Alessandra Ziniti per “la Repubblica”
«Piano, c' è Baku che dorme. Lui fa le pulizie in un forno, lavora la notte e di mattina riposa. E lì c' è Ahmed che non sta bene per niente». Tocca abituarsi alla penombra della chiesa e soprattutto credere che quello che stiamo vedendo è vero per rendersi conto che su quei giacigli sulla mezzaluna sopraelevata che guarda sull' altare, sotto cumuli di coperte e stracci ci sono uomini. Decine di materassi ovunque, scarpe, zaini, vestiti, bottiglie d' acqua e detersivi. Ma anche corpi immobili, statue di sale sotto vecchi piumoni tirati fin sopra la testa.
Benvenuti a Vicofaro, dove la disobbedienza civile e l' umanità di un prete hanno ormai da tempo preso il sopravvento sulle ragioni e sul decoro di un luogo di culto. «Lo so, ormai siamo molto oltre e anche per questo siamo isolati nel nostro territorio. Questa è la parrocchia più grande della città, 7.000 fedeli, ma molti ci hanno ormai abbandonato. E quest' anno, al catechismo siamo passati da 120 a 20 bambini.
Però abbiamo acquistato tanti laici che vengono qui a praticare il Vangelo: avevo fame e mi hai dato da mangiare, sete e mi hai dato da bere, ero straniero e mi hai accolto».
Se volete sapere dove sono finite le migliaia di immigrati che il decreto sicurezza ha gettato per strada interrompendo processi di studio, integrazione e lavoro basta andare a trovare don Massimo Biancalani e i suoi 250 ragazzi ospitati ovunque: nella chiesa nuova, in quella vecchia adiacente, nel salone parrocchiale, nei corridoi e in quello che era il suo appartamento privato e che ormai condivide con chiunque venga a bussare alla sua porta.
Una distesa ininterrotta di materassi, letti a castello, giacigli di fortuna, panni stesi ovunque, sui corrimano sotto le statue dei santi e i quadri della Madonna, sulla balconata dell' anello superiore della chiesa foderata con le coperte termiche dorate. La domenica si celebra messa come nulla fosse. «I ragazzi sanno che devono stare in silenzio. O escono fuori o dormono».
Irregolari? No. Qui ci sono ragazzi come Diba, 19 anni, del Senegal, uno dei fortunati a cui è stata riconosciuta la nuova protezione "speciale", ma comunque rimasto senza un tetto.
«Ero un bambino di strada, abbandonato dall famiglia, cresciuto con gli amici e partito con loro. Niger, Libia, poi Italia. Sono arrivato a 14 anni, prima una comunità per minori, poi al Cara di Mineo. E poi per strada. Degli amici mi hanno detto di venire qui e don Massimo mi ha accolto. Mi alzo ogni mattina alle 4.30, prendo il treno e vado a Prato, faccio le pulizie per due ore in una multisala e torno qui. Di pomeriggio prendo un altro treno, vado a Firenze e faccio il rider per Glovo. Alla fine del mese faccio 3-400 euro».
E c' è Ibrahim, il "capo", del Gambia, 22 anni festeggiati ieri. Aveva un permesso umanitario ma è scaduto e non glielo hanno rinnovato e ora aspetta il ricorso in tribunale.
E Abu, un permesso di lavoro, arrivato a bussare in piena notte alla porta della parrocchia in canottiera, pantaloncini e ciabatte da donna. E Colmar, un anno e quattro mesi di carcere accusato di essere uno scafista ma poi assolto e ora non può fare richiesta di asilo.
Sulla porta dell' ufficio di don Biancalani è appeso un foglio con una frase di don Milani. "Ogni parola imparata oggi è un calcio in culo domani". «È la prima cosa che spiego loro quando arrivano. I più piccoli li forziamo a studiare ma i più grandi, quelli che hanno famiglie nei loro Paesi, come facciamo a farli stare sui libri? Qui lavorano quasi tutti. Nell' industria manufatturiera di Prato sfruttati come schiavi dai cinesi ma anche dagli italiani.
Turni di 12 ore, da mezzogiorno a mezzanotte, pagati 2,50 euro l' ora, chi in nero, chi in finto part-time».
La chiesa trasformata in centro di accoglienza funziona in autogestione. Niente mensa, frigoriferi sparsi qua e là e due cucine in funzione 24 ore su 24, otto bagni chimici, un pozzo d' acqua. «Nessun contributo - spiega don Massimo - , si va avanti con donazioni, offerte, collette alimentari, con la generosità di associazioni e aziende private.
I ragazzi che lavorano contribuiscono come possono, con piccole cifre.
Però succede, ad esempio, che ci tagliano il gas perché non abbiamo pagato una bolletta da 4.000 euro.
Lo farò con i miei risparmi di insegnante di religione. Tanta gente ha capito che di loro non c' è da aver paura. Mai avuto problemi di sicurezza. Io ho solo risposto all' appello che il Papa lanciò nel 2016 quando invitò i sacerdoti ad aprire le Chiese a questa gente. Purtroppo un appello caduto nel vuoto».
don biancalani don massimo biancalani con buba