Paola De Carolis per www.corriere.it
Tra lacrime e commozione, Boris Johnson ha raccontato di essere giunto a un passo dalla morte al St Thomas’s Hospital di Londra, dove alcune settimane fa era stato ricoverato perché colpito dal Covid-19. «E’stato un momento brutto, non lo negherò», ha sottolineato il primo ministro al Sun on Sunday, tabloid cui ha dato la prima e sinora unica intervista sulla malattia. «Avevano una strategia per affrontare uno scenario del tipo morte di Stalin», ha ammesso con un riferimento a come gestire da un punto di vista mediatico la notizia di un suo possibile decesso.
«Non stavo per niente bene e i medici avevano un piano su come agire se le cose si fossero messe male», ha precisato il premier, che ha aggiunto di essermela cavata grazie ai medici, Nick Price e Nick Hart, cui Wilfred, il figlio nato la settimana scorsa deve il terzo nome, ma soprattutto grazie agli infermieri che sono stati al suo fianco per 48 ore filate monitorando di continuo l’ossigenazione del sangue.
Con il trasferimento in terapia intensiva è arrivato il momento peggiore. «I maledetti valori continuavano ad andare nella direzione sbagliata», ha spiegato il primo ministro. I medici hanno preso in considerazione l’opportunità di collegarlo a un respiratore, passo che avrebbe reso necessario il coma farmacologico. «Mi sono chiesto, come ne uscirò?».
La gravità della situazione ha sorpreso lui per primo. «E’ difficile credere che le mie condizioni di salute siano peggiorate così in fretta», ha detto. Dopo la diagnosi ha continuato a lavorare, anche se non si sentiva affatto bene. «Ero frustrato, non capivo perché non miglioravo». Quando i medici hanno indicato che era necessario il ricovero, Johnson ha risposto inizialmente che non voleva andare in ospedale. I medici hanno insistito: avevano ragione. Dopo una prima visita, a Johnson è stata messa la maschera per l’ossigeno. «Ho ricevuto litri su litri d’ossigeno». Si commuove ricordando gli infermieri, che aveva già ringraziato quando era stato dimesso. «Mi commuovo quando ci penso.... », ha detto con gli occhi bagnati dalle lacrime. «Ho ricevuto cure eccellenti - ha detto - impressionanti, commoventi».
In 55 anni si è rotto di tutto, ha sottolineato, ma non aveva mai fatto i conti con la propria mortalità. «Mi sono rotto il naso, un dito, il polso, una costola. Mi sono rotto quasi tutto. Alcune cose diverse vote. Ma non ho mai avuto una malattia grave come questa». Aver visto da vicino gli effetti del virus lo rende cauto sulla riapertura del paese. «Così tante persone hanno sofferto, così tante famiglie hanno ancora di fronte momenti di grande ansia. Se mi chiede, “mi motiva la voglia di mettere fine alla sofferenza dell gente?”, rispondo, certo che si. Ma ho anche un desiderio travolgente di rimettere in piedi tutto il paese, di vederlo sano, di andare avanti».