Alfio Sciacca per il “Corriere della sera”
«Ne ho uno al giorno che viene per un problema di parentela o di... perché alla fine qua siamo tutti parenti l'Università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, una specie di élite culturale della città perché fino adesso sono sempre quelle le famiglie». Era questa l'idea che aveva del suo ateneo il rettore Francesco Basile. Sembrano le parole di un personaggio dei «Viceré» che, guarda caso, sono ambientali proprio in quel Monastero dei Benedettini che oggi è una delle sedi dell' università di Catania.
Spiega così le logiche «familistiche» che governano la scelta dei docenti in una delle intercettazione della Digos, nonostante la sua prima preoccupazione appena insediatosi, nel febbraio 2017, fosse stata un'accurata bonifica del suo ufficio da eventuali microspie. Come se il nuovo rettore, 62 anni, ordinario di Chirurgia e una quotidianità in sala operatoria, dovesse temere orecchie indiscrete. Forse aveva tanto da nascondere.
A cominciare dalla gestione dei consigli di amministrazione che si svolgevano con «sistemi bulgari» e le indicazioni di voto fatte circolare attraverso «pizzini» perché «io non posso chiamare al telefono, non è illegale ma...».
Cautele che non sono state sufficienti ad evitare che il marcio venisse a galla svelando un sistema che il pm Raffaella Vinciguerra definisce «paramafioso», mentre il procuratore Carmelo Zuccaro parla di «desolante e squallido quadro criminale». Un contesto di tale gravità che la Procura aveva chiesto l'arresto per il rettore e nove docenti con l'accusa di associazione a delinquere, corruzione e turbativa d' asta. Il Gip ha però accolto solo la richiesta di sospensione dai loro incarichi.
Un «sistema sommerso con a capo il rettore» nella gestione dell' ateneo e in particolare per la selezione dei docenti «al di là di meriti e competenze». Non c'era scambio di denaro o altro, ma un rapporto di mutua assistenza per garantire il perpetuarsi della solita élite e delle solite famiglie. Rimessi in discussione gli esiti di 27 concorsi (17 per ordinario, 4 per associato e 6 per ricercatore) «costruiti con metodi sartoriali, decidendo a priori chi doveva vincere».
Fondamentale in tal senso il ruolo delle commissioni esaminatrici, spesso integrate da docenti di altri atenei. Forse questo spiega (oltre ai 46 di Catania) i 20 indagati nel resto d'Italia. Tra questi spiccano nomi di primissimo piano come il rettore de La Sapienza Eugenio Gaudio, il noto chirurgo padovano Umberto Cillo, e il rettore dell'Humanitas di Rozzano, Marco Montorsi.
Buona parte dei venti docenti non sanno nemmeno di essere indagati e preferiscono non fare alcun commento in attesa di capire meglio. Molto più circostanziata e grave la posizione dei dieci docenti sospesi a Catania. Seguivano logiche ferree. «Io mi sono rotto il c... per te - dice un prof - ora vieni incontro a me e vai in quella commissione». Per pilotare i concorsi veniva utilizzato ogni escamotage: «Se serve limitiamo il numero delle pubblicazioni».
E se poi c' erano troppi idonei la soluzione la forniva l'ex direttore del dipartimento di Scienze Politiche Uccio Barone; «Io mi faccio dare tutto l' elenco e vediamo chi sono questi str... che dobbiamo schiacciare!». Storico, con un passato nel Pd, Barone ha uno sterminato elenco di pubblicazioni, compresa una sul «Tramonto dei Gattopardi». Ieri è stato l' unico a parlare: «Sono all' estero, immagino le palate di fango. Ma resto sereno». Forse non sa che tra i concorsi su cui si indaga c' è anche quello del figlio Antonio, giovanissimo ordinario di Diritto amministrativo a Economia e Commercio.
Nell' elenco degli indagati sono finiti persino l' ex procuratore di Catania Vincenzo D' Agata e la figlia, docente di prima fascia.