Simone Sabbatini per "www.corriere.it"
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L’analogia è già stata segnalata ovunque, in altre occasioni, ma questa volta l’immagine sembra davvero la stessa: cambiano solo lo sfondo e la forma della statua. Anche le persone, poche e festanti, sono in numero simile.
Il Saddam Hussein di 17 anni fa a Bagdad, il Cristoforo Colombo di oggi a Baltimora. L’abbattimento del simulacro del navigatore italiano, questa volta poi buttato nel porto della città del Maryland, è solo l’ultimo di una serie: nelle scorse settimane ne sono avvenuti a Minneapolis e Richmond, in Virginia, mentre altrove, come a Boston, le sculture sono state decapitate o vandalizzate.
La foto e i video di Baltimora arrivano all’indomani della contestata celebrazione orchestrata da Donald Trump al Mount Rushmore, e nel Giorno dell’Indipendenza più complicato della storia americana recente.
Com’è noto, Colombo è finito nel calderone dei personaggi di cui si chiede la rimozione, non solo fisica, dalla memoria collettiva americana, in ragione delle violenze perpetrate ai danni delle popolazioni indigene (un genocidio, secondo alcuni storici) incontrate durante le esplorazioni negli ultimi anni del 1400, in particolare quella dei Taìno a Hispaniola, l’isola dove oggi ci sono Haiti e la Repubblica Dominicana.
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Ma a ennesima testimonianza di come i cambiamenti di scenario storico ribaltino il significato di alcune figure anche di 180 gradi, a fine Ottocento il mito di Colombo era celebrato come elemento identitario di chi all’epoca si sentiva oggetto — come oggi, e da decenni, la popolazione afroamericana — di discriminazioni razziste: gli immigrati italiani.
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Quarant’anni dopo, l’esploratore diventò l’oggetto di una festa nazionale, il Columbus Day, che negli anni Trenta divenne anche un’occasione per celebrare l’orgoglio italiano incarnato in quel momento, per molti italo-americani, da Benito Mussolini, un dittatore come lo era Saddam. Altro giro della Storia.
Da giorni il fenomeno di assalto alle statue contestate perché razziste si è allargato ad altri Paesi, come la Francia e la Gran Bretagna (qui lo speciale del Corriere), allungandosi blandamente persino in Italia (il caso Montanelli, a Milano). Ma è in America – dove il presidente ha scelto proprio in occasione del 4 luglio di contro-combattere la battaglia della Storia, invece che minimizzarla o ignorarla – che viene da chiedersi fino a dove si spingerà e quanto segnerà il futuro prossimo del Paese, in primis quello elettorale. La distruzione delle statue e la paura di un attacco ai simboli della Nazione (o solo della sua parte bianca, secondo chi protesta) compatta molti conservatori e spaventa alcuni moderati.
Può essere un elemento di riscossa trumpiana, come i suoi strateghi sembrano credere? Metterà in difficoltà Joe Biden, una volta che la campagna entrerà nel vivo, come successe a Obama con le parole del suo pastore e amico Jeremiah Wright nel marzo nel 2008 («Dio maledica l’America che uccide persone innocenti»)?
E l’attacco a Colombo avrà qualche presa sugli italo-americani? La distruzione nelle strade scaturite dalle rivolte in seguito all’uccisione di George Floyd approderà anche a una parte costruttiva di recupero di una cultura, quella nera (o nativa o latina o asiatica), ampiamente rimossa o tenuta nascosta. Accanto alle vecchie statue, o a quelle che rimarranno in piedi, ne sorgeranno di nuove?
saddam a letto si vestiva da cowboy
Nel frattempo le parole e le immagini prendono peso man mano che si fissano nella memoria, in questo caso quella recentissima, come le pietre acquistano forza d’urto mentre rotolano. E l’immagine di Colombo trattato come Saddam incarna (anche) i rischi dei paragoni storici che scattano in automatico, appiattendo sulla superficie fotografica di uno schermo distanze lunghe secoli: con effetti imprevedibili.
È difficile figurarsi cosa possa pensarne un 19enne neo-maturato, che ha studiato qualche anno fa l’uno (Colombo) e, forse, qualche settimana fa l’altro (Saddam). Bisognerebbe chiederglielo. Cosa vince, tra una faticosa prospettiva e una sovrapposizione fulminante?
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