donna, Ursula, che non era quello dei film americani, ma una donna palestrata, sicura di sé, una statua, non certo la bambolina che volevano a Hollywood.

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Ci fu una storia? Chissà... Lei è sempre stata abbottonatissima. Ci furono, pare, con Jill St. John, Lana Wood, addirittura Magda Konopka, ma Connery, malgrado fosse James Bond non ebbe mai una fama di conquistatore fuori dallo schermo. Il matrimonio con l'attrice Diane Cilento, sposata prima con l'italiano Andrea Volpi, non ebbe lunga vita. Rispetto ai tradimenti si raccontano quelli di lei, non quelli di lui. Ne "La donna di paglia", girato nel 1963 a PInewood, gli scappa un ceffone che provoca un taglio al labbro della sua partner, Gina Lollobrigida, che risponde "ufficialmente" che "Il signor Connery è un caro compagno di lavoro ed è rimasto veramente male". Altro che conquistatore, insomma.

 

Ricordo che quando vedevamo al cinema, negli anni ’60 ma anche dopo, dei film con Sean Connery fuori dal personaggio James Bond, avevamo dei problemi ad accettarlo. Esattamente come aveva pensato Cary Grant, quel ruolo lo avrebbe marchiato a vita. Ne "La collina del disonore" di Sidney Lumet litiga coi produttori perché non vuole il parrucchino che lo avrebbe troppo identificato con Bond e a Cannes, presentando il film, dice di essere già pronto a mandare in pensione 007. Ci vollero anni per farci digerire uno Sean Connery senza James Bond.

 

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Ma se ci fosse stato Rod Taylor al posto suo in "Marnie" il film non sarebbe stato certo diverso e la sua presenza, un po', spiazzava lo spettatore. D'altra parte, quando si tentò, già nel 1964, di costruire un altro James Bond, il produttore Kevin McClory, che aveva i diritti di "Thunderball", ci provò con Richard Burton, dopo aver sondato con Rod Taylor e Peter O'Toole, la cosa sembrò impossibile.

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La confusione era tale che quando Alberto De Martino girò il sotto 007 “O.K. Connery” con il fratello minore di Sean, Neil, molto meno bello, meno sexy, meno recitante e anche ridotto maluccio, pochi denti, niente capelli, niente fisico, l’idea era proprio di puntare col titolo al richiamo bondiano. Neil, quando qualche anno fa, venne al festival del giallo doiCourmayer, ricordò che a Sean non era affatto piaciuta questa intromissione nel suo mondo e lo pregò di non proseguire.

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Anche se, diciamo a cominciare dalla serie di film dove fu diretto da Sidney Lumet, “La collina del disonore”, “Rapina record a New York”, “Riflessi in uno specchio scuro”, o nel capolavoro di John Boorman, “Zardoz”, dove recita come fosse uno dei fratelli Hemswoth in versione mora e macha, o dai due grandi titolo di Richard Lester, “Cuba” e “Robin e Marion”, nel corso degli anni Sean Connery dimostrò di essere davvero un grande attore. Non solo James Bond.

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Resta da capire uno dei più misteriosi progetti di Sean Connery, che lo portò a incontrare in Toscana, nella sua villa, addirittura Licio Gelli per un film sulla sua vita. Il dato più incredibile è che i registi italiani contattati da Gelli, Frank Kramer alias Gianfranco Parolini e Guido Zurli non erano proprio all’altezza di Sean Connery. Ma credo che rimarrà un altro di quei misteri italiani mai risolti…

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