MA DAVVERO È COSÌ FACILE HACKERARE L’UOMO PIÙ RICCO DEL MONDO? – IL PRINCIPE SAUDITA BIN SALMAN SI È INTRODOTTO NELLO SMARTPHONE DI BEZOS CON IL SUO ACCOUNT WHATSAPP, GRAZIE A UN MALWARE PRODOTTO DA DUE AZIENDE, L’ISRAELIANA NSO E L’ITALIANA HACKING TEAM – VENIVA DA QUELL’OPERAZIONE LA DICK PICK PUBBLICATA DA DAVID PECKER, PROPRIETARIO DEL “NATIONAL ENQUIRER” E GRANDE AMICO DI MBS? – VIDEO
Cristiana Mangani per “il Messaggero”
jeff bezos mohammed bin salman
Il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman rischia di ritrovarsi al centro di un'inchiesta internazionale per aver hackerato il telefono di Jeff Bezos, fondatore di Amazon nonché proprietario del Washington Post: il giornale dove scriveva come editorialista il dissidente di Riad Jamal Khashoggi, barbaramente assassinato nell'ottobre del 2018. L'apertura dell'indagine da parte degli Stati Uniti e di altri paesi, è stata chiesta da due esperti indipendenti dell'Onu che conoscono bene la questione perché hanno già indagato sul caso Khashoggi.
Sostengono, in un nuovo rapporto, che bin Salman, tramite il suo account di WhatsApp, nel maggio del 2018, si sarebbe introdotto nello smartphone di Bezos permettendo il furto di massicce informazioni personali dell'uomo più ricco del mondo. Questo con l'intento «di influenzare, se non di mettere a tacere» le inchieste giornalistiche del Washington post sul regime saudita, soprattutto le severe analisi anti-regime del giornalista ucciso. Che, a cinque mesi dall'hackeraggio, è stato trucidato da un commando della morte nel consolato saudita di Istanbul.
I DUE ESPERTI
mohammed bin salman jeff bezos
Agnes Callamard, inviata speciale dell'Onu per i diritti umani che da anni indaga sulla piaga delle esecuzioni sommarie, e David Kaye, inviato speciale dell'Onu per la libertà di espressione, per la prima volta legano esplicitamente l'operazione pirata nei confronti del telefono di Bezos con l'omicidio del giornalista saudita, chiedendo alla comunità internazionale di fare definitivamente chiarezza sulla vicenda. Una richiesta che non può non imbarazzare l'amministrazione Trump, finora decisamente indulgente verso chi comanda a Riad anche di fronte a un assassinio che ha indignato il mondo intero.
Di fronte alle pesantissime accuse, l'Arabia Saudita continua a negare ogni coinvolgimento, con l'ambasciata a Washington che su Twitter liquida come «assurde» le accuse mosse al principe ereditario, compresa quella di aver piratato il telefono del fondatore di Amazon, la sera successiva a un incontro avvenuto tra i due a una cena.
La vicenda, comunque, ha diversi risvolti. Innanzitutto, secondo il rapporto Onu, l'operazione di spionaggio sarebbe stata messa a segno grazie a un sofisticato malware prodotto da due aziende, la Nso israeliana e l'Hacking team italiana. La società milanese di David Vincenzetti, che sarebbe entrata nel network di aziende che sono servite a potenziare l'arsenale informatico a disposizione degli uomini del principe ereditario e che sarebbe stata usata per entrare nel mondo privato di Bezos.
Un'azienda, con sede a Cipro, il cui 20% del pacchetto azionario è detenuto dai sauditi.
Altra questione, un po' più lontana, riguarda sempre il fondatore di Amazon e l'Arabia Saudita. Risale a febbraio dello scorso anno, quando Bezos ha denunciato David Pecker, proprietario di uno dei più controversi tabloid d'America, il National Enquirer, perché lo ricattava. L'uomo d'affari ha pubblicato un lunghissimo post su Medium, nel quale diceva che Pecker lo stava ricattando per via di alcune foto intime della sua relazione extraconiugale con Lauren Sanchez, giornalista americana per cui, a gennaio del 2019, ha lasciato la storica moglie MacKenzie, con un altrettanto storico divorzio.
Scopo finale, anche questa volta, sarebbe stato ottenere un trattamento mendo duro da parte del Washington post, che stava dedicando molta attenzione ad alcune vicende giudiziarie del tabloid di Pecker, sotto inchiesta anche per comportamento lobbistico scorretto per conto dell'Arabia Saudita.
L'INVESTIGATORE
Bezos avrebbe scoperto il ricatto, grazie al suo addetto alla sicurezza, il super esperto Gavin de Becker, che era risalito al proprietario del National Enquirer e anche al fatto che questo aveva ottenuto le foto e i messaggi riservati per l'aiuto dell'Arabia Saudita, che era entrata in possesso di tutte le informazioni proprio violando il cellulare personale.