Floriana Bulfon per la Repubblica
«La miseria ti può soffocare prima del virus, ti crolla addosso tutto insieme ». La precarietà si trasforma in povertà e i diritti si dissolvono, perché: « Non sei nulla, sei meno di zero, ti tolgono la dignità».
Nathalie Persechino ha 44 anni.
Fino al 5 marzo preparava i pasti nelle mense scolastiche, poi le hanno chiuse per l' emergenza Covid- 19 e si è ritrovata senza un reddito. «Era un contratto a chiamata per una ditta in subappalto, non ho nemmeno diritto alla disoccupazione perché non ho maturato abbastanza giorni di lavoro » , sussurra con un filo di voce, per non farsi sentire dalle sue bambine.
Hanno 6 e 11 anni e «non vedono la carne nel piatto da un bel po'. Ma non voglio che si rendano conto: una mamma vorrebbe sempre fare la figura della roccia».
Suo marito era un commesso e ora è disoccupato. Pensavano di poter contare sugli aiuti alle famiglie più volte annunciati dalle istituzioni. E così il 1° aprile hanno presentato domanda per il buono spesa del Comune: 400 euro per mangiare. Passano i giorni, le settimane, ma quei 400 euro non arrivano. Il peso della burocrazia e della mancanza di risposte è in una cartella di plastica piena di carte bollate.
«Dopo tante telefonate ed email al Municipio e al Comune mi hanno detto " Signora, deve aspettare". Ma io come faccio ad aspettare? » . È una realtà capovolta: il diritto si trasforma in concessione. Mentre la situazione si fa drammatica. Quando apre il frigo vuoto Nathalie si commuove: «Cerco inutilmente, come se da lì potesse uscire qualcosa » . Qualcosa da mettere in tavola, qualcuno che la possa aiutare.
« In passato ho provato anche con il reddito di cittadinanza ma avevo depositato sul conto i soldi del Tfr. Per vent' anni io e mio marito abbiamo lavorato per un grande gruppo di elettrodomestici che poi è fallito per frode. E così hanno bocciato la domanda: " Ci dispiace ma avete soldi in giacenza". Una beffa, tanto più che non siamo riusciti a trovare un altro posto fisso » . Ora anche la riserva della liquidazione è finita: rimangono solo 100 euro. «Non so più a chi chiedere aiuto » , sospira: « Per fortuna la casa è di mia suocera e i miei genitori che hanno la pensione minima cercano di darmi quel che possono».
Senza farsi vedere dalle figlie, Nathalie tutte le settimane ritira i pacchi alimentari distribuiti dall' associazione "21 Luglio" sotto i palazzoni popolari di Tor Bella Monaca.
Nel VI Municipio ci sono tante persone in difficoltà: è quello con il maggior numero di domande accolte per i buoni spesa, più di 8mila. «Purtroppo però molti non li hanno ancora ricevuti, ma devono sopravvivere. Sarebbe opportuno chiarire come sia possibile che la sindaca Virginia Raggi parli del 95 per cento di buoni consegnati. Alle carenze delle istituzioni qui suppliscono i volontari del Terzo Settore. Ma si sente sempre più la forza della criminalità: offrono alimenti gratis, presentandosi con la faccia amica ma cercano solo di arruolare manovalanza a basso costo», dice Nella Converti del Pd di Tor Bella Monaca.
L' epidemia sta ampliando le crepe che già c' erano nel tessuto sociale della periferia romana, creando un baratro che inghiotte sempre più persone. Famiglie che vivevano già sul limite, indebitandosi e faticando per arrivare a fine mese, adesso vengono spinte sulla strada: « No indennità di disoccupazione, no reddito di cittadinanza, no buoni. Cosa dobbiamo fare? » . E a questo punto Nathalie alza la voce: « Mi sento umiliata e abbandonata, dopo aver sempre pagato tasse e rate facendomi in quattro. Chi fa promesse, dovrebbe provare questa disperazione sulla sua pelle: allora capirebbe come si sente una madre che non sa se riuscirà a fare cenare i figli».