stephan balliet

“MIO FIGLIO ERA UN PERDENTE” - PARLA IL PADRE DI STEPHAN BALLIET, IL NEONAZISTA CHE VOLEVA FARE UNA STRAGE A HALLE, IN GERMANIA: “NON AVEVA AMICI, HA SEMPRE CONCLUSO POCO MA DAVA AGLI ALTRI LA COLPA DEI SUOI FALLIMENTI” - IL RAGAZZO AVEVA CON SÉ QUATTRO CHILI DI ESPLOSIVO ED ERA PERVASO, COME SCRIVONO I MAGISTRATI, “DA UNA FORMA SPAVENTOSA DI ANTISEMITISMO CHE LO AVEVA PORTATO A PIANIFICARE UN MASSACRO CON GRANDE DETERMINAZIONE…”

Marco Imarisio per il “Corriere della sera”

 

STEPHAN BALLIET

La distanza tra la sinagoga dell' attentato e lo spirito del tempo si misura in sei parole. In una piccola frase, questa. «Forse ha sbagliato, ma lo capisco». A pronunciarla, prima di essere trascinato via dai suoi compagni, è un ragazzo che avrà al massimo quindici anni. Testa rasata, giubbotto attillato, come tutti gli altri. Sta entrando negli spogliatoi.

 

Alle pareti della palestra è appesa la bandiera della Germania e in un corridoio c' è un altro stendardo con l' aquila imperiale. L' associazione di arti marziali è all' interno di un centro sportivo in fondo alla Lutherstrasse di Eisleben.

Stephan Balliet 10

 

Non gode di buona fama. La stampa locale l'ha spesso indicata come un ritrovo di simpatizzanti neonazisti. Un sito specializzato elenca le partecipazioni a manifestazioni xenofobe e le frasi pronunciate in quelle occasioni da istruttori e allievi. «Tutte fesserie, inventate da qualche paranoico di sinistra», taglia corto il più grande del gruppo, quello che dà istruzioni agli altri.

 

Stephan Balliet killer sinagoga

La città che ha dato i natali a Lutero è l' ultima tappa del piccolo viaggio intorno a Stephan Balliet, il neonazista che voleva fare una strage impedita solo dalla sua impreparazione. Non c' è nulla che dimostri la sua frequentazione, ma la palestra di Combat&defense, disciplina pubblicizzata dai gestori con uno stemma che raffigura un teschio e pugnali incrociati, rappresenta un esempio di propaganda a cielo aperto, se non di reclutamento, a voler dare credito alle denunce dei siti antifascisti e alle impressioni da cronista, come se ne vedono tanti in queste campagne della Sassonia-Anhalt.

 

Stephan Balliet 11

La prima fermata è alla casa del padre, che intervistato dalla Bild ha messo un comodo sigillo sul figlio, definendolo un perdente, «uno che non aveva amici, ha sempre concluso poco ma dava agli altri la colpa dei suoi fallimenti». Aveva lasciato il corso di chimica all' università dopo solo sei mesi, anche a causa di un intervento chirurgico allo stomaco. Non lo vedeva da tempo, precisa, ma dice che «viveva online».

 

Il papà del mancato stragista abita in una piccola casetta davanti al cimitero di Helbra, nelle abitazioni costruite per gli ex operai della Ddr che lavoravano nei cementifici sulla Parkstrasse. Le parole del genitore sembrano il fiocco sul pacchetto preconfezionato del lunatico, solitario e pure incapace. Peccato che poi il procuratore federale rovini questo quadro quasi rassicurante rivelando come Balliet avesse con sé quattro chili di esplosivo, e fosse pervaso «da una forma spaventosa di antisemitismo che lo aveva portato a pianificare un massacro con grande determinazione».

Stephan Balliet killer sinagoga 1

 

Forse la verità su Stephan Balliet sta a metà strada, come spesso succede. La casa dove ha vissuto gli ultimi 14 anni con la madre, maestra di scuola elementare, si trova a Klostermannsfeld, un sobborgo di Benndorf, equidistante, una ventina di chilometri, da Helbra e da Halle.

 

«Non è vero che non usciva mai», dice Sepp Zobel, che abita nell' appartamento accanto. «Aveva lavorato per qualche anno come tecnico tv», racconta. Faceva lavoretti, anche il baby sitter per le coppie del condominio. «Andava e veniva, frequentava gente della sua età». Siamo quasi al classico «salutava sempre», che questa volta però assume un significato di smentita al luogo comune dell' introverso malato di Internet.

 

Tra queste modeste e dignitose palazzine a due piani, sovrastate dall' altra parte della strada da complessi di edilizia sovietica, Balliet non era certo un' ombra. Entrava e usciva da casa, si fermava a chiacchierare. «Sugli ebrei non ha mai detto nulla, anche perché è sempre un argomento tabù», racconta Franz Schade, impiegato di banca ad Halle, suo coetaneo.

Stephan Balliet

 

«Ma sugli stranieri era netto, e non nascondeva la sua esasperazione». Intanto, anche i ragazzi della palestra di Eisleben si stanno producendo in sottili distinzioni tra ebrei e immigrati. Il loro allenatore li ha riuniti in cerchio. Parlano dell' attentato di Halle. Ma non è possibile ascoltare, gli estranei non sono ammessi, e l' aria si è fatta pesante, meglio andare.

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