Estratto dell’articolo di Giuseppe Scarpa per “la Repubblica – ed. Roma”
Gergo Hetey, 40 anni, è venuto a Roma per trascorrere una piacevole vacanza assieme alla futura moglie. Ma Gergo Hetey, turista ungherese, non ha passato una bella vacanza e di Roma non ha visto praticamente niente, solo il carcere di Rebibbia dove è stato rinchiuso per 13 giorni — dal 3 al 16 agosto — salvo poi essere liberato perché non era lui la persona che doveva finire dietro le sbarre.
Un bel pasticcio perché l’uomo adesso reclama giustizia: «Della vicenda si sta occupando anche la console ungherese in Italia Csilla Papp», assicura Massimiliano Scaringella il legale dell’uomo finito nelle tenaglie della malagiustizia nostrana. La vicenda è ingarbugliatissima, perché Hetey, dirigente di un’azienda privata nel suo Paese, in carcere in Italia ci doveva finire.
Non si è trattato di un caso di omonimia. Era proprio lui la persona che doveva essere ammanettata e accompagnata in un penitenziario. Infatti in Italia, a Milano, era stato regolarmente condannato, la sentenza era passata in giudicato. Un anno di reclusione, stop, verdetto emesso nel 2014. Per i giudici non aveva pagato i contributi ai dipendenti di un’impresa edile che gravitava sulla Lombardia. Ed è qui che succede qualcosa di singolare.
Il quarantenne ungherese in Italia non aveva mai messo piede e proprio in quel periodo, nel suo Paese, aveva subìto il furto dei documenti. Quindi, come spiega il penalista Scaringella, «qualcuno ha usato la sua identità per aprire delle società a sua insaputa in Italia». Chi apriva le società, impiegando l’identità di Gergo Hetey, non aveva le migliori intenzioni. E proprio con le peggiori intenzioni le chiudeva e le faceva fallire senza pagare quanto dovuto agli operai.
Sulla base di questa accusa Hetey viene così indagato, processato e condannato otto anni fa a Milano senza che l’originale lo venisse mai a sapere. O meglio, e qui veniamo ai giorni nostri, è venuto a saperlo tre settimane fa.
[…] Di fronte alla sua stanza, ha trovato la polizia che lo ha ammanettato, su di lui c’era un mandato d’arresto. Il dirigente invano ha cercato di spiegare che di quella vicenda non ne sapeva niente. Dopo tredici giorni passati al fresco, la sezione feriale della Corte d’Appello di Milano, ne ha infine ordinato la scarcerazione con questa motivazione: Hetey in Italia è stato processato senza esserne stato mai informato. […]